Realtà manipolata: niente prove, soltanto ideologia
Il Giornale, 25 maggio 2024
Mancava solo che il giudice Nawaf Salam esclamasse “From the river to the sea”, e la farsa sarebbe stata completa. Il pacato presidente del Tribunale Internazionale che ieri all’Aia ha letto la sentenza della Corte internazionale di giustizia che impone di fermare Israele imponendogli di uscire da Rafah, lasciando Hamas padrone di Gaza, abbandonando i rapiti (di cui l’esercito ha appena riportato a casa 6 corpi recuperati nelle gallerie, assassinati, destinati al ricatto), infischiandosene del futuro dei civili dei kibbutz decimati o esiliati dall’organizzazione terrorista peggiore del mondo… dal 2007 al 2017 è stato ambasciatore del Libano all’ONU dove dichiarava Israele nei suoi interventi, Paese d’apartheid.
Oggi è l’imparziale giudice della Corte internazionale di giustizia. Il suo è un Paese in guerra con Israele, sotto il dominio degli Hezbollah braccio destro dell’Iran, che probabilmente spaventano anche lui (non sarebbe facile tornare a Beirut senza una decisione antisraeliana). I giudici hanno votato contro 13 a 2, e al party e c’erano tutti, il cinese, il russo, l’algerino… Insomma l’ONU, come sempre, colpisce Israele, ieri è stato Karim Khan alla Corte penale internazionale oggi è la Corte internazionale di giustizia: iniettano nel mondo un odio per gli ebrei che ormai si è allargata alla protezione di Hamas. E gli applausi di Sinwar, dell’Autorità nazionale palestinese, di Erdogan, degli Ayatollah, degli imam più estremisti di tutta Europa e dei movimenti antisemiti nelle università di tutto l’Occidente hanno rimbombato in questo teatro surreale in cui non si sa più che l’aggredito è Israele, che l’aggressione, come nel video sulle ragazze rapite e uccise nella loro base, si rivela ancora giorno dopo giorno. Sarebbe un disastro incontenibile, una nuova imposizione della legge della manipolazione, se il tribunale internazionale avesse, cosa che non ha, la giurisdizione per decidere quando le guerre devo iniziare e quando concludersi.
La chiave della conclusione di una guerra è ben più larga, decide della vita e della morte di civiltà, di culture, della sopravvivenza e dei cambiamenti epocali: non lo decide un tribunale dell’ONU imbevuto di ideologia. Non ha portato al pubblico una sola prova, vantandosi della testimonianza dell’UNRWA che ha partecipato all’eccidio del 7 ottobre. In realtà Israele prima di entrare a Rafah, ha aspettato, a lungo il consenso americano, finché è riuscito a creare, in conformità con quanto fatto anche nella prima parte della guerra al nord, un poderoso corridoio di scampo per i civili e di rifornimenti umanitari. Le operazioni sono mirate, l’obiettivo il corridoio con l’’Egitto.
La Casa Bianca dopo una lunga opposizione adesso non contrasta Rafah, e Netanyahu si prepara a una visita al Congresso. Solo la malafede onusiana nasconde che Israele è la vittima e Hamas l’aggressore, e che combattere è una questione di sopravvivenza. Dunque, la sentenza propone lo stop a un genocidio inesistente in cambio di un genocidio realisticamente promesso. Ognuna delle accuse si smonta se il pregiudizio viene cancello. Ma non è possibile. La richiesta di fermare l’esercito a Rafah è una catastrofe concettuale, ma nella realtà Israele non può smettere di combattere: ne va della vita, e del buon senso.
Sangue, orrore, morte: eroine in divisa. Quel fotogramma che cambia la guerra
Il Giornale, 24 maggio 2024
Ogni giorno quando, ormai, da sette mesi la radio alle 6 di mattina, annuncia “È permesso comunicare che…” e si dice il nome di un giovane ucciso in battaglia, è una contrazione dell’anima, il suono di un metallo accartocciato. In un Paese così piccolo, molti sono amici o parenti. Ma da mercoledì si è aperta una ferita ignota coni brani di filmato con le ragazze della base militare di Nahal Oz, insanguinate e brutalizzate, eppure civili, coraggiose, composte davanti alla minaccia definitiva, nelle mani di quei giovani nazisti, a metà fra l’estasi religiosa (si buttano per terra a pregare violentando e uccidendo) e una patetica eccitazione famelica nell’avere nelle mani le ragazze di cui fare scempio. A lato, è uscito anche il film del giovane di Hamas che racconta senza scomporsi come, insieme con suo padre e suo zio ha violentato e poi ucciso. Gaza questo produce, questo esce dalla cultura palestinese.
Il film sulle ragazze è stato mostrato seguendo le indicazioni delle famiglie, non si vedono i corpi senza vita, né ciò che le prigioniere vedono, ovvero la strage delle compagne. Le cinque ancora nelle mani di Hamas sono Liri, Karina, Agam, Daniela, Naama (quella che dice “ho amici in Palestina”, cercando di comunicare agli assassini il suo impegno nel dialogo, una storia vera quanto paradossale adesso), ma a decine sono state macellate e violentate sul posto. Dalle 7 di mattina fino alle una, solo due soldati volontari mentre l’esercito versava nella maggiore confusione arrivarono a cercare di salvare le ragazze. Adesso, dall’orrore e dalla pena del film nascono due domande ed esse riguardano tutto il mondo. Che cosa si deve fare quando il nemico mostra una crudeltà e una determinazione che rompe ogni regola, ogni speranza di dialogo? Le famiglie dei rapiti in gran parte chiedono la trattativa fino in fondo, a tutti i costi, in molti sono per la fine della guerra (una posizione che nel Paese però coinvolge poco più del 30 per cento).
Dall’altra parte, la convinzione è che solo con la pressione delle armi Hamas possa essere costretta a cedere gli ostaggi, che altrimenti sono lo scudo inaccessibile di Sinwar. È ciò che ha detto ieri il ministro Gallant dalla spiaggia di Gaza: siamo a Rafah, combattiamo, il confine con l’Egitto (lo Tzir Philadelphi) è quasi tutto nelle nostre mani. Piegheremo i mostri e recupereremo gli ostaggi. Anche Netanyahu ripete che la guerra vincere Hamas deve andare fino in fondo, e intanto però spiega con intento diplomatico agli USA e all’UE che non ha nessuna intenzione di occupare Gaza: questo, dice non piace a certi suoi alleati di governo ma non mi importa. Biden raccoglie, probabilmente al fondo c’è la percezione strategica che da Hamas non ti viene nulla di e tantomeno dall’Iran suo alleato: oltre ad avere dichiarato il suo scandalo per l’ICC che equipara Bibi a Sinwar, ha cambiato tono su Rafah: Israele ha spostato più di un milione di persone e dopo aver detto che Netanyahu non aveva un piano credibile, adesso dichiara che “Israele ha cambiato i suoi piani, e ha incorporato molte delle nostre osservazioni”.
Dunque, nonostante le accuse insensate delle organizzazioni onusiane di usare la fame come arma, continua il grande lavoro per fornire aiuti umanitari. Però, sotto la superficie, c’è anche l’idea che Hamas deve essere levato di mezzo, perché ostacola ogni piano. Qui, la dissonanza dello Stato palestinese, una vera stessa europea, un regalo che indebolisce la battaglia e la trattativa e fa gioire Sinwar. I tre ambasciatori di Spagna Irlanda e Norvegia sono stati invitati dal ministro degli esteri Israel Katz a vedere da lui il film sulle ragazze rapite. Ma ora sono convinti, di fronte al sangue, all’indottrinamento violento, che uno stato palestinese è prematuro, un pericoloso premio a Hamas? Probabilmente no. E oggi i giudici dell’ICJ, devono decidere se dichiarare Israele genocida e chiederle di cessare la guerra. Dopo avere, si spera, visto, il film su Nahal OZ. È mai possibile una simile perversione?
Le folle antisemite turbano la Segre
Il Giornale, 23 maggio 2024
Nessuno può avere il cuore più spezzato dall’antisemitismo omicida del Sette Ottobre, nessuno più soffrire di più dei suoi enormi postumi antisemiti, della violenza dei cortei giovanili antisraeliani che equiparano la svastica alla stella di Davide di un sopravvissuto alla Shoah. Nessuno può avere negli occhi, nella mente, nel corpo più di Liliana Segre il rifiuto per la massa di menzogna che si accumula di questi tempi sugli ebrei e su Israele. La senatrice adesso ha lanciato il suo grido di dolore dopo anni di lavoro fiducioso e intenso fra i giovani nelle scuole, compiuto sperando che questo segregasse nel passato l’orrore della persecuzione e della distruzione del Popolo Ebraico.
Lo stesso grido fra le ceneri e i tizzoni del kibbutz Be’eri, lo abbiamo sentito dai sopravvissuti Ruth Haram, il cui figlio è stato ucciso dai terroristi di Hamas, e Haim Ra’anan: in Israele avevano ricostruito la vita, Be’eri sul bordo di Gaza era paladino di pace. Ed ecco che il mostro dell’antisemitismo, dopo quello della strage, gli stupri, le decapitazioni di bambini, risorge inaspettatamente: dopo quello razzista del nazifascismo, Liliana Segre ha visto e denunciato la “bestemmia” ignorante, dell’attribuzione a Israele di un genocidio. Il rovesciamento della storia, la strage della verità. L’ignoranza che la senatrice con orrore denuncia, non è solo nella scarsa educazione scolastica: è politica. La struttura internazionale di salvaguardia dei diritti umani, L’ONU, con le sue istituzioni dall’ICC all’UNRWA, ha ereditato dai tempi dell’URSS l’ideologia antioccidentale e antidemocratica per cui a forza di menzogne Israele è finita fra i Paesi colonialisti, razzisti, imperialisti, di apartheid. L’ignoranza di massa, travestita da solidarietà per i poveri, si è trasformata in cinico sostegno per chi odia la democrazia, impicca gli omosessuali, soggioga le donne, uccide i dissidenti.
Hamas è questo, questo sono i suoi alleati, e questo anche i palestinesi di Fatah: oggi tre Stati europei, mentre l’AP tiene per Hamas hanno deciso di regalarle un riconoscimento che rafforza Sinwar. Sarà contento. Non c’è consolazione su questo, ma lotta: i giovani nelle piazze non vogliono due stati per due popoli, ma la distruzione di Israele. È triste per chi, come la Senatrice, ha sperato in un domani di pace. I giovani in piazza contro Israele e la Brigata Ebraica, non vogliono sapere di che fiume e di che mare si tratta gridando “from the river to the sea”. Abbracciano l’invenzione di un ebreo da emarginare, discriminare, infine uccidere. Never again sono io, è il mio turno, mi ha detto un soldato sul fronte di Gaza. Faceva la guardia ai camion di aiuto umanitario che Israele introduce ogni giorno a Gaza. Israele, non ha affamato, non ha cercato un genocidio… si limita a una guerra di difesa indispensabile, e al tentativo di riportare a casa i suoi rapiti.
Invece, Sinwar vuole uccidere non solo gli ebrei ma tutti gli infedeli. Lo dice sempre che ama la morte più di quanto ami la vita. Per saperlo non occorre molto studio, basta liberarsi della benda ideologica. Glielo dica, Senatrice Segre.
Il Tribunale internazionale fa di Netanyahu il nuovo Dreyfus
Il Giornale, 22 maggio 2024
Con l’accusa che equipara Netanyahu e Sinwar, lo Stato d’Israele e Hamas, la Corte Penale Internazionale (ICC) allarga la breccia che si è aperta ormai da anni nella decostruzione della società basata su principi di difesa dei diritti umani, della democrazia. È un bel contributo al disfacimento dell’ONU, di cui l’ICC è figlio e dell’Unione Europea di cui è parente. Chi potrà mai più fra le persone di buon senso credere alla legittimità di un’istituzione per cui vale altrettanto la strage genocida di donne e bambini del 7 ottobre e la difesa indispensabile del proprio popolo combattendo una guerra difficile con cautela e larga diffusione di aiuto umanitario? Chi, se da una parte, c’è Hamas, un mostro trinariciuto che domina una società sottoposta alla legge del terrore e del genocidio degli ebrei per motivi religiosi; e dall’altra chi, erede della cultura che con quella cristiana, fonda il rispetto delle differenze sessuali, religiose, etniche, culturali, la difesa delle minoranze, in 75 anni, risorgendo dalla Shoah contro ogni probabilità, ha costruito una società che benefica il mondo di medicina, tecnologia, letteratura?
L’equiparazione dell’ICC e avvenuta nelle ore di poco successive alla morte di uno dei maggiori sostenitori del mostro di Gaza, il presidente Raisi. Così, si è potuto assistere a un doppio spettacolo internazionale, un film sul futuro. Una valanga di commosse manifestazioni di cordoglio per il boia di Teheran, che ha ucciso torturato e perseguitato a decine di migliaia donne, dissidenti, omosessuali iraniani è stata così noncurante di qualsiasi logica democratica, di qualsiasi comune buon senso, che il portavoce degli affari esteri Peter Stano, dell’Unione Europea, ha giustificato in conferenza stampa le calde espressioni di Borrell… Si sono opposti i parlamentari svedesi e tedeschi, mentre da lontano Russia, Cina, Pakistan, Libano (tre giorni di lutto!), Hamas, dichiaravano tutto il loro dolore. Questa mappa è molto espressiva, insieme a quella sulla disgustosa presa di posizione di Karim Khan. La Cina invita l’ICC a restare fedele al suo compito, con simpatia; la Spagna che odia Israele, il Belgio sempre molto influenzato dalla sua componente musulmana, la Francia che adora prendere posizioni che ne facciano come ai tempi dell’URSS un potere ideologico contrapposto agli USA, stanno con il Tribunale, mentre Biden, menomale, considera “oltraggioso” l’evento.
È lo stesso aggettivo usata da Netanyahu: mettere sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore, la vittima e il persecutore non si può, dice Biden, e promette armi. Anche Blinken ha detto che è una vergogna. L’Italia si è ben comportata insieme all’Inghilterra, Rishi Sunnak ha detto che è impossibile la comparazione, Tajani che “è del tutto inaccettabile che si mettano sullo stesso piano Hamas e Israele”; la Germania che la richiesta da “una falsa impressione di equivalenza”. Ma Borrell, nel suo classico stile, ha detto che tutti gli Stati firmatari della Carta di Roma sono tenuti alle indicazioni dell’ICC: devono arrestare Netanyahu, nel caso la cosa vada in fondo. Gli piacerebbe. Il primo ministro di Israele alla sinistra non piace, non piace che vinca sempre le elezioni, che adesso voglia vincere la guerra contro Hamas, che seguiti a combattere a fronte di tante critiche. È Netanyahu, è molto israeliano, suo fratello Yoni è morto eroicamente a Entebbe, è Bibi, ha il suo carattere e la sua storia, a chi piace e a chi no, ed è legittimo, ma ha sempre combattuto la guerra di difesa di un popolo assediato e eroico, vive da laico nella tradizione culturale di un popolo democratico che ha tremila anni di memorie e uno Stato in costruzione continua.
Invece Sinwar è un tagliagole, un terrorista assassino di bambini, stupratore di donne, oppressore della sua gente. Confonderli, significa che vogliamo dire che le forze Aeree Britanniche e Americane che bombardarono l’Europa per vincere la Seconda Guerra Mondiale erano comandate da assassini, servite da assassini, che il loro intento verso la Germania era genocida. Siamo ormai diventati suprematisti bianchi, colonialisti, razzisti, oppressori… Netanyahu dunque è questo oggi: l’agnello sacrificale del rogo dei diritti umani che si sta compiendo utilizzando l’attizzatoio dell’antisemitismo. Netanyahu è oggi il Dreyfus di ieri, per fortuna tuttavia il suo popolo ha un esercito.
La strategia resta la stessa. Contro Israele e Occidente
Il Giornale, 21 maggio 2024
Morto Raisi, se ne fara un altro. Quasi uguale. Con politiche internazionali e interne identiche a quelle che hanno travolto il Medio Oriente e hanno tenuto il popolo iraniano soggetto alle norme religiose più strette. Si può vedere così il domani geopolitico che si configura già in queste ore dopo la morte di Ebrahim Raisi e dell’attivo ministro degli esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian, insieme agli altri sull’elicottero di ritorno dall’Azerbajan. Già nelle quindici ore di ricerca dei resti degli uomini di stato iraniani, ore drammatiche in cui si sapeva solo nebbia e freddo, l’Ayatollah Khamenei ha mobilitato le Guardie della Rivoluzione a protezione delle zone e degli edifici sensibili mentre tuttavia la soddisfazione della gente cercava di emergere, subito soffocata, con canti e fuochi d’artificio. Ma, al solito, la gente dell’Iran non ha ricevuto dal mondo nessun deciso segnale di sostegno. Al contrario si è levato un coro delle espressioni di sostegno all’Iran fra cui forse la più bizzarra quella dell’IAEA, l’agenzia atomica che ha avuto innumerevoli corpo a corpo con quel Paese il cui maggiore obiettivo è da decenni la bomba e che ormai l’ha quasi confezionata alla faccia specialmente dell’Agenzia stessa, che ha tenuto persino un minuto di silenzio alla sua assemblea.
Le fanno eco le sentite condoglianze dell’ONU, dell’Unione Europea, di Putin, della Cina addoloratissimi, di numerosi Paesi che dimostrano così solo quanta paura faccia l’Iran oggi. La grande strategia di attacco all’Occidente e in primis della distruzione di Israele è stata con sapienza incatenata alla strategia della conquista islamista del Medioriente, in cui Suleimani seppe aprire lo Stato sciita a alleanze sunnite indispensabili alla conquista del terreno circostante Israele. Hamas è stato il prescelto nell’educazione all’eccidio, col 7 di ottobre cui l’Iran ha dato grande spinta militare e ideologica. L’Iran si è reso un alleato prezioso anche con l’abilità nella costruzione di droni e altre armi per la Russia. E se Raisi, morendo lascia in piedi soprattutto la costruzione oppressiva interna col suo soprannome “ il macellaio di Teheran” con la biografia legata dagli anni ‘80 alla decine di migliaia di esecuzioni prima di prigionieri di guerra iracheni, poi di dissidenti, e con la sua persecuzione omicida contro le donne “mal velate”… nei due anni in cui è stato Ministro degli esteri Amir Abdollahian, un allievo diretto di Qassem Suleimani ha costruito un’autostrada di rapporti internazionali imperniati sull’odio antioccidentale bel gestito. Capace di dotto eloquio anche in arabo, ha forgiato un rapporto innovativo con l’Arabia Saudita per strapparla al disegno americano di farne un pilastro di rinnovati Patti di Abramo. La politica Raisi-Abdollahian è la storia di due fautori della linea dura con oasi colloquiali e diplomatiche per, evitando l’escalation improvvisa (per esempio con gli Hezbollah), consentire un comodo sentiero di conquista. Da una parte gli incontri con gli americani in Oman di cui l’ultimo la settimana scorsa fra Brett Gurk, responsabile per la Casa Bianca del Medio Oriente, e inviati di Teheran; dall’altra l’eccidio programmato del 7 di ottobre. Il progetto iraniano di decostruzione di Israele è una lunga strada di lungo dominio dei movimenti politici militarizzati del mondo arabo. L’IRGC ha una metodologia che combina potere militare e paramilitare, fornisce denaro e addestramento, e che ha portato l’influenza e il potere di Teheran in Libano (gli Hezbollah hanno 250mila missili), Yemen, Gaza, Siria, Iraq, West Bank. L’idea del regime è che coi continui attacchi la vita in Israele diventi insostenibile, e che intanto la grande bandiera islamista che è l’odio per Israele divenga irresistibile.
L’investimento molto importante del paese sciita nella causa palestinese, cuore della Fratellanza Musulmana, crea uno spazio internazionale islamista, cui fa da scenario la pioggia di missili balistici su Gerusalemme, che provoca un applauso sonoro come quello che si è potuto notare ieri nelle parole appassionate dedicate da Erdogan all’incidente di Raisi. Non ci sono ragioni di immaginare un cambiamento di rotta: si può strologare sull’interesse che aveva il figlio di Khamenei a diventare il successore di suo padre: ora che Raisi è morto se non succede qualcosa il popolo iraniano avrà questo regalo. Niente di nuovo all’orizzonte. Solo la possibilità che in tempi molto brevi, dato che nessuno ha il coraggio di opporsi sul serio, l’Ayatollah potrà dare ordini di presentare al mondo la sua nuova bomba atomica, nuova di zecca.
Simmetria disgustosa tra carnefici e vittime: la decisione è politica. La guerra? Una scusa
Il Giornale, 21 maggio 2024
Che cosa c’è di strano nel mettere Netanyahu sullo stesso piano di Sinwar? Nulla. È antisemitismo, stupido. Va di moda. Vi ricordate? Il sette di ottobre migliaia di unni si sono rovesciati sulla popolazione innocente, ignara, inconsapevole, e ha maciullato con sistemi inimmaginabili i civili di un Paese che non aveva nessuna intenzione di fare guerra. Le donne, i vecchi, i bambini, sono state violentati, uccisi, fatte a pezzi, le madri uccise di fronte ai figli e i bambini davanti ai genitori, insieme a vecchi bambini ragazzi, e ad oggi i poverini sono ancora prigionieri degli stessi mostri. Ma, miracolo, subito dopo questo episodio, gli stessi che lo avevano preparato e realizzato nei minimi particolari urlando Yehud Yehud, sono diventati le vittime degli ebrei, e gli ebrei sono stati nazificati. Netanyahu, è Sinwar, Israele è nazista, colonialista, imperialista, affama i palestinesi, ha un progetto genocida. Niente fu mai più idiota e disgustoso. Gli aggrediti, Israele, in realtà hanno dovuto affrontare una guerra di difesa che ponesse fine al progetto di sterminio, al pericolo continuo, allo sradicamento dei civili da case lavoro scuole.
Una guerra non è una passeggiata, ma il minotauro si è affacciato dal labirinto della storia a dare il suo contributo agli assassini. Si chiama antisemitismo, il suo fascino muove istituzioni grandi e potenti come l’ONU e l’Unione Europea, cambia il discorso pubblico, ipnotizza le università, lo sport, l’arte, la giustizia, una quantità di persone che sembravano altre, diverse, cui ci eravamo perché immaginavamo che condividessero i nostri ideali sui diritti umani. Non era così. Non è così per Karim Khan, che accusa Netanyahu di qualcosa di molto più grave dei crimini di guerra, cioè di essere uguale a Yahia Sinwar, lo mette alla stregua di un terrorista islamico per cui l’Occidente è un nemico da distruggere, le donne sono creature inferiori da dominare, gli omosessuali, vanno messi a morte, la democrazia una parolaccia. Per favore, non si dica che la decisione dell’ICC riguarda la guerra a Gaza: non è vero.
È una decisione politica che implica soltanto Netanyahu e Gallant, e non Benny Gantz o Eisenkot, che arriva nel momento saliente della guerra, quando la battaglia di Rafah mette a rischio la sopravvivenza di Hamas e anche quella di Israele. Israele si è comportata come non avrebbe fatto nessun altro Paese a rischio di vita così evidente (qualcuno si ricorda che si combatte contemporaneamente anche a Nord con gli Hezbollah e che tre settimane fa centinaia di missili del migliore amico di Hamas, l’Iran sono caduti su Gerusalemme e Tel Aviv?), è l’unico Paese del mondo che ha fornito acqua, cibo, medicine, aiuti umanitari in quantità gigantesca, benzina, non croste di pane ma diete misurate sulle necessità degli assistiti, che ha sempre avvertito prima delle operazioni di guerra e infatti ha spostato centinaia di migliaia di persone, e seguita a farlo.
Ma Hamas sequestra i camion di cibo, è noto. E Hamas seguita a bombardare la popolazione israeliana così che è impossibile cessare dai combattimenti. Hamas nega uno scambio che consenta ai rapiti di tornare a casa e li seguita a torturare. Hamas ha un unico ideale: uccidere, distruggere Israele stabilire lo Stato Islamico. È un nemico cinico e deciso a tutto: qualcuno ignora che negli ospedali, nelle scuole, negli appartamenti, nell’incredibile meandro di gallerie sotterranee c’erano degli uomini per i quali la morte è preferibile alla vita, che hanno messo in prima linea la loro gente, e la loro gente, per altro, ipnotizzata da un’educazione assassina, li segue in massa come fecero i tedeschi col nazismo? Ma questo non lo sa il signor Khan? Perché vuole insegnare al mondo il suo disprezzo per la democrazia e i diritti umani paragonando Netanyahu a Sinwar?
Dolore e orgoglio, Israele celebra l’unicità
Il Giornale, 14 maggio 2024
Sì, il popolo d’Israele è diverso. E sembra audace dirlo adesso, ma il miglior augurio nel giorno del suo settantaseiesimo compleanno che si possa fare, è che i giovani di ogni Paese siano così intensi, dedicati, pratici e patriottici e follemente innamorati della vita come i giovani d’Israele. È difficile, qui, scegliere il buon umore, l’amore, il divertimento, a volte lo scoraggiamento, la mancanza di sostegno, l’aggressività di troppi antagonisti ti spingono nell’angolo. Ma guardate le foto dei giovani israeliani, anche di quelli che combattendo hanno perduto la vita. Sorridono con la maggiore determinazione nota i tempi nostri. E il sorriso di chi sa perché vive. Nei secoli il popolo ebraico ha dovuto imparare per forza una lezione basilare e difficilissima, quella di vivere nonostante e contro; di scegliere ogni volta di non mollare, di coltivare sia l’albero della tradizione ebraica che della civiltà occidentale cui ha dato la vita, e così ha fatto anche questa volta dopo la tragedia che ha attraversato in questi mesi a partire dal 7 di ottobre.
Appare incomprensibile a molti, ogni anno, come il popolo ebraico sia capace di passare dal pianto alla gioia, di seguito: da 24 ore dedicate con disperazione alla memoria dei propri cari, di ogni soldato (quest’anno 764 uccisi in guerra dopo il 7 di ottobre che hanno lasciato 1300 genitori e 250 vedove con più di 525 orfani e e 2180 fratelli e sorelle…) e poi passare, al suono della sirena a unirsi nella commozione festosa per il compleanno del proprio Paese. E sembra ancora più difficile quest’anno, perché i due anniversari si svolgono sotto l’ombra dell’eccidio mostruoso di 1400 uomini donne e bambini, mentre 133 rapiti sono ancora nelle mani degli assassini e tutta Israele, in ogni istante, prega e si batte in battaglia, per il loro ritorno. Tutte le celebrazioni hanno avuto un tono, uno stile, diversi; a qualcuno è piaciuto rilevare la polemica oltre al dolore che è il leitmotiv della storia d’Israele dal 7 di ottobre. Ma non ci si può sbagliare sia nelle storie degli uccisi raccontate una a una, che in quelle dei protagonisti del domani: una grande luce sul mondo, e non solo su Israele, caratterizza questo 76esimo compleanno. È fatta di coraggio, dedizione fino al sacrificio definitivo nate in storie non solo di vita militare, ma di musica, di scienza, di letteratura, di medicina, di studi religiosi, che si guardi a una ventenne che è stata uccisa mentre con le unghie con i denti difendeva il confine; o ancora un’altra soldatessa sopraggiunta spontaneamente col tank, che ha sgominato decine di terroristi, mentre i suoi bambini l’aspettavano a casa; o il paramedico druso che è ritornato decine di volte dentro il campo di Nova, portando in salvo un numero incredibile di ragazzi terrorizzati; o guardando la reazione quieta e decisa di una ragazzina che ha visto uccidere sua padre e sua madre dai terroristi e che ha da pochi giorni ricevuto la notizia che anche il fratello è stato ucciso in guerra. Ora è sola, è forte e decisa a vivere.
La storia di Israele è quella per cui, ora, durante la guerra una start up “Salignostics” ha inventato il test di gravidanza con la saliva. Per cui la biblioteca nazionale a Gerusalemme organizza attività meravigliose, e i soldati vi si aggirano col mitra a ciondoloni, studiando. Un ristorante vicino alla Striscia non fa mai pagare i soldati. La comandante dell’Unità Karakal ha salvato la soldatessa Amit, ferita grave, e all’ospedale il medico che l’accoglie è per caso sua sorella; Israele è la radio che avverte che quando stasera ci sarà la sirena se cambia tono allora si deve correre nei rifugi. Ma ci sono tutti a cantare vecchie canzoni coi ragazzini in camicia bianca alla cerimonia nella scuola qui vicino, e festeggiano la grande vittoria degli Ebrei, l’Indipendenza di Israele. I soldati feriti chiedono: “Posso tornare alla mia unità”? Israele è diversa, ancora nel suo settantaseiesimo anno di vita dovrà scegliere fra il diritto alla vita e il piacere di restare simpatica, dovrà affrontare il problema dell’antisemitismo nel mondo, ma alcune scelte le ha già fatte: quelle della democrazia e dei diritti umani e quella della vita, attraverso tutte le difficoltà.
I bassi istinti dell'Onu
Il Giornale, 11 maggio 2024
Uno Stato palestinese è il sogno di tutti, specialmente di Israele, che ha cominciato a sperare di vederlo nascere in pace sin da quando nel 1948, data della sua fondazione, accettò la partizione: due stati per due popoli. Ma i palestinesi, per i quali l’ONU ieri ha votato di riaprire la porta a una decisione del Consiglio di Sicurezza che gli regali uno Stato, hanno sempre detto di no. Perché? Perché esso avrebbe comportato secondo le regole internazionale, quelle delle risoluzioni ONU, quelle degli accordi di Oslo, di riconoscere Israele e di condividere, suddividere, accettare… invece di rifiutare, distruggere, cancellare, sostituire. Non hanno mai cambiato idea: l’ottanta per cento dei palestinesi di Fatah tiene per Hamas, e Abu Mazen per convinzione o per paura di questa maggioranza molto attiva, che pratica il suo terrorismo quotidiano contro Israele, non ha mai condannato il 7 di ottobre, non ha mai rinunciato a pagare ai terroristi in carcere o alle loro famiglie uno stipendio che cresce col crimine commesso.
Le sue scuole insegnano odio nei testi, le lezioni, le colonie in cui si esaltano gli shahid che uccidono gli ebrei colonialisti e razzisti, si propaganda una cultura di morte; la sua economia non esiste; come la libertà dei dissidenti, delle donne, dei LGTBQ+. La sua leadership è debole e corrotta. E questo è uno stato? Ad aprile gli USA hanno impedito col veto che il Consiglio di Sicurezza approvasse uno Stato palestinese privo della clausola indispensabile del riconoscimento di Israele e della condanna del terrore e senza le discussioni bilaterali sui confini che garantiscano la sicurezza delle due parti, anche di Israele. L’intenzione di votare “Palestina” può sembrare utile a spingere i palestinesi di Fatah verso un processo storico che li responsabilizzi in una Gaza libera da Hamas. Ma questo Fatah se andasse alle elezioni voterebbe per il 78 per cento per Haniyeh e solo per il 16 per Abbas. Inoltre, uno Stato deve avere un territorio, un’unità, un’economia.
E qui cosa c’è invece nonostante gli enormi aiuti internazionale? Armi ovunque, e la ripetuta linea di cancellare Israele. Se adesso gli USA non bloccheranno di nuovo questa follia, si romperanno anche gli accordi di Oslo, salterebbe la strada del negoziato su Gerusalemme, i confini, gli insediamenti, la sicurezza… resterebbe la soddisfazione di Hamas, gli Hezbollah, l’Iran, la Russia...
Nella decisione di ieri c’è solo un invito, dopo che il 7 di ottobre ha mostra di quale odio senza frontiere sono capaci i palestinesi, a infischiarsene della trattativa per fornire una risposta accattivante e ammiccante alle folle che nelle strade urlano “from the river to the sea” e picchiano gli ebrei. È un premio alla violenza, è la creazione di un evidente debito di gratitudine di Fatah verso Hamas. È la paradossale caricatura che fa di Sinwar il Ben Gurion dei palestinesi.
Ma Netanyahu non si scompone: "Andiamo avanti anche da soli"
Il Giornale, 10 maggio 2024
Il primo risultato dell’uscita di Biden è stato che, mentre il capo della Cia William Burns tornava a Washington, Hamas dichiarava che non c’è più nessuna trattativa per i rapiti e tutte le delegazioni lasciavano il Cairo. Hamas festeggia, si disarma Israele, ha pensato, l’antisemitismo impazza, magari oggi l’ONU dichiara unilateralmente lo Stato di Palestina e fa di Sinwar il Ben Gurion dei Palestinesi… L’annuncio, fatto con tono accorato, dice che il Presidente non darà a Israele bombe di precisione per usarle a Rafah. Perché? Per difendere i civili, naturalmente. È una decisione contradditoria e priva di chiarezza morale in una guerra di difesa contro terroristi che hanno giurato la distruzione di Israele, ed è anche poco chiara, una forma di ingiunzione inaccettabile ad uno Stato sovrano in guerra dopo gli orrori del 7 ottobre che poche ore prima Biden aveva ricordato scagliandosi contro l’antisemitismo, come si è visto nelle risposte alla requisitoria del capo della commissione difesa Lindsay Graham, persino il ministro della difesa Lloyd Austin ha risposto imbarazzato e incerto. Le ingiunzioni riguardano un ingresso profondo, che per ora non c’è.
Fino a poche ore prima Israele si è spinto poco oltre il confine, sul Corridoio di Filadelfia, indispensabile per evitare i commerci terroristi di Hamas, e ha colpito alcuni obiettivi specifici, una ventina di gallerie e di covi, gruppi di terroristi. Nonostante lo shock causato dal suo annuncio alla CNN, se Joe Biden pensava che il masso nello stagno che ha gettato annunciando che si terrà 3600 proiettili di precisione destinati a Israele fermasse Israele, qualcosa non è andato secondo i piani. Netanyahu regge il timone, le eco provenienti dal Consiglio di Guerra riunito per l’occasione, non portano traccia di rottura o di un passo indietro. Nessuno, lascerà il campo a causa della minaccia americana, il Presidente ha ignorato la più elementare logica israeliana di questi tempi di guerra, ha sopravvalutato la divisione politica a fronte del patriottismo, ha ignorato che sul tema dei rapiti pesa, con la disperazione delle famiglie che chiedono qualsiasi accordo, anche l’ultima speranza di ritrovarli a Rafah perché si capisce che Hamas dice e forse dirà sempre no a tutto.
Proibire Rafah è una giravolta americana contro la logica e la fedeltà, è chiaro che è indispensabile per battere Hamas battere i quattro battaglioni ancora di stanza nella città… Sinwar ha aggredito Israele con proiettili e bombe da Rafah che hanno ucciso 4 soldati ferendone 11 e poi preso di mira Sderot e i kibbutz del 7 di ottobre. Poi ha rifiutato l’offerta “incredibilmente generosa”, secondo Blinken, per gli ostaggi, e ne ha avanzato una ridicola. Israele intanto ha riaperto, come richiesto da Biden, il valico di Shalom per gli aiuti umanitari, ha accettato nuovi colloqui, tenuto l’esercito fuori dell’abitato di Rafah, sgomberato 150mila persone. Biden ha parlato dei civili colpiti, sacrificati dalla guerra. Ma i numeri noti si sono rivelati gonfiati secondo verifiche internazionali, gli USA stessi durante le loro guerre hanno fatto molti più morti civili; e, soprattutto, è Hamas che sta nelle gallerie mentre usa scudi umani. Netanyahu già da lunedì aveva dichiarato nel Giorno della Shoah che “se Israele deve fare da solo, così farà”, e ha ripostato questa frase in attesa del Gabinetto: “Nessuna pressione internazionale impedirà a Israele di difendersi”. Il ministro della difesa Yoav Gallant dichiara: “Dico ai nostri nemici e ai nostri migliori amici, Israele non può essere sottomesso”.
