Il Giornale
Roma faccia come gli Usa. Si dissoci dalla follia
Fa un certo perverso piacere che l'Italia assaggi l'ONU in tutta la sua sfacciataggine e doppio standard adesso che annuncia santificate spedizioni (non magari come i "peace keeper" che sono accusati di stupro, o come i distributori di fondi internazionali che lucrano sulle miserie umane?) per verificare quanto l'Italia viola i Diritti umani. Così magari comincerà un processo di revisione del suo rapporto con l'ONU, forse smetterà di votare o al massimo di astenersi mentre cerca di compiacere le maggioranze automatiche che condannano solo Israele (come quando il 23 dicembre 2016 Obama, ultimo atto di una gestione insistentemente anti-Israele, fece astenere gli USA su una mozione-tradimento, che sovvertiva la cautela tradizionale che aveva sempre tenuto come punto di riferimento la risoluzione 242, e non la condanna palestinese unilaterale degli insediamenti), o si associano nelle organizzazione dell'ONU come l'UNESCO a gesti irrazionali e inconsulti, come dichiarare il Muro del Pianto retaggio musulmano. [...]
Il nuovo inizio di Israele. Sfida di un popolo felice ai predicatori dell'odio
Rosh Ha Shana, il capodanno ebraico, ha segnato ieri sera l'ingresso del 5779. Siamo un bel pezzo avanti nell'incredibile storia umana e nella storia ebraica. Ma quando entra l'anno nuovo cominciano subito, insieme al brindisi, alle benedizioni, alla mela intinta nel miele per significare prosperità e dolcezza, anche i pensieri. Infatti i giorni successivi, per una settimana intera, sono dedicati, fino a Yom Kippur, il grande digiuno caro al popolo ebraico, alla riflessione su se stessi, ai propri fallimenti, peccati, errori. In quel giorno poi Dio segnerà nel libro della vita chiunque abbia perdonato e si sia scusato. Israele naturalmente fa i compiti: cos'è andato bene, cos'è andato male, dove abbiamo sbagliato, cosa è stato giusto. E quindi, che cosa ne deriva per il futuro.
Quest'anno ha visto un attacco di stampa molto dura sul Primo Ministro, sulle indagini (non formalizzate) sul suo comportamento e quello della sua famiglia; sulla nuova Costituzione che dichiara Israele patria del popolo ebraico; sul ruolo della magistratura. Al di là delle drammatizzazioni politiche, è un dibattito tipico delle democrazie, sorprendente in un Paese in stato di guerra. Alla fine la guerra è stata evitata con prudenza e audace diplomazia sotterranea; l'economia cresce, i partiti religiosi, membri della coalizione, vengono tenuti a bada con concessioni cosmetiche. [...]
La fine del finto pacifista Abu Mazen.Trump ha svelato la sua incapacità
Non c'è giorno ormai in cui Abu Mazen, al secolo Mahmoud Abbas, non denunci con le parole e coi fatti,il declino del suo potere, anzi, la sua agonia, mentre altri uomini, altri eventi, occupano lo spazio della scena palestinese, e anche del suo eventuale,difficile tuttavia, sviluppo.
Ieri l'ultima uscita di Abu Mazen denuncia per l'ennesima volta il rifiuto verticale a ogni proposta di un piano di pace che provenga dagli Stati Uniti, dall'odiato presidente Trump che ha osato riconoscere che Gerusalemme è la capitale d'Israele: questo, più di ogni altro evento, ha messo il punto esclamativo sul fallimento di una politica. Abu Mazen non ha ottenuto guadagni storici rifiutando ogni accordo; ha cercato di costruirsi un'immagine decente e pacifista all'estero, gestendo invece con determinazione e con la distribuzione di molto denaro (proveniente dagli aiuti del mondo intero) la continua spinta al terrorismo; non ha fatto spazio a una successione, e ora è assediato dai suoi peggiori nemici. Con un comunicato di ieri, Abu Mazen condanna l'idea che i Palestinesi e la Giordania debbano formare una confederazione, un tema per altro mai confermato dagli americani come parte di un piano di pace ma che potrebbe presto venire all'orizzonte carico di promesse economiche e di pubblico interesse: ma lui vede il piano americano come parte della cospirazione di cui parla di continuo per annientare la causa nazionale palestinese. Ma non è così: è la politica palestinese, lasua politica, quella di Abu Mazen ereditata da Arafat, dichiarazioni di buone intenzioni e terrorismo, che finalmente è stato messa a nudo da una serie di mosse del governo di Trump, e dalla sua rappresentante all'ONU, Nikki Haley. [...]
Corbyn sbugiardato: portò fiori ai terroristi
Erdogan travolto si rifugia in Allah
Iran, Trump apre al dialogo per isolare gli ayatollah
Lo stile Trump, per cui prima viene la faccia feroce, e poi una mano tesa crea una situazione che l'interlocutore non si aspetta, sta ormai diventando un'abitudine, un "pattern": lo abbiamo visto col Nord Corea, con gli europei e con la Nato, e adesso è la volta dell'Iran. Trump, nel corso della conferenza stampa tenuta insieme al nostro Primo ministro Conte a Washington ha offerto di parlare, di incontrarsi, senza rancore, senza precondizioni con la leadership iraniana, perché parlare male non fa, e incontrarsi, ha ricordato lui, è una delle sue specialità, da vero businessman, occhi negli occhi, carte squadernate.
