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La fine del finto pacifista Abu Mazen.Trump ha svelato la sua incapacità

lunedì 3 settembre 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 03 settembre 2018

Non c'è giorno ormai incui Abu Mazen, al secolo Mahmoud Abbas, non denunci con le parole e coi fatti,il declino del suo potere, anzi, la sua agonia, mentre altri uomini, altri eventi, occupano lo spazio della scena palestinese, e anche del suo eventuale,difficile tuttavia, sviluppo.

Ieri l'ultima uscita diAbu Mazen denuncia per l'ennesima volta il  rifiuto verticale a ogni proposta di un piano di pace che provenga dagli Stati Uniti, dall'odiato presidente Trump che ha osato riconoscere che Gