Il Giornale
Un terrorista resta un terrorista
martedì 15 gennaio 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 15 gennaio 2019
Cesare
Battisti se l'è cavata per tanto tempo grazie al fatto che la cosa più
orribilmente evidente che ci sia, il terrorismo, non viene capito per
quello che è. Un crimine. Talvolta, per strano che possa apparire, il
terrorismo mostra un volto così vano e trito rispetto al comune sentire,
alla cultura corrente, al disastro in sangue e dolore che comporta, che
si riesce per un istante a capire perché non esiste una sua
definizione. Per l'Onu non esiste altro che una «Convenzione
comprensiva» ma una definizione comune non è mai stata raggiunta. È dal
1937, con la Lega delle Nazioni, che quando diversi popoli si siedono
insieme a discutere non riescono a trovarsi d'accordo. E così persino
adesso, l'estradizione di Battisti ad alcuni appare, oltre che tardiva,
anche un po' inutile, di contenuto incerto e fragile, un'acquisizione
politica ma non morale. In fondo, chi è questo sedicente scrittore,
spesso fotografato mentre sorride e non c'è niente da ridere, coccolato
da un mondo nel tempo diventato perdente e inutile? La risposta è
semplice: è un terrorista, e quindi deve scontare la sua pena. E questa
sarà una pietra fra le tante (qui in Israele si combatte questa lotta
ogni giorno) della lotta al terrorismo che costruiscono una comune
coscienza: un terrorista non è un «Freedom fighter», un combattente per
la libertà, ma un delinquente anche se è un cretino o uno squilibrato,
anche se è un disgraziato, un emarginato, un mitomane, anche se è,
soprattutto, motivato ideologicamente in modo assoluto a fare ciò che ha
fatto. E Battisti ha ammazzato quattro innocenti, direttamente o per
interposta persona. Fra i tentativi di definizione quelli che più
convincono parlano di persone che usano indiscriminatamente la violenza
come mezzo per creare terrore fra la gente in modo da raggiungere uno
scopo politico e religioso.[...]
"'Proteggere i curdi? Mai'. Erdogan strappa con gli Usa"
mercoledì 9 gennaio 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 09 gennaio 2019
Potrebbe non essere stata un'ottima idea quella di Erdogan, che, nella sua stessa capitale, ha lasciato il Consigliere per la sicurezza americana John Bolton nella sala d'aspetto rifiutando di incontrarlo e costringendolo a ripartire senza avergli nemmeno detto buongiorno. Non è bello per due Paesi che da poco hanno rinnovato alcune cordialità telefoniche fra i premier Trump e Erdogan, che siedono ambedue nella grande alleanza della NATO mentre in Medio Oriente si attraversa una fase che più che di porte sbattute in faccia ha bisogno di chiarezza. Invece Erdogan non ha potuto sopportare sostanzialmente tre cose: la prima, pura e semplice, che poche ore prima Bolton in rappresentanza di Trump avesse svolto una visita estremamente amichevole e produttiva in Israele che lui odia, dicendo a Netanyahu che il suo paese sarà sempre fiero di garantire la sicurezza dello Stato Ebraico. In secondo luogo, che durante quel viaggio, dopo che Trump il 19 dicembre aveva annunciato che se ne sarebbe andato dalla Siria, Bolton avesse ribadito, come del resto Pompeo nei giorni scorsi, che gli americani non hanno fretta di andarsene, che il ritiro si svolgerà secondo i tempi ritenuti più opportuni e, dulcis in fundo, e qui Erdogan ha avuto la sua crisi, che gli USA vogliono veder garantiti i diritti dei Curdi, e anzi, che Erdogan aveva promesso a Trump di proteggerli. […]
Israele in pressing sugli Usa. In dubbio il ritiro dalla Siria
lunedì 7 gennaio 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 07 gennaio 2019
Fino a Venerdì si parlava di una sola condizione sufficiente per Trump ad abbandonare il campo siriano ribollente: la sconfitta dell'Isis. Un obiettivo ormai grosso modo raggiunto secondo una valutazione dell'amministrazione americana giudicata da molti affrettata, e tuttavia data per acquisita. Via gli USA, i topi ballano? Non ancora: da ieri possono interrompere le celebrazioni: le condizioni sono di nuovo diventate plurime e complesse, secondo quanto ha affermato a il Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton durante la visita di ieri a Gerusalemme. Il ritiro non è più ovvio, non ha più una scadenza definita, è di nuovo esplicitamente condizionata sia alla sconfitta dell'ISIS (di nuovo menzionata, e quindi evidentemente non data più per scontata) che anche alla salvaguardia dei combattenti Curdi, alleati degli Stati Uniti. Bolton ha anche ribadito la primaria fedeltà americana alla sicurezza dello Stato d'Israele. Un ufficiale che non vuole essere identificato ha anche aggiunto che non tutti gli americani se ne andranno, e resterà un presidio. Si dice anche che gli USA stiano preparando una base in Iraq che sorveglierà l'intera area e che potrebbe contenere un aeroporto militare. "Il programma scaturirà dalle decisioni politiche che abbiamo bisogno di realizzare"ha aggiunto l'ex ambasciatore degli Stati Uniti all'ONU; antico neoconservatore fra i più intellettuali e anche fra i più espliciti nel suo entusiasmo per Israele, ha voltato pagina rispetto all'incubo che la Siria rimanga preda di un Assad sostenuto dalle forze più ostili che Israele possa figurarsi: gli iraniani, gli Hezbollah, i turchi di Erdogan. E sullo sfondo il sostegno russo. […]
Addio Oz, cantava l'amore oltre le tenebre della guerra
sabato 29 dicembre 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 29 dicembre 2018
Sì, il Premio Nobel l'avrebbe dovuto ricevere, perchè i suoi libri sono meravigliosi quali che siano le idee di chi le legge, la sua lingua originale è radicata nella Bibbia con un piglio polemico di pensatore laico (come Agnon scriveva in piedi sul leggio)i suoi pensieri d'amore sono intricati e spietati come quelli di Shakespeare, la sua grinta conoscitiva è stata quella di un Faust, il suo odio per la guerra appassionato ma consapevole della furia inevitabile dei nemici. E' stata una spina per lui non averlo ricevuto, ma era troppo israeliano perchè Oslo lo potesse premiare. Amos Oz lascia il mondo a 79 anni dopo una lunga malattia, per gli italiani era lo scrittore di sinistra che insieme a Aleph Beth Yeoshua e a David Grossman era degno di occupare gli scaffali nonostante fosse israeliano, perchè era pacifista e critico del suo Paese. Ma Oz era ben più di questo. Il pacifismo è stato davvero una parte piccola di Amos Klausner nato a Gerusalemme nel 1939, cresciuto al numero 18 di Rehov Amos da Fania, la madre polacca colta e raffinata, e da Yehuda Arieh Klausner nato in Lithuania. Amos che ho avuto la ventura di incontrare varie volte, era troppo persino alla vista, era la bellezza e la profondità impersonificata, quello che il sionismo ha voluto rappresentare al suo meglio: la risposta del Popolo ebraico alle persecuzioni millenarie, alla shoah, alla morte. In una vitaconclusa nel deserto del Negev la personalità così perfetta da farsi talora altezzosa di Amos Oz ha prodotto 40 libri tradotti in tutte le lingue, 450 articoli e saggi, ha ricevuto 64 fra premi letterari e lauree e riconoscimenti ad honorem.[…]
Israele, ultima sfida di Netanyahu, sconfiggere i giudici alle elezioni
venerdì 28 dicembre 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 28 dicembre 2018
Manca poco: il 9 aprile Israele andrà alle elezioni. Molti, com'è naturale parlando di un Primo ministro come Bibi che ha servito per tre volte a partire dal 1996 (poi nel 2009 e nel 2013) e 16 volte nei più svariati ministeri, descrivono l'evento come l'occasione del grande spettacolo della fine del potere del grande capo. Ma cosa succederà davvero a Gerusalemme dopo le prossime elezioni?
Nei prossimi giorni la magistratura deciderà se accusare Netanyahu di corruzione in base alle indagini compiute nella tempesta di una campagna di stampa furiosa. Si dice che Bibi abbia voluto sciogliere la Knesset per alzare una cortina fumogena, e adesso alcuni dei suoi lasciano trapelare che comunque lui non se ne andrebbe fino a eventuale condanna. Ma l'accusa è di aver offerto favori a Walla, un giornale on line di appartenenza di Bezeq, la rete telefonica nazionale, in cambio di una copertura favorevole non è di carattere infamante specie perchè Walla non è mai stata carina con Netanyahu che, per altro sarebbe il corruttore e non il corrotto. Inoltre, come il famoso avvocato Alan Dershowitz ha detto dopo aver studiato le carte, le prove non sembrano sufficienti. [….]
Quella mano tesa Papa-Abu Mazen ferita per Israele
martedì 4 dicembre 2018 Il Giornale 2 commenti
Il Giornale, 04 dicembre 2018Viene puntualissimo, dopo le sei risoluzioni che l'ONU ha votato venerdì contro Israele, approvate da 156 contro 8 Paesi onesti (ma insomma, che sta facendo l'Italia?) in cui si nega la sovranità israeliana e il rapporto storico degli ebrei con Gerusalemme, l'incontro del Papa con Abu Mazen in cui, con tutto il rispetto, egli ha agito come un politico: ovvero, la strada scelta è la più immediata, la più fuori da un'analisi realistica dei fatti e quindi la più inutilmente cerimoniale. Non sarebbe stato magnifico e storico quanto la proibizione di Giovanni XXIII di essere ancora antisemiti, o la visita di Giovanni Paolo II al Muro del Pianto con il successivo riconoscimento, così dovuto alla storia umana, dell'Stato d'Israele, che il Papa avesse chiesto a Abu Mazen di imboccare una vera strada di conciliazione, di riconoscimento del diritto degli ebrei a un loro Stato, alla loro storia, alla loro capitale millenaria? Questo avrebbe anche legittimato i desideri dei palestinesi, li avrebbe rinfrescati e resi attuali. Ma non è accaduto. Il Papa ha incontrato Abu Mazen, il presidente dell'Autorità Palestinese, per allinearsi, secondo la Sala Stampa della Santa Sede, con le posizioni classiche, quelle che non hanno portato da nessuna parte. [...]
L'eredità di Kafka? Un processo kafkiano
mercoledì 28 novembre 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 28 novembre 2018Israele, la patria degli ebrei, e la Germania in processo l'uno contro l'altro. E di lato una figura di donna, triste, anche lei parte dello scontro. Ma non si è trattato di affrontare, per una volta, il genocidio degli ebrei, i crimini della Seconda Guerra Mondiale. Il tribunale stavolta (trent'anni fa) ha dovuto deliberare per attribuire a un mondo o all'altro l'anima stessa di Kafka. A chi apparteneva la sua preziosa eredità culturale, come disboscare il doloroso intrico della cultura tedesca al suo livello sommo con l'eredità ebraica nella sua espressione più misteriosa, quasi indefinibile? E come separarla dagli interessi privati che, in maniera che è poi risultata inane, si sono frapposti allo scontro diretto? Di chi è Kafka? Degli ebrei nel cui mondo è nato e cresciuta la sua letteratura pure universale, o dei tedeschi nella cui lingua scrisse, pur essendo ceco? [...]
Affitti vietati nelle colonie. E Airbnb boicotta Israele
mercoledì 21 novembre 2018 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 21 novembre 2015
Israele, governo in bilico Via il ministro della Difesa "Resa ai terroristi di Gaza"
giovedì 15 novembre 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 15 novembre 2015Il Ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, origine sovietica, abitante degli insediamenti, difensore sincero dei diritti umani laici, capo del partito Israel Beitenu, è un duro. Non ha mai pensato che con i palestinesi e tantomeno con Hamas una pace sia possibile. E ha sempre desiderato fare qualcosa che mettesse in seria difficoltà il suo mentore e premier Benjamin Netanyahu. Stavolta potrebbe costringerlo alle elezioni. Ieri si è dimesso mentre ancora echeggiavano nell'aria gli ultimi boati e scoppi della quasi guerra con Hamas. Una guerra dolorosa, con distruzioni, morti e feriti nelle città e nei kibbutz del sud, la gente terrorizzata, le sirene in continua attività per la ininterrotta sequenza di bombardamenti di Hamas sulla popolazione seguita dalle reazioni dell'esercito che hanno bombardato le strutture di Hamas a Gaza. [...]
Israele, pioggia di missili dalla Striscia di Gaza
martedì 13 novembre 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 13 novembre 2018Dalla possibilità di un accordo a quella di una guerra con morti e feriti e Hamas che torna insieme alle altre milizie terroriste a tenere in ostaggio tutti i cittadini israeliani del sud. Ce l'ha messa tutta Netanyahu a evitare una guerra, ha persino consentito che il Qatar consegnasse a Hamas 15 milioni di dollari in contanti. Ha accettato come mallevadore il presidente Sisi, che ha parlato con gli israeliani e con Abu Mazen per creare le condizioni di un accordo dopo le aggressioni contro il confine israeliano. Ma lo scorpione sul dorso della rana la punge mortalmente mentre nuota portandolo in salvo. Perché? "Perché sono uno scorpione" risponde. Nonostante le tasche piene e la promessa di un porto, di zone di pesca, di apertura dei confini, in un'ora ieri fra le quattro e le cinque del pomeriggio una grandine di missili, circa cento, si è abbattuta sul sud di Israele. Ad Ashod un supermarket è stato distrutto, un ragazzo di 19 anni che viaggiava su un autobus colpito rischia di morire, a Netivot una casa è stata rasa al suolo. Le sirene suonano ovunque, la gente è chiusa o corre al soccorso, il fuoco divampa, gli aerei dell'aviazione israeliana bombardano Gaza. Là per ora si parla di tre morti e di 20 obiettivi militari colpiti. Netanayhu è tornato in gran fretta da Parigi, dove, alla riunione dei capi di Stato riuniti in memoria della fine della Prima Guerra Mondiale, aveva ripetuto l'intenzione di gestire lo scontro con Hamas con cautela. Una intenzione criticata fino nel Gabinetto di sicurezza. La gente della Striscia protesta che non può più vivere sotto la minaccia continua, il Primo ministro è accusato di debolezza. Hamas che con manifestazioni un po’ meno aggressive, si era trasformato per poco in un interlocutore possibile è tornato a essere se stesso, e Abu Mazen che avrebbe voluto piegarlo tagliandogli i fondi forse è soddisfatto. [...]