Pochi giorni prima Trump aveva avuto uno scambio di battute estremamente aggressivo con l'Iran: Trump gli annunciava che non si sarebbero più sopportate "le parole demenziali di violenza e morte" tipiche della leadership iraniana, e l'Iran come fosse l'impero persiano si autodefiniva "madre di ogni pace ma anche madre di ogni guerra" sfidando al duello finale gli USA. Ora Trump ha aperto d'un tratto tutte le finestre. Avviene in articulo mortis, dato che lunedì prossimo scatta il primo gruppo di sanzioni, il 7 agosto quelle sull'acquisto del denaro e dell'oro, il 4 novembre quello sull'acquisto del petrolio, per cui potrebbe cadere il commercio con l'Iran dei due terzi. Anche il tradizionale commercio di tappeti e di cibo sta per cadere vittima delle rinnovate sanzioni. Una prospettiva disastrosa per un Paese già percosso da una crisi economica che ha ridotto la popolazione sul lastrico: ormai ci vogliono 122mila rial per comprare un dollaro, il mercato dell'oro va ancora peggio, e ha un bel fare il governo, coadiuvato dalle Guardie Rivoluzionarie, a opprimere ogni forma di protesta che ormai spunta disperata ma potente in molti angoli del Paese. Inutile anche accusare spie, traditori, cospirazioni straniere per la crisi, e arrestare, come è stato fatto una trentina di persone per crimini economici.[...]
L'idea di Netanyahu: via le sanzioni a Mosca se rimanda l'Iran a casa
Mentre si scalda al calor bianco il fronte sud con Gaza, e Israele manda a Hamas un messaggio che si intitola "adesso basta", il nord ha contorni complessi, che si sfumano sui pavimenti disegnati a scacchi su cui Putin ha incontrato mercoledì scorso Netanyahu, in vista dello storico incontro fra Putin e Trump, domani. Due antagonisti storici, le cui prospettive sono intrecciate su parecchi scenari. Il viaggio di John Bolton di qualche giorno fa a Mosca dice che il destino della Siria e del Medio Oriente sono fra le leve decisive dell'incontro, anzi, come ha detto Bolton: "Non credo che Assad sia il centro strategico: è l'Iran a esserlo" e ha aggiunto: "Ci sono le possibilità di un largo negoziato che aiuti a spengere le forze iraniane fuori dalla Siria, a casa loro". E questa è la ragione, il disegno pluriennale per cui Netanyahu ha fatto a Putin ben 9 visite. E' chiaro: per Israele avere l'Iran insieme agli Hezbollah sul proprio confine è una situazione impossibile, si tratta del Paese e della milizia che hanno fatto della distruzione di Israele lo scopo principale, e una funzione del potere. Ma l'Iran è molto ambizioso: ha speso in questi anni in Medio Oriente e in particolare in Siria la bellezza di trenta miliardi di dollari mentre la sua gente soffre la fame; senza la sua gestione crudele della guerra Assad non esisterebbe più. Anche la sua ultima vittoria a Daraa nel sud della Siria, che si fregia della guerra contro l'Isis ha ucciso e sgomberato centinaia di migliaia di sunniti terrorizzati. Tutto questo, tuttavia, gli Ayatollah l'hanno fatto con l'appoggio armato della Russia, che seguita a fornire il sostegno aereo delle operazioni di sostegno di Assad.[...]
La fuga dalla Siria verso gli ospedali del 'nemico'
Se è rimasta solo la destra a difendere lo Stato ebraico
Se qualcuno facesse vedere a Jeremy Corbyn o a Tayyp Erdogan la bandiera d'Israele che sventolava a Pontida, i due, ciascuno per la sua strada, avrebbero avuto che dire: il primo lo giudicherebbe un colpevole segno del nesso fra Israele e la destra il nazionalismo e il populismo; il secondo lo vedrebbe come un segno di islamofobia e di evidente odio antipalestinese e quindi antiarabo. Quanto agli ebrei italiani e europei, il mio popolo, di certo in gran parte si domandano come allontanare da sé questo amaro calice per seguitare a bere da quello della sinistra. Perchè ebrei e sinistra, e per buone ragioni, sono stati per molti decenni, ovvero dalla battaglia contro il nazifascismo e le persecuzioni, mutualmente legati, moralmente dipendenti, e anche dopo che la storia ha preso tante strade, compresa quella dello stalinismo antisemita omicida, stentano a strappare il cordone ombelicale. Cosicchè gli ebrei sono sempre molto attenti a qualsiasi segnale di antisemitismo di destra (e fanno bene), ma, (e fanno male), non sono per niente all'erta di fronte al quotidiano, assordante, attacco antisemita che, travestito da critica a Israele, ogni giorno proviene da sinistra e dal mondo islamico in Italia. [...]