Fiamma Nirenstein Blog

Il Giornale

Roma faccia come gli Usa. Si dissoci dalla follia

mercoledì 12 settembre 2018 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 12 settembre 2018

Fa un certo perverso piacere che l'Italia assaggi l'ONU in tutta la sua sfacciataggine e doppio standard adesso che annuncia santificate spedizioni (non magari come i "peace keeper" che sono accusati di stupro, o come i distributori di fondi internazionali che lucrano sulle miserie umane?) per verificare quanto l'Italia viola i Diritti umani. Così magari comincerà un processo di revisione del suo rapporto con l'ONU, forse smetterà di votare o al massimo di astenersi mentre cerca di compiacere le maggioranze automatiche che condannano solo Israele (come quando il 23 dicembre 2016 Obama, ultimo atto di una gestione insistentemente anti-Israele, fece astenere gli USA su una mozione-tradimento, che sovvertiva la cautela tradizionale che aveva sempre tenuto come punto di riferimento la risoluzione 242, e non la condanna palestinese unilaterale degli insediamenti), o si associano nelle organizzazione dell'ONU come l'UNESCO a gesti irrazionali e inconsulti, come dichiarare il Muro del Pianto retaggio musulmano. [...]

Il nuovo inizio di Israele. Sfida di un popolo felice ai predicatori dell'odio

lunedì 10 settembre 2018 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 10 settembre 2018

Rosh Ha Shana, il capodanno ebraico, ha segnato ieri sera l'ingresso del 5779. Siamo un bel pezzo avanti nell'incredibile storia umana e nella storia ebraica. Ma quando entra l'anno nuovo cominciano subito, insieme al brindisi, alle benedizioni, alla mela intinta nel miele per significare prosperità e dolcezza, anche i pensieri. Infatti i giorni successivi, per una settimana intera, sono dedicati, fino a Yom Kippur, il grande digiuno caro al popolo ebraico, alla riflessione su se stessi, ai propri fallimenti, peccati, errori. In quel giorno poi Dio segnerà nel libro della  vita chiunque abbia perdonato e si sia scusato. Israele naturalmente fa i compiti: cos'è andato bene, cos'è andato male, dove abbiamo sbagliato, cosa è stato giusto. E quindi, che cosa ne deriva per il futuro.
 
Quest'anno ha visto un attacco di stampa molto dura sul Primo Ministro, sulle indagini (non formalizzate) sul suo comportamento e quello della sua famiglia; sulla nuova Costituzione che dichiara Israele patria del popolo ebraico; sul ruolo della magistratura. Al di là delle drammatizzazioni politiche, è un dibattito tipico delle democrazie, sorprendente in un Paese in stato di guerra. Alla fine la guerra è stata evitata con prudenza e audace diplomazia sotterranea; l'economia cresce, i partiti religiosi, membri della coalizione, vengono tenuti a bada con concessioni cosmetiche. [...]

La fine del finto pacifista Abu Mazen.Trump ha svelato la sua incapacità

lunedì 3 settembre 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 03 settembre 2018

Non c'è giorno ormai in cui Abu Mazen, al secolo Mahmoud Abbas, non denunci con le parole e coi fatti,il declino del suo potere, anzi, la sua agonia, mentre altri uomini, altri eventi, occupano lo spazio della scena palestinese, e anche del suo eventuale,difficile tuttavia, sviluppo.

Ieri l'ultima uscita di Abu Mazen denuncia per l'ennesima volta il  rifiuto verticale a ogni proposta di un piano di pace che provenga dagli Stati Uniti, dall'odiato presidente Trump che ha osato riconoscere che Gerusalemme è la capitale d'Israele: questo, più di ogni altro evento, ha messo il punto esclamativo sul fallimento di una politica. Abu Mazen non ha ottenuto guadagni storici rifiutando ogni accordo; ha cercato di costruirsi un'immagine decente e pacifista all'estero, gestendo invece con determinazione e con la distribuzione di molto denaro (proveniente dagli aiuti del mondo intero) la continua spinta al terrorismo; non ha fatto spazio a una successione, e ora è assediato dai suoi peggiori nemici. Con un comunicato di ieri, Abu Mazen condanna l'idea che i Palestinesi e la Giordania debbano formare una confederazione, un tema per altro mai confermato dagli americani come parte di un piano di pace ma che potrebbe presto venire all'orizzonte carico di promesse economiche e di pubblico interesse: ma lui vede il piano americano come parte della cospirazione di cui parla di continuo per annientare la causa nazionale palestinese. Ma non è così: è la politica palestinese, lasua politica, quella di Abu Mazen ereditata da Arafat, dichiarazioni di buone intenzioni e terrorismo,  che finalmente è stato messa a nudo da una serie di mosse del governo di Trump, e dalla sua rappresentante all'ONU, Nikki Haley. [...]

Corbyn sbugiardato: portò fiori ai terroristi

domenica 12 agosto 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 12 agosto 2018

Fu nel settembre del 1972 che l'orrore del terrorismo palestinese raggiunse il suo picco: 11 atleti israeliani che partecipavano alle Olimpiadi di Monaco furono presi in ostaggio da un commando. Chi non ha visto la foto di uno di loro sul terrazzo delle baracche sportive con una calza a nascondergli la faccia mentre gli altri stanno letteralmente massacrando gli israeliani nelle stanze? Due atleti furono torturati e uccisi sul posto, altri 9 trucidati all'aeroporto. Una vecchia vicenda purtroppo piena di significati contemporanei. Essi riguardano da vicino Jeremy Corbyn, che in una foto pubblicata dal Sunday Times, scattata in Tunisia nel 2014, onora con una corona di fiori la tomba di quei terroristi. Il leader dei laburisti inglesi, che potremmo trovarci presto Primo Ministro in Inghilterra, ha negato di essere là proprio per onorare quegli specifici palestinesi, ma le foto sono spietate: Corbyn prega con le mani rivolte verso l'alto, come un fedele musulmano, sulla tomba di Atef Bseiso, che ideò l'attacco a Monaco; lui ha detto che era là per ricordare le vittime di un attacco aereo israeliano a Tunisi (per altro tutti ben certificato terroristi, come Salah Khalaf capo di Settembre Nero) ma quelli sono seppelliti a una quindicina di metri da dove Corbyn si commuove al ricordo dei suoi amici.[...]

Erdogan travolto si rifugia in Allah

sabato 11 agosto 2018 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 11 agosto 2018

It's the economy stupid, è l'economia stupido! Valeva come frase chiave della campagna elettorale di Clinton contro Bush nel 1992, e adesso fa un effetto secco quando si vede l'isterismo di Tayyp Erdogan di fronte al tracollo: il suo atteggiamento di continua minacciosa interna e internazionale, la prepotenza che si trasforma in repressione senza pari, l'autoritarismo da sultano specie da quando ha vinto le elezioni  il 24 giugno risultano irrilevanti o persino ridicole di fronte alla bancarotta. Si tratta di miliardi, ieri Erdogan ha capito che le  sanzioni americane stanno veramente entrando in vigore, che l'inflazione è al 16 per cento e cresce ancora e la banca centrale non è capace di aumentare i tassi in risposta, che la moneta perde l'11,5 per cento ogni giorno, che Trump adesso ha deciso di alzare le tariffe sull'importazione di alluminio e di acciaio dalla Turchia...  La frana si è fatta incontenibile, la mitologia del leader islamista che tuttavia può continuare a dialogare con l'Occidente approfittando della memoria storica dell'unico Paese musulmano moderato e collegato per motivi culturali e militari all'Occidente a fronte di un mondo arabo molto meno avanzato, si è infranto sulla crisi del capo. Trump lo ha stretto in un angolo: Erdogan ieri. assediato dal crollo della borsa, dalla crescita del prezzo del denaro, terrorizzato dall'abbandono del campo degli investitori internazionali ha  chiesto, di fatto inerme se non di paroloni, una risposta alla sua gente: "Se avete dollari, euro, o oro sotto il cuscino, andate in banca e cambiateli in lire turche. E' una battaglia nazionale". [...]

Iran, Trump apre al dialogo per isolare gli ayatollah

mercoledì 1 agosto 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 01 agosto 2018

Lo stile Trump, per cui prima  viene la faccia feroce, e poi una mano tesa crea una situazione che l'interlocutore non si aspetta, sta ormai diventando un'abitudine, un "pattern": lo abbiamo visto col Nord Corea, con gli europei e con la Nato, e adesso è la volta dell'Iran. Trump, nel corso della conferenza stampa tenuta insieme al nostro Primo ministro Conte a Washington ha offerto di parlare, di incontrarsi, senza rancore, senza precondizioni con la leadership iraniana, perché parlare male non fa, e incontrarsi, ha ricordato lui, è una delle sue specialità, da vero businessman, occhi negli occhi, carte squadernate.

Pochi giorni prima Trump aveva avuto uno scambio di battute estremamente aggressivo con l'Iran: Trump gli annunciava che non si sarebbero più sopportate "le parole demenziali di violenza e morte" tipiche della leadership iraniana, e l'Iran come fosse l'impero persiano si autodefiniva "madre di ogni pace ma anche madre di ogni guerra" sfidando al duello finale gli USA.  Ora Trump ha aperto d'un tratto tutte le finestre. Avviene in articulo mortis, dato che lunedì prossimo scatta il primo gruppo di sanzioni, il 7 agosto quelle sull'acquisto del denaro e dell'oro, il 4 novembre quello sull'acquisto del petrolio, per cui potrebbe cadere il commercio con l'Iran dei due terzi. Anche il tradizionale commercio di tappeti e di cibo sta per cadere vittima delle rinnovate sanzioni. Una prospettiva disastrosa per un Paese già percosso da una crisi economica che ha ridotto la popolazione sul lastrico: ormai ci vogliono 122mila rial per comprare un dollaro, il mercato dell'oro va ancora peggio, e ha un bel fare il governo, coadiuvato dalle Guardie Rivoluzionarie, a opprimere ogni forma di protesta che ormai spunta disperata ma potente in molti angoli del Paese. Inutile anche accusare spie, traditori, cospirazioni straniere per la crisi, e arrestare, come è stato fatto una trentina di persone per crimini economici.[...]

L'idea di Netanyahu: via le sanzioni a Mosca se rimanda l'Iran a casa

domenica 15 luglio 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 15 luglio 2018

Mentre si scalda al calor bianco il fronte sud con Gaza, e Israele manda a Hamas un messaggio che si intitola "adesso basta", il nord ha contorni complessi, che si sfumano sui pavimenti disegnati a scacchi su cui Putin ha incontrato mercoledì scorso Netanyahu, in vista dello storico incontro fra Putin e Trump, domani. Due antagonisti storici, le cui prospettive sono intrecciate su parecchi scenari. Il viaggio di John Bolton di qualche giorno fa a Mosca dice che il destino della Siria e del Medio Oriente sono fra le leve decisive dell'incontro, anzi, come ha detto Bolton: "Non credo che Assad sia il centro strategico: è l'Iran a esserlo" e ha aggiunto: "Ci sono le possibilità di un largo negoziato che aiuti a spengere le forze iraniane fuori dalla Siria, a casa loro". E questa è la ragione, il disegno pluriennale per cui Netanyahu ha fatto a Putin ben 9 visite. E' chiaro: per Israele avere l'Iran insieme agli Hezbollah sul proprio confine è una situazione impossibile, si tratta del Paese e della milizia che hanno fatto della distruzione di Israele lo scopo principale, e una funzione del potere. Ma l'Iran è molto ambizioso: ha speso in questi anni in Medio Oriente e in particolare in Siria la bellezza di trenta miliardi di dollari mentre la sua gente soffre la fame; senza la sua gestione crudele della guerra Assad non esisterebbe più. Anche la sua ultima vittoria a Daraa nel sud della Siria, che si fregia della guerra contro l'Isis ha ucciso e sgomberato centinaia di migliaia di sunniti terrorizzati. Tutto questo, tuttavia, gli Ayatollah l'hanno fatto con l'appoggio armato della Russia, che seguita a fornire il sostegno aereo delle operazioni di sostegno di Assad.[...]