Anche Benny Gantz e Gadi Eizenkot non hanno certo intenzione di spaccare l’unità mentre si combatte. Israele farà probabilmente del suo meglio per non oltrepassare linee rosse, ma la bussola punta sull’annientamento di Hamas, specie ora che, sicuro di sé, Sinwar si tiene stretti i rapiti.
La decisione di Biden non ha la possibilità di fermare la guerra, Israele produce, meno perfezionate, gran parte delle armi necessarie. Negli USA si disegna un’opposizione alla decisione di Biden che include i conservatori, e anche una parte dei suoi. Il suo partito ha una simpatia morale e una dedizione storica per Israele. Inoltre, l’80 per cento degli americani tiene per Israele, nonostante le università invase dagli woke-proPal in un misto di sinistra e di islam radicali. La decisione di Biden incoraggia i nemici dell’Occidente, consente a Hamas di sopravvivere e di ricostruirsi come crudele padrone di Gaza. Israele combatte una guerra di sopravvivenza che Biden ha sempre dichiarato necessaria. La sua presa di posizione ora è un segnale per Iran e Russia oltre che Hezbollah e Hamas. ll segnale raggiungerà tutta l’alleanza Nato: quando si abbandona il vecchio amico cui ti accomuna una scelta di democrazia e diritti umani, ogni alleanza di sicurezza diventa uno scherzo.
L’errore Usa. Lo stop alle armi
Il Giornale, 09 maggio 2024
Due giorni or sono Israele fece a Hamas una proposta “di incredibile generosità” parole firmate da Blinken. Poi ha aspettato, ha aspettato, ed è venuto un bel “no”. Proprio nelle stesse ore, da Rafah, dove Hamas nel profondo delle gallerie nasconde la sua leadership e forse anche decine di rapiti che la proteggono, e dove ancora sono in forza quattro battaglioni, sono partiti dei colpi di artiglieria molto accurati contro le postazioni israeliane e hanno ucciso quattro soldati e feriti altri undici. di cui due gravi.
Anche la capitale del sud Sderot è stata bombardata, e ancora ieri a testimoniare che Hamas è viva e vegeta dentro Rafah, una ventina fra missili e grossi proiettili sono piombati proprio sui kibbutz su cui il 7 ottobre Hamas ha compiuto le sue atrocità. Poteva Israele esimersi dal rispondere? Israele finalmente dopo mesi di preparazione e lo spostamento verso Khan Yunis di centomila persone di Rafah, mentre si cerca di riaprire quanto più velocemente il valico di Shalom per fare entrare aiuti umanitari, come Biden richiede, agisce. Miracolo, contro tutte le previsioni dei buoni che credono nel cessate il fuoco come in una potentissima aspirina mediorientale, Hamas annuncia che accetta “il cessate il fuoco”. Davvero? Israele benché scettica, pur avendo capito ormai che Hamas non è interessata altro che a tenersi i poveri rapiti stretti a difesa di Sinwar, riapre, manda la sua delegazione al Cairo, e scopre in quelle ore di che cosa è fatta la proposta di Sinwar: di frasi tragicomiche. È pronto a dare 33 ostaggi, dice lui, di cui, si dice, solo 18 vivi. Il resto, corpi, e anche, si dice, “parti di corpo”. Il primo ostaggio di rivedrà solo dopo 3 giorni e poi 3 a settimana, solo prigionieri “umanitari”, ciascuno in cambio di 20 prigionieri anche supersanguinari, e nel secondo stadio 40 contro ciascuna donna-soldatessa. Sulla seconda fase, comunque sia andata la prima, Israele deve giurare subito che la accetta, mentre scorrono le settimane e Hamas si rimpannuccia di armi e soldi iraniani e qatarini.
La terza fase, in cui solo corpi di povere creature straziate vengono restituiti, deve di fatto portare a un cessate il fuoco definitivo. È mai possibile? Oltretutto, Hamas ha già rifiutato ieri ogni cambiamento alle sue idee geniali. E adesso, come si può seguitare a pretendere una tregua che ha la caratteristica principale di garantire la sopravvivenza del mostro senza garanzie? Come può Biden seguitare col bastone e la carota? Come può avviare un restringimento della fornitura di indispensabili proiettili a Israele, mentre lo minaccia e lo isola, e insieme, però dice a tutto il mondo durante la cerimonia contro l’antisemitismo, che lui ricorda molto bene cos’è successo il 7 di ottobre, nei particolari? D’accordo, ha le elezioni, vuole la pace, ma non capisce che non dipende dal ritegno di Israele, quanto dall’aggressività di Hamas. SE non lo si fermerà, essa aumenterà, e spareranno con Sinwar anche gli Hezbollah, e i Houty, e gli Iracheni mentre l’Iran con l’aiuto di Putin sosterrà tutta la compagnia? Israele agisce per ora con molta cautela verso la popolazione di Rafah, Biden lo vede; e quindi se ricorda il 7 ottobre, lasci che Hamas non possa agire di nuovo.