Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Occidente ignavo. È una questione di vita o di morte

venerdì 28 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 28 giugno 2024

Il ritratto della debolezza del mondo occidentale è stato ieri completato dalla richiesta degli USA ai suoi cittadini di lasciare il Libano di fronte al rischio di guerra fra gli Hezbollah e Israele. Si è un rischio terribile, meglio scappare… buona idea. Biden segue una serie di altri Paesi in fuga, fra loro grandi nazioni come la Germania e il Canada, piccoli Paesi come l’Olanda. Il mondo che non ha trovato niente da ridire al fatto che una grande forza terrorista pilotata dall’Iran si sia lanciata nel combattimento contro Israele al fianco di Hamas subito il 7 di ottobre, dopo la peggiore strage antisemita dalla Shoah… scappa. Da nove mesi è sembrato normale che dal nord gli Hezbollah cogliessero l’occasione di un’alleanza pratica fra sciiti e sunniti con Hamas, dunque sull’uccidere i bambini davanti alle madri, le madri davanti ai figli, sullo stupro e l’incendio.

E che ne dovesse derivare, insieme alla tragedia dell’attacco da Gaza, anche lo sgombero dei kibbutz e delle città del nord, così che Israele fosse stretto in una morsa di terrore e miseria e i suoi soldati fossero costretti a dividere la loro solitaria, instancabile difesa del Paese fra due fronti. Normale, imbattibile anche il destino di distruzione possibile della bellissima terra del Libano nelle grinfie di Hezbollah: tutti hanno avuto paura del loro odio e riverenza per il loro nesso con l’Iran, nessuno ha saputo e voluto affrontarlo, neanche a parole. Fa specie pensare che la visita di Hochstein, l’inviato americano, abbia avuto un punto alto nella richiesta di una “Urgent descalation” a Nabib Berri, il presidente del Parlamento che in realtà è notoriamente molto legato a Nasrallah.

Nel 2006, dopo una guerra seguita a un’aggressione accompagnata da crudeli rapimenti, l’11 agosto l’ONU votò all’unanimità la risoluzione 1701 secondo la quale Nasrallah avrebbe ritirato le sue forze dal confine con Israele oltre il fiume Litani, per essere rimpiazzato dall’esercito libanese e dall’UNIFIL. Ma non è accaduto, anche se Hezbollah dichiarò di accettare l’accordo: il confine ha seguitato a essere il luogo da cui la minaccia si affaccia direttamente su Israele sopra e sottoterra attraverso una fitta rete di gallerie e porta missili e un terrorismo feroce come quello di Hamas. Dal confine viene lanciato un campionario dei 250mila missili, almeno, che l’Iran ha fornito anche agli Hezbollah, il suo braccio destro della conquista non solo del Medio Oriente ma nell’attacco messianico al mondo ebraico e cristiano. Dal sette di ottobre lo sport internazionale più diffuso è stato quello di cercare di fermare Israele, non di far pesare la forza dei Paesi più importanti per far rispettare la risoluzione. Questo nel mentre invece l’ONU si agitava in tutte le direzioni per bloccare Israele dal rispondere a Hamas, a Hezbollah, e quindi sullo sfondo all’Iran.

Quello che accadrà adesso è difficile da prevedere: di certo Israele non può permettersi di seguitare ad avere, piccola com’è, quasi centomila sfollati, kibbutz e città importanti come Kiriat Shmona abbandonate, le case e le scuole vuote, gli uffici, le ricerche, le cliniche, la magnifica agricoltura locale in rovina. La gente è importante per lo Stato Ebraico, e nessuno veramente fuori di Israele capisce che quando Gallant dice che il Libano sarà il primo a soffrirne e minaccia la guerra, non lo fa a cuor leggero, ma non può fare altrimenti. Altrimenti è la vita stessa del Paese in pericolo, un’aggressione dal cielo e sulla terra molto peggiore di quella di Hamas. Questo è il tavolo da gioco, per la vita e per la morte: basta far tornare a casa i propri cittadini alla coscienza occidentale?

 

Netanyahu chiude il fronte di Rafah. E apre quello con Hezbollah. Un’intesa o la guerra

martedì 25 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 25 giugno 2024

Fra Gaza e il Libano, fra urgenti e impietose scelte di sopravvivenza, destinato ma deciso a combattere l’aggressione su sette diversi fronti di guerra, fronteggiato dagli Hezbollah in assetto di battaglia: così si disegna la situazione di Israele, come l’ha descritta Netanyahu durante un’intervista domenica. L’idea è quella di ridurre fino a spengerla la guerra di Rafah puntando sull’occupazione completa del confine con l’Egitto, lo “tzir Philadelphi”, il polmone di Hamas col mondo arabo, così da poter gestire le truppe e le armi per affrontare, al bisogno, un nemico peggiore di Hamas, gli Hezbollah. Cercare al Nord, dice Bibi, un accordo; altrimenti, combattere per vincere: la gente sgomberata da casa dovrà pure tornare a casa, gli Hezbollah devono restare oltre il Litani secondo la risoluzione dell’ONU. Ma Nasrallah soppesa i suoi interessi, non vuole buttare via otto mesi di sostegno militante a Hamas, minaccia Israele con più di 250mila missili, è il rappresentante del vero nemico, l’Iran, con lui minaccia di distruzione totale Israele e soppesa di fatto una terza guerra mondiale.

Osservano il comportamento americano: non è solo un fatto tecnico che il generale Charles Q. Brown, capo dei Capi di stato maggiore, ha dichiarato che gli USA avranno difficoltà a difendere Israele da un attacco missilistico potente. A aprile per i missili iraniani ci fu tempo di organizzarsi, qua la gragnuola sarebbe ravvicinata, incessante, i sistemi di difesa entrerebbero, è stato detto, in crisi. Netanyahu ha solo scelte di sopravvivenza: combattere, puntare sullo spirito di unità che dal 1948 vince guerre impossibili, premere sugli USA, l’amico e alleato. Anche Churchill disse a Roosevelt “let me finish the job” chiedendogli armi. Gli israeliani l’hanno fatto mille volte con gli USA. L’insistenza degli ultimi giorni era giustificata da un effettivo rallentamento: Biden vede Bibi come un potenziale alleato di Trump, e aspetta con fastidio il suo prossimo discorso al Congresso, il 24.

In piena guerra e mentre forse si apre il peggiore dei fronti, Israele ha di nuovo aperto la porta allo scontro interno sul nome di Netanyahu: parlare di elezioni e responsabilità è non solo legittimo ma necessario in democrazia, ma Sinwar e Nasrallah ascoltano e deliberano misurando la forza sull’unità interna di Israele, e sui suoi rapporti internazionali. Quando i terroristi con l’Iran, progettavano il 7 di ottobre, sentivano alla Knesset, alle tv, nelle piazze, gli slogan anti-Bibi, accompagnati dall’invito a non presentarsi al servizio di riserva. Il pogrom di Hamas ha però poi aperto una fase di intensa solidarietà, i riservisti e i ragazzi di leva si sono precipitati tutti insieme a combattere il nemico, unica è stata la resistenza delle famiglie orbate, mogli, madri, delle centinaia di migliaia di profughi al sud e al nord.  Anche il “don’t” di Biden ha aiutato a resistere, ma poi è impallidito nella proibizione di Rafah, e nella pressione per gli aiuti umanitari che ci sarebbero stati comunque. Ha temuto le manifestazioni antisraeliane alla viglia delle elezioni, le continue accuse atroci a Israele (genocidio, apartheid, crimini di guerra) nelle sue università. Hezbollah, cauto all’inizio, memore della guerra del 2005, si è poi sempre più identificato col ruolo messianico religioso, l’emissario principe della Scia iraniana (che ha dietro anche la Russia) con un braccio sunnita insieme in una guerra che distruggerà Israele. Intanto, i fuochi in Israele, nelle strade, davanti alla casa stessa di Netanyahu, sono tornati ad accendersi, in piazza lo hanno chiamato “Satana” promettendogli la morte con la moglie e il figlio. Per i dimostranti e non solo, Bibi non accetta la tregua definitiva per liberare i rapiti perché la guerra prolunga il suo potere. Ma è vero il contrario: la guerra, così lunga e terribile, certo non dona alla biografia del PM già crivellata dal 7 ottobre. Netanyahu cerca un epilogo, ma gli Hezbollah sono imprevedibili e crudeli come Hamas, e hanno gli stessi burattinai. I sette fronti di Israele, riguardano tutti.

 

La bimba ebrea stuprata è una minaccia per tutto il mondo

giovedì 20 giugno 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 20 giugno 2024

La bambina ebrea violentata a Parigi aveva commesso due peccati mortali secondo i suoi accusatori: era ebrea, e quindi una creatura degna del peggior male; e, inoltre, non ne aveva avvisato quei ragazzi. Ovvero, non aveva ostentato la sua stella gialla ideale, non aveva confessato la sua abiezione. Così esigeva il nazifascismo, gli ebrei dovevano denunciare il proprio virus, così da potere essere maltrattati, violentati, deportati, uccisi. Oltre che della Shoah, lo stupro come si disegna nelle testimonianze dei giovani criminali francesi, ha le caratteristiche di quelli di Hamas. Se non è arrivata all’omicidio, è per mancanza di armi: ma il rapimento, la violenza sessuale, le urla che ripetevano alla vittima offese antisemite, urlavano Yehud, come i terroristi della Nukba. Un esempio ormai per i giovani antisemiti, from the river to the sea.

Sul telefonino di uno dei giovani stupratori c’è una bandiera israeliana bruciata, e lui spiega che la ragazza ha detto qualcosa che non gli è piaciuto sulla Palestina. Ovvero, nella società di massa i bambini terroristi imparano in massa l’abominio più antico, l’attacco violento contro il genere femminile, di concerto con quello contro gli ebrei senza udirne una sanzione generale. Al contrario i ragazzi, nelle scuole, nelle strade, nei luoghi di divertimento, giocherellano con un messaggio culturale e sociale complessiva che permette l’uso del maggiore fra tutti gli esplosivi a disposizione contro la democrazia e per la guerra: l’antisemitismo. Questi ragazzi hanno ascoltato e letto negli ultimi mesi a bizzeffe parole di odio e disprezzo contro il popolo ebraico e Israele: razzista, colonialista, oppressore, stato di apartheid, affamatore, assassino di bambini, genocida, suprematista… nemico dell’umanità. Da cancellare. IL libro è sempre aperto: la Francia ha Dreyfus nel suo passato, ha Pétain e i treni di bambini ebrei spediti soli a morire, De Gaulle che rifiutò l’aiuto a Israele nel ’67, e più avanti un atteggiamento post-coloniale cauto e colpevolizzato verso gli islamici estremi in crescita sempre più decisi e padronali. Dopo decine di assassini di ebrei come Jan Halimi nel 2006, i tre bambini di Tolosa fucilati col maestro a Tolosa nel 2012, e tanti altri… Oggi il partito di Mélenchon alle prossime elezioni potrebbe guadagnare centinaia di seggi e vede in Hamas un movimento di resistenza. I ragazzi che hanno violentato la bambina oggi in gravi condizioni a Parigi sanno quello che urla la propaganda e che tutte le istituzioni che dovrebbero difendere i diritti umani riverberano, come un definitivo tribunale antisemita. È condanna a morte per gli ebrei, e loro gli esecutori. Persino Macron che non è un nemico, per tenere quieta la sua constituency musulmana si concede di affermare che “Israele non deve uccidere donne e bambini”, come se fosse sua intenzione.

Questo conferma la visione dell’ebreo colpevole, malevolente, incurante degli altri. È ora di capire quanto la politica incurante ha creato antisemitismo assassino. Per quei ragazzi Hamas, dunque, è un movimento di resistenza, ha violentato e ucciso perché le vittime non erano vittime, erano sporchi ebrei, violenti, cattivi. Non sarà la cultura a bloccarli, ma solo la politica.

 

L'IDF sapeva dei piani di Hamas. E si incendia il fronte con il Libano

mercoledì 19 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 19 giugno 2024

Il 29enne reporter Suleiman Maswadeh, un bel ragazzo arabo israeliano che dal primo canale della TV racconta ogni giorno la politica israeliana, ha fatto di nuovo mettere le mani nei capelli a tutti gli israeliani rendendo pubblico un incredibile documento dell’esercito venuto nelle sue mani. Vi si raccontava due settimane prima del pogrom, nei minimi particolari, quello che l’IDF sapeva sulla prospettiva dell’attacco di Hamas effettivamente poi realizzatosi, la Nukba, la maggiore strage di ebrei in un giorno dal tempo della Shoah. Sia il New York Times che il programma tv “Uvda (Prova)” di Ilana Dayan avevano raccontato di notizie raccolte e poi archiviate, messe da parte per spocchia, pigrizia, burocrazia. Il lunghissimo documento nelle mani di Suleiman fu a suo tempo dichiarato degno di una riunione subito dopo il 7 di ottobre, e lascia senza fiato perché l’Unità dell’Intelligence Militare 8200 sapeva tutto nei particolari.

È intitolato “Esercitazioni per il raid, dettagliate da capo a fondo”, ed è così. Il 19 di settembre vennero consegnate a non si sa quale responsabile militare o politico: vi sono annotate le esercitazioni della Nukba minuto per minuto, cosa mangiavano a colazione, come pregavano col loro capo spirituale preparandosi a uccidere, tutti gli obiettivi dei kibbutz e delle città, e anche il preciso ordine di portarsi via dopo l’eccidio 250 rapiti, quasi il numero esatto, 25, di uomini vecchi donne e bambini realmente trascinati a Gaza il 7 ottobre. Il documento racconta come alle 12, dopo aver mangiato, i terroristi ricevevano equipaggiamento e armi per le esercitazioni, e poi ogni compagnia, alle due precise, provava le sue aggressioni a una struttura, a un luogo specifico (caserma, kibbutz, città, quello che è realmente accaduto insomma) secondo i piani... Venivano approntate finte forze armate israeliane, si consegnavano mappe dettagliate delle stanze di controllo, delle sale di riunione, di mense e dormitori.

Sono state rivelate istruzioni specifiche, l’ordine di non lasciare tracce degli ordini scritti, di verificare che gli ostaggi non portassero un telefono, e anche di ucciderli se disturbavano o tentavano di fuggire, previo permesso del comandante. L’indicazione di bendarli portandoli a Gaza comprende anche i bambini come anche quella di cosa farne, dove metterli. L’unico errore rispetto alla storia dell’attacco è che si dice che dozzine di terroristi vi saranno impegnati, e non i tre o addirittura quattromila usati. Suleiman riporta che negli alti gradi qualcuno ha letto il documento, e ha mostrato che su una pagina qualcuno ha scritto “Voglio piangere, gridare, imprecare”. L’esercito ha aggiunto questo rapporto alle responsabilità da verificare e punire, e ha dichiarato che la commissione lo farà. Poca soddisfazione rispetto allo scandalo e ai suoi micidiali punti interrogativi.

Nel frattempo la guerra seguita a presentare i suoi conti: percorrono le strade principali e bloccano il traffico di Gerusalemme le manifestazioni contro Netanyahu nell’atmosfera dolente che infuoca l’aria da Gaza a Kiriat Shmone sul confine del Libano. La polizia reagisce all’assedio alla Knesset e alla casa del Primo Ministro arrestando alcuni manifestanti, le accuse volano pesanti, Netanyahu ha risposto chiedendo di evitare la “guerra fratricida”. A Gaza, la guerra ha un ritmo lento per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari e per evitare il solito biasimo internazionale. Macron, sulla base di accuse poi rivelatesi fuorvianti, aveva chiuso a Israele la mostra Mercato della Difesa Eurosatory, e persino, poi, a tutti gli israeliani. Ieri si è registrata una marcia indietro ancora non completa, ma significativa. Il cartello di divieto d’ingresso è stato tolto. L’inviato di Biden Amos Hochstein si adopera in Libano per evitare l’escalation. Mentre Hezbollah circolava un minaccioso video in cui pubblicizzava i suoi obiettivi su tutta la carta di Israele e rinnovava le sue minacce. Il ministro deli Esteri israeliano Israel Katz ha avvertito: “Se ci fosse una guerra totale, Hezbollah sarebbe distrutto”.

 

 

 

 

Basta Gabinetto di guerra. Ultima parola a Netanyahu

martedì 18 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 18 giugno 2024

Lo hanno chiamato ieri “la cucinetta” “hamitbahon” come lo chiamava Golda Meir: è il nuovo gruppetto di ministri che con Netanyahu deciderà dell’andamento del conflitto in corso, dopo che il Primo Ministro ha dissolto il Gabinetto di guerra da cui si sono dimessi il 9 giugno Benny Gantz e Gadi Eisenkot. La decisione è stata presentata come una conseguenza dello stato di fatto: chi se ne va e chi resta, ovvero il ministro della Difesa Yoav Gallant, quelli degli affari strategici Ron Dermer e il presidente del Partito moderato religioso Shas, Arieh Dery. La verità, si dice, è che si tratti di un garbato rifiuto della proposta dei discussi ministri di destra, Itamar Ben Gvir e Betzalel Smotrich, di entrare a far parte del sancta sanctorum del conflitto. Le loro idee creano sempre tsunami in Israele e all’estero.

Comunque le decisioni più importanti, come per esempio la dichiarazione di guerra agli hezbollah devono essere comunque prese dal Governo nel suo complesso. Al momento, la situazione è incerta e delicata, richiede prudenza e stabilità, e questo oltre l’impegno ripetuto per una vittoria su Hamas, è quello che sembra dominare le decisioni di Netanyahu. Il PM si prepara alla visita negli Stati Uniti praticando un atteggiamento equilibrato, che non alieni l’interesse degli USA né lo sforzo di Biden di far piacere la sua alleanza con Israele ai suoi elettori: ci vuole quindi prudenza sul campo, specie a Rafah dove l’operazione è a buon punto, e aiuti umanitari. Ma deve anche rispondere alla naturale spinta dell’esercito e del Paese a agire sul campo, i dodici eroici soldati uccisi in 24 ore, le loro storie di gioventù, il sogno irrealizzato di liberare un grande numero di ostaggi e di cancellare la leadership mostruosa di Sinwar, si disegnano molto lentamente; Israele si batte eroicamente ma soffre all’aperto, da democrazia ferita, infrangendo i normali riti di guerra; al nord la situazione è esplosiva, i cittadini sfollati chiedono di intervenire. La sfida è tre fronti: la battaglia di Rafah procede molto bene, ma troppo lenta per timore di colpire la popolazione civile. C’è chi calcola che solo poco più di cinquecento armati su 10mila là acquartierati siano stati eliminati; l’esercito si ferma per far passare i camion di aiuti, ma su sedici undici finiscono nelle mani di Hamas che li cattura e ne rivende le merci.

Le gallerie infinite e di cui molte imboccano dal confine egiziano rallentano le operazioni e gli Usa con il consesso internazionale sin dall’inizio hanno imposto a Israele di combattere con una mano legata dietro la schiena. Al confine libanese, da due giorni Israele rispetta la festa musulmana del Chorban, il Sacrificio, e Hezbollah è quasi fermo, dopo però uno sbarramento di 96 missili e droni da Metullah fino a Haifa, a Tiberiade e a Safed. In uno di questi, 160 grossi proiettili sono stati lanciati in 90 minuti. Centomila cittadini hanno dovuto abbandonare la loro casa, le scuole, il lavoro, i morti e i feriti sono storie quotidiane. L’emissario americano Amos Hochstein ieri si incontrato con Netanyahu e altri, la missione di Biden è no al conflitto. Hochstein cerca un generale cessate il fuoco anche con la liberazione degli ostaggi, Gaza più Hezbollah. Poco credibile. Nasrallah rifiuta la realizzazione dell’accordo che prevede il ritiro degli Hezbollah al fiume Litani, La decisione incombe, il veto americano è totale.

Il terzo fronte è una folla non grande ma compatta che fa della defenestrazione di Bibi il suo primo scopo, e chiede le elezioni anticipate, descrivendolo come un cinico politico che non vuole i rapiti a casa: ma la proposta Netanyahu è proprio quella che Biden auspica e che solo Hamas non vuole.

 

Israeliani (ed ebrei) «non graditi» alla fiera francese su difesa e sicurezza

lunedì 17 giugno 2024 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 17 giugno 2024

Forse al prestigioso evento di difesa e sicurezza Eurosatory, una mostra- mercato intitolata alla “Guerra contro il terrorismo” verrà risparmiato il capitolo in cui domani, aprendo, deve esporre al suo ingresso un cartello in cui proibisce agli israeliani, tutti gli israeliani e anche alla fine agli ebrei, ovvero chiunque possa essere un mallevadore per Israele, di entrare. Con risveglio tardivo, rendendosi conto che qui si stava esagerando davvero e che nella storia altri cartelli con scritto “ingresso vietato agli ebrei” hanno avuto significati e conseguenze repugnanti, gli organizzatori della mostra hanno presentato un appello perché riveda la decisione della Corte di Giustizia di sbarrare l’ingresso alle compagnie di armi di Israele, o almeno l’ulteriore decisione della Corte di Bobigny che estende il divieto d’ingresso ai possibili intermediari, i quali, non essendo  identificabili, possono essere gli israeliani o persino gli ebrei di qualsiasi nazionalità. La mostra doveva ospitare 74 su 2000 espositori, i biglietti erano fatti, gli alberghi prenotati, come le complesse operazioni che il trasporto di oggetti delicati richiede: ma circa due settimane fa, dopo che Macron aveva richiesto con toni persino più aspri di Biden di non entrare a Rafah. La critica, con quella di tutta Europa, è divenuta accusa quando un’esplosione ha fatto alcune decine di morti palestinesi in un incendio.

L’indagine ha dimostrato che Israele aveva mirato su due capi terroristi, ma che l’esplosivo di Hamas nelle tende aveva causato il disastro. Il clima dell’accusa si è infuocato, le folle l’hanno applaudito, il ministro della difesa Sebastien Lecornu è stato accusato di favorire l’esportazione di armi a Israele, il governo francese ha deciso di boicottarne la presenza con i famosi sistemi di difesa e di armi di precisione. Subito dopo, eccitate, le ONG come l’Associazione di Solidarietà Franco palestinese (AFPS) e Al Haq, organizzazione filopalestinese “per i diritti umani”, hanno chiesto di bloccare l’ingresso di tutti gli israeliani e gli ebrei: il cartello che lo annuncia, se il ricorso di Eurosatory non verrà accolto, costituirà una bella soddisfazione per Hamas, una bandiera per gli antisemiti e un segnale sulle guerre giuste e su quelle da odiare, un tema che occupa l’ Europa non poco alla vigila del nuovo Parlamento. Lo stand vuoto perché era stato affittato da Israele, diverrà un sito di pellegrinaggio per gli antisemiti francesi; l’organizzatore dell’evento Coges, non sembra affatto soddisfatto che la sua mostra diventi un’esibizione di antisemitismo. Israele è già stata esclusa dalla mostra aerea in Cile, dove governa l’antisraeliano Gabriel Boric. Ma a Parigi, si può prevedere che le grandi compagnie israeliane non soffriranno: Elbit, che ha ordinato ai suoi di astenersi da ogni visita, ha una lista di ordini per 20.4 miliardi di dollari, IAI, ha ordini per 19.1 miliardi, Rafael dai suoi 15.1 miliardi è cresciuta di 250 milioni nei primi tre mesi del 2024. Compagnie svedesi come Elbit Svezia, così come tedesche (German Unite Dynamite Noble Defence) miste, faranno parte della mostra, come anche le Syngapore Technologies Engeineering collegata alla Proteus israeliana che ha sviluppato il missile di difesa navale Blue Spear.

Le piccole compagnie, piuttosto, temono una ricaduta dall’esclusione. Macron ha un accordo altalenante con Israele: ha dichiarato guerra all’antisemitismo in un discorso molto appassionato; ha alzato i suoi aerei in volo ad aprile contro i missili iraniani, sostiene le sanzioni all’Iran. E di questi giorni una controversa proposta per una soluzione diplomatica col Libano che auspica una triade America Israele USA, di cui il ministro della difesa Gallant non vuole sentir parlare, mentre il ministro degli esteri Katz sostiene che Francia e Israele hanno a volte opinioni diverse, ma non c’è inimicizia. Macron come dal tempo di De Gaulle la Francia, che ebbe vaste responsabilità mediorientali dopo la fine dell’Impero Ottomano, a volte pretende un ruolo che la guerra del 7 di ottobre ha sconquassato. A causa della sua vasta popolazione islamica che è tutta aggressivamente filopalestinese, l’antisemitismo sale vertiginosamente: la Francia vede la sua antichissima comunità perseguitata e sofferente. La cura e la difesa degli ebrei e di Israele, non il pacifismo, aiuteranno Macron e la sua credibilità internazionale.  

 

Rafah, esplode un blindato di Israele. Otto soldati morti. Netanyahu: "Andiamo avanti"

domenica 16 giugno 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 16 giugno 2024

Dopo otto mesi di duro scontro, Hamas sporge la testa dalle rovine di Rafah. Ieri mattina alle cinque un “Nagmash” un mezzo corazzato con dentro otto soldati tornava, parte di un corteo di alcuni autoveicoli simili, da un’operazione durata tutta la nottata, uno scontro molto duro con Hamas, di cui Rafah è la maggiore base. Quale sia stata la causa dell’esplosione non è del tutto chiaro, ma il risultato sono otto morti, fra cui il comandante druso Wassim Mahmoud: nel suo villaggio di Beit Jann, la sua famiglia, di generazione in generazione fedele al Paese e all’esercito, ha dovuto piangere l’addio al proprio figlio proprio durante la Festa del Sacrificio, il “Korban”. Hamas, mentre tutta Israele studia l’evento nel dolore e nella discussione, ha subito orgogliosamente rivendicato l’evento: forse un missile o una carica agganciata da Hamas al veicolo ha causato lo scoppio fatale dell’esplosivo trasportato dal “Namer” ovvero la “Tigre”.

Ci sono volute ore e altri spari per raggiungere il Namer e recuperare i corpi dei soldati dal mezzo esploso nella parte nord-occidentale di Rafah nel quartiere elegante di Tel Sultan, dove nella battaglia una cinquantina di uomini di Hamas erano stati uccisi. La soddisfazione di Hamas è un’affermazione di sopravvivenza, di dominio, della volontà di seguitare a sfidare Israele, è un segnalare agli alleati russi, iraniani, agli Hezbollah che vale la pena di puntare ancora sulla leadership di Sinwar. Da quando Israele ha mosso i suoi tank dentro Rafah, roccaforte di Hamas, l’organizzazione terrorista ha inaugurato una strategia “mordi e fuggi”, in cui usa tutte le risorse locali, i tunnel, le riserve di armi, sfodera da sottoterra i terroristi preparati appositamente alla guerra. Insomma, mobilita tutta la preparazione approntata prima del 7 ottobre per una guerra di lungo termine. Vuole dimostrare che l’obiettivo di Netanyahu di distruggere il mostro che ha compiuto il pogrom del sette ottobre non può realizzarsi, tantomeno in tempi brevi. Probabilmente senza i soldati che sono andati a combattere per riportare a casa i corpi dei soldati uccisi ieri, Hamas avrebbe rapito anche i corpi dei soldati uccisi, come già ha fatto per esempio nel 2014 coi corpi Oron Shaul e Hadar Goldin, aggiungendo così altri elementi orrifici al suo giuoco. Sempre ieri Hamas ha sparato missili dentro Israele, a Sufa, a Sdei Avraham, a Holit e altrove al sud, e l’ha fatto dalla zona umanitaria, che dovrebbe essere demilitarizzata, per creata una nuova provocazione.

Secondo Sinwar stesso, creando una indispensabile reazione di Israele (non può lasciare che missili piovano da Gaza sui cittadini dentro il confine Israele) lo si attrae nella trappola bellica che mette a rischio la gente dentro Gaza, e costringe Israele in un assedio in cui il mondo le richiede il cessate il fuoco. È un cerchio che si chiude sulla tragedia dei rapiti: Hamas, anche per Biden e Blinken, rifiuta ogni accordo, i rapiti restano per Sinwar uno strumento di guerra, di ricatto supremo per ottenere alla fine il controllo della striscia col ritiro di Israele. E qui in Israele ieri sera si sono riaperte le pressioni su Netanyahu perché disegni un futuro per Gaza dopo la guerra, come vorrebbe Biden, ovvero una compagine araba di cui faccia parte l’Autorità nazionale palestinese che metta Hamas da parte. Ma come è possibile quando nell’AP la popolazione concordemente è tutta favorevole a Hamas? Qui, chi sollecita due stati per due popoli non ha ancora fornito una risposta.

Per ora Israele non ha la possibilità di cedere, a meno di non consegnare a Hamas una vittoria. Quindi i suoi soldati, che ormai entrano ed escono nel servizio di riserva in modo che tortura la vita del Paese, si fanno coraggio: seguiteranno a combattere fino a che, in qualche modo, non si disegni una sconfitta di Hamas. Un nobile obiettivo per il mondo intero, che può portare all’unica vera pace.  

 

Altra condanna per Israele. Continua la persecuzione dell'Onu

giovedì 13 giugno 2024 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 13 giugno 2024

Avanti un altro. La caccia dell’Onu a Israele continua. Una commissione dell’Onu ieri, dopo un esame alquanto soggettivo (ha dichiaro “crimini sessuali” gli stupri omicidi del 7 ottobre e il fatto che i palestinesi prigionieri avevano dovuto spogliarsi per prevenire aggressioni armate) ha deciso che Israele ha compiuto azioni che includono “crimini contro l’umanità” che includono “atti di sterminio”. L’Onu ha il suo vocabolario per Israele: crimini contro l’umanità, razzismo, apartheid, genocidio, stragi, attacchi sproporzionati, e ora il capitolo speciale sull’uccisione di bambini, che ricalca il blood libel classico, per cui gli ebrei uccidono gli infanti per utilizzarne il sangue. Il blood libel è un classico di tutti i tempi: Ariel Sharon fu immortalato in una vignetta che vinse un premio internazionale mentre, col petto nudo lordo di sangue, sgranocchia teste di bambini. Solo pochi giorni fa su suggerimento di un’impiegata dell’Onu che purtroppo è italiana, Israele è messo nella “lista nera” di chi uccide i bambini. Niente è più estraneo al popolo ebraico, trascinato in una guerra indispensabile di difesa dalla peggiore organizzazione terrorista del mondo. Ma l’UNHRC, la Commissione per i Diritti Umani creata nel 2006 può vantarsi che il numero delle risoluzioni contro Israele è pari a quelle comminate a tutto il resto del mondo intero. La Commissione mette sullo stesso piano i crimini compiuti da Hamas e da Israele. Per Israele si tratta “di un largo e sistematico attacco diretto alla popolazione civile di Gaza… con crimini di sterminio, delitto, persecuzione di genere contro uomini e ragazzi palestinesi, trasferimento forzato, torture e crudeli trattamenti”.

L’Onu, di nuovo mette sullo stesso piano i terroristi che fanno una dottrina professata e conclamata dell’uccisione degli ebrei, e che hanno con compiacimento esibizionista compiuto i più inenarrabili crimini e proseguono, detenendo ostaggi innocenti, e Israele, costretto a difendersi. Sinwar teorizza il sacrificio delle vite dei suoi stipati con i lanciamissili, i mitra, i terroristi della Nukba nelle scuole dell’UNRWA (sempre dell’Onu!) negli ospedali, nelle case, nelle gallerie piene di tritolo e di missili insieme ai rapiti del 7 ottobre, così da rendere la guerra un carnaio inevitabile. “Abbiamo gli Israeliani esattamente dove li vogliamo” ha detto Sinwar per spiegare il successo della teoria della carneficina dei suoi. E avrebbe dovuto aggiungere: abbiamo l’Onu esattamente dove ci serve, con le maggioranze automatiche dal tempo dell’URSS, col più esplicito odio antisemita: nel ’75 la risoluzione “sionismo uguale razzismo”, via via fino al 2001 con la conferenza di Durban che con Arafat, Mugabe, Fidel Castro, che raccoglie tutto l’odio razzista antioccidentale e anti Israele. Poi, la relazione Goldstone, nel 2009, sempre a cura del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, che Goldstone amaramente rinnegò spiegandone i meccanismi di menzogna. Guterres dal primo momento dopo il 7 di ottobre ha impegnato la sua grossa macchina con sede a New York, nata per combattere l’antisemitismo, a promuoverlo in tutto il mondo, quando ha detto che la strage “non nasceva nel vuoto” ma che doveva essere colpa degli ebrei. E poi la Corte internazionale di giustizia, con la condanna per genocidio, la Corte penale internazionale che mette Sinwar e Netanyahu sullo stesso piano, anzi, nella stessa cella.

 Non è facile sapere se il mondo si sveglierà dalla completa obliterazione di ogni criterio di buon senso, a partire dall’elementare punto di non prendere i numeri dei morti forniti dal “Ministero della Salute” di Hamas per buoni, come poi tante volte è stato dimostrato.  New York dovrebbe recuperare il suo grande edificio imbandierato per dedicarlo a una vera coalizione di Paesi desiderosi di verità e di buon senso. Essi, dopo il minuto di silenzio dedicato dal Consiglio di Sicurezza al Primo Ministro iraniano Raisi, un silenzio dimentico delle stragi delle donne “mal velate” e dei gay impiccati in cui risuonavano le risate di Sinwar, dovrebbero decidere che l’ONU non ha più diritto di parlare a loro nome.    

 

La commedia degli errori che favorisce Sinwar

martedì 11 giugno 2024 Il Giornale 2 commenti

Il Giornale, 11 giugno 2024

E se adesso scoppia la guerra vera dopo gli ultimi missili degli Hezbollah? Gantz che farà? Tornerà nel governo dicendo “scusate ho sbagliato”? Chiederà di aspettare le elezioni? O seguiterà anche allora a chiedere a Netanyahu di andare alle urne, cercando di mettere insieme una “vera coalizione” come la chiama, che si ispiri di nuovo, come prima del 7 ottobre allo slogan “tutti fuorché Bibi”? Ma anche allora Netanyahu vinse, non ha scelto il momento più sbagliato anche perché Hamas e l’Iran interpretano la defezione come uno smembramento di Israele stesso? Adesso che Gallant, evidentemente più consapevole del suo ruolo e del momento, mostra di non voler rispondere alla chiamata ritenendo, da bravo ministro della Difesa, che la guerra sia il fronte maggiore, Gantz non ne subirà una prima seria botta politica? Ha detto nel suo discorso di dimissioni che la guerra non si può vincere perché Netanyahu non lo consente… E allora come spiega che Gallant che certo non lo ama, tuttavia resti al suo fianco? Gli Usa in questa commedia degli errori che inventa ostacoli e divieti (Rafah!) di ogni genere e ad ogni istante e così impedisce la conclusione della guerra hanno un ruolo ondivago e confuso: eleggono Gantz a interlocutore privilegiato, anzi quasi unico al posto di Bibi, e poi lo spingono, rendendolo di fatto il loro punto di riferimento politico, a uscire dal Governo alla ricerca di un nuovo Governo, ma quello attuale ora, in un momento denso di decisioni fatali, resta vuoto della sua presenza, e la Ben Gvir e a Smotrich si allargano quanto mai.

Intanto, l’ennesima discesa dalla scaletta dell’aereo di Blinken chiede di nuovo il cessate il fuoco, in nome della restituzione degli ostaggi. Arrivato ieri dal Cairo per inoltrarsi in incontri con Bibi e anche con Gantz, ha ripetuto che bisogna soprattutto spingere su Hamas perché accetti il piano presentato da Biden dieci giorni fa, “il piano Netanyahu” più o meno fedele all’originale. Bene, se fosse questa la chiave per ritrovare la pace gli USA dovrebbero spiegare come si fa a convincere Hamas a lasciare andare gli ostaggi. Nemmeno le più generose offerte convincono Sinwar, sono la sua orribile ricchezza, il prezzo del potere trasformato in esseri umani. 

Ieri è uscita la notizia, smentita, che gli USA abbiano addirittura avviato una trattativa da soli per cinque rapiti americani in cima alla lista. Cinico? Certo, ma soprattutto impossibile. Che cosa ha in mano Biden per spingere Hamas ad accettare? Sinwar non vuole cedere nessun ostaggio se non in cambio della sopravvivenza del suo regime, e della sua vita. Israele, non solo Netanyahu, non andrà oltre la già generosissima ipotesi in tre stadi presentata da Biden. Rischia un fallimento storico: dovrebbe finalmente fidarsi dei mediorientalisti che spiegano che coi terroristi non c’è patto possibile, non c’è che combatterli e vincerli prima che vincano loro. E non solo gli USA fingono di non saperlo, ma di fatto con la prossima risoluzione del Consiglio di Sicurezza che imporrà il cessate il fuoco per imporre a Israele, di nuovo, di fermarsi, mentre l’unica strada, anche per salvare i prigionieri americani, è mostrare forza e coraggio. 

 

La prima festa dal 7 ottobre per fiducia e unità ritrovate. L’eroico sacrificio di Smora

domenica 9 giugno 2024 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 09 giugno 2024
 
Noah sulla motocicletta, trascinata via dai mostri mentre il suo compagno resta nelle loro mani, Noah che urla mentre le gettano uno straccio sul bellissimo volto orientale e la schiacciano fra due assassini nella corsa verso una prigionia che ieri aveva raggiunto i 246 giorni, era il simbolo della sciagura invincibile, della vittoria del male. Sua madre, in fin di vita aveva espresso di rivederla ancora una volta, e ormai Israele piangeva la sua tragedia. Fino a ieri: quando, ha raccontato, qualcuno ha picchiato sulla porta e ha detto “è l’Esercito, siamo venuti a salvarti”. Israele ha pianto di commozione per strada, nelle case, davanti alla tv, Noah sorrideva, abbracciava Bibi, andava dalla mamma all’ospedale. In canottiera nera Almog appena liberato piangeva al telefono coi ragazzi amici suoi, tutti impazziti di gioia, Shlomo urlava amore mio alla moglie mentre lei correva all’ospedale. Famiglie, ragazzi con la bandiera per strada, bambini felici.. Israele dopo il 7 ottobre per la prima volta in festa, festa non solo del ritorno degli ostaggi, come fu per 116 liberati con lo scambio, o degli altri tre liberati poi. È la festa del rinnovamento della propria fiducia. La spirale della depressione in questa guerra è potente e ripete ossessivamente: gli ostaggi sono tutti morti, oppure sono in condizioni irrecuperabili, l’Esercito israeliano non ha la capacità di salvarli, la loro sorte è nella mani di Sinwar, solo sua la decisione per la vita o la morte, balle che l’Esercito possa aiutarne la liberazione con la pressione militare, non c’è che piegarsi al volere di Hamas: “Cessate il fuoco” per restare al potere. Dunque, recita il breviario dei luoghi comuni, Netanyahu che deve fermare la guerra con un accordo a tutti i costi, invece sacrifica i rapiti alle sue ambizioni politiche, anzi, non gliene importa di loro. 
 
E poi anche: ormai la frattura interna separa l’esercito e i reparti speciali dal Governo, il Governo stesso è a pezzi, Gantz sta per abbandonarlo. Questa costruzione ieri è crollata sotto il peso di una valanga di emozione, di lacrime e sorrisi, di abbracci e di congratulazioni quando Noah, Shlomi, Almog e Andrei che sono stati salvati a Nuseirat, in una zona fra le più affollate e impossibili da penetrare, da un commando dell’Esercito, ieri sono stati stretti fra le braccia di un Bibi commosso come non si era visto: il recupero degli ostaggi, dato che Joni, suo fratello, cadde a Entebbe, è palesemente vicino al suo cuore. Per Israele è stato importante riconoscere ieri il suo leader, vittorioso. È stato sensibile, è stato capace, ha lavorato in segreto e nell’accordo generale. Israele per un attimo non soffre delle solite divisioni. L’operazione di svolta si è disegnata giovedì sera con una riunione segreta in cui il Primo Ministro ha dato il suo placet all’operazione: c’erano il ministro della difesa Gallant, il Capo di Stato maggiore Herzi Halevi, e i capi delle unità di sicurezza. In particolare, la mitica Yamam, unità antiterrorismo, ha di fatto, sulla base di intricatissime informazioni raccolte in mesi dallo Shabback, ha compiuto un’operazione impossibile, che resterà, come Entebbe, nella storia delle liberazioni di ostaggi. Anche qui un eroe è caduto, come a Entebbe cadde Joni Netanyahu, il 36 enne Arnon Smora che lascia due bambini piccoli: una pallottola lo ha colpito alla testa mentre combatteva al terzo piano in uno dei due appartamenti in cui erano rinchiusi gli ostaggi, quello dei tre maschi. Noah era in un appartamento a 200 metri di distanza. Se le due operazioni non fossero state compiute con perfetto sincronismo, i prigionieri su cui ci fosse stato ritardo sarebbero stati quasi di sicuro eliminati. 
 
Solo sabato mattina a un’ultima verifica, Netanyahu ha dato il placet: una scelta in cui, come lui stesso ha detto, fra fallimento e successo “c’era un capello di distanza”. “Non ci ho pensato un minuto” ha detto a Andrei abbracciandolo “vi riporteremo tutti a casa, in un modo o nell’altro”. Sarebbe stato per lui un disastro politico e militare molto profondo non riuscire, forse definitivo, e l’ha fatto lo stesso. Hic Rodhus: arrivare al doppio obiettivo, fare irruzione mentre intorno ormai Hamas chiamava rinforzi, combattere una battaglia durissima coi guardiani e i loro alleati, secondo la consueta tecnica di uso della gente peraltro chiusa sul suo segreto e consenziente con lo scopo criminale. Gantz naturalmente, peraltro avvertito da giovedì sera, ha rimandato l’uscita prevista per ieri sera. Cosa stia ora rimuginando Hamas, può andare sia verso l’accettazione dell’accordo sul tavolo dalla presentazione di Biden, visto che l’attacco ha dimostrato la forza di Israele; oppure spingerà Sinwar a giocare il tutto per tutto sadicamente sui 116 poverini nelle sue mani. Quello che è certo è che in Israele, col dolore per Smora, con la promessa di restare saldi nel recupero dei rapiti, si respira aria di unità, di bravura... E forse anche di fortuna, finalmente.   
 
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