La fuga dalla Siria verso gli ospedali del 'nemico'

sabato 7 luglio 2018 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 07 luglio 2018

L'urlo del vento non è il solito, sulle alture del Golan. Parla di dolore e proviene dalle tende di tutti i colori raggruppate dove ci sia un filo di ombra a pochi metri dal confine di filo d'acciaio. Siamo vicino ai villaggi di Bir Ajam e al Briga, ma potremmo essere ovunque sul confine guardato a vista dai soldati di Israele. L'armistizio con la Siria del 1974 prevede una breve area vuota. Subito oltre, stanno arrivando decine di migliaia di persone, si dice circa 60mila che stanno ammonticchiandosi lungo il confine israeliano, e centinaia di migliaia sono in movimento: l'offensiva in corso a Deraa, e poco più a nord a Harah e Kuneitra, dove ieri i ribelli hanno preso l'iniziativa, sta scalzando dal sud la popolazione e spingendo via senza casa, feriti, affamati cui la malasorte ha dato la Siria come patria. Il vento urla sul Golan israeliano e chiede aiuto per una massa in fuga da Assad, dagli Hezbollah e dagli iraniani che spazzano il terreno con la loro ancestrale ferocia, dagli attacchi aerei russi dell'ultima settimana. Il mondo al solito tace, resta solo la pietà israeliana.[...]

Se è rimasta solo la destra a difendere lo Stato ebraico

martedì 3 luglio 2018 Il Giornale 2 commenti
Il Giornale, 03 luglio 2018

Se qualcuno facesse  vedere a Jeremy Corbyn o a Tayyp Erdogan la bandiera d'Israele che sventolava a Pontida, i due, ciascuno per la sua strada, avrebbero avuto che dire: il primo lo giudicherebbe un colpevole segno del nesso fra Israele e la destra il nazionalismo e il populismo; il secondo lo vedrebbe come un segno di islamofobia e di evidente odio antipalestinese e quindi antiarabo. Quanto agli ebrei italiani e europei, il mio popolo, di certo in gran parte si domandano come allontanare da sé questo amaro calice per seguitare a bere da quello della sinistra. Perchè ebrei e sinistra, e per buone ragioni, sono stati per molti decenni, ovvero dalla battaglia contro il nazifascismo e le persecuzioni, mutualmente legati, moralmente dipendenti, e anche dopo che la storia ha preso tante strade, compresa quella dello stalinismo antisemita omicida, stentano a strappare il cordone ombelicale. Cosicchè gli ebrei sono sempre molto attenti a qualsiasi segnale di antisemitismo di destra (e fanno bene), ma, (e fanno male), non sono per niente all'erta di fronte al quotidiano, assordante, attacco antisemita che, travestito da critica a Israele, ogni giorno proviene da sinistra e dal mondo islamico in Italia. [...]

Israele e il dilemma sui profughi: portare aiuto a chi lo vuole morto

sabato 30 giugno 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 30 giugno 2018

Sul confine di Israele al Nord, si stanno accumulando decine di migliaia di profughi in fuga dalla guerra. È l'epitome del problema dei rifugiati che ormai tormenta tutto il mondo: perché occorre salvare vite, porgere la mano a bambini e vecchi in stato di bisogno inaudito, ma fronteggiare tuttavia insieme la feroce inimicizia araba nei confronti di Israele mentre, tuttavia, si deve porgere orecchio agli esseri umani che chiedono aiuto. Inoltre, Israele è circondata da ogni parte da Paesi arabi nemici o agitati. Sul confine di Israele, dalla parte del Golan, si vanno accumulando, dopo 500mila morti, migliaia di profughi siriani. La loro immagine sotto il sole sulle pietre intorno ai camion che li hanno sgomberati dai villaggi attaccati dalle truppe siriane, dai russi sugli aerei, dagli Herzbollah e dagli iraniani amici di Assad col permesso di Putin, è l'immagine stessa della miseria e del bisogno. [...]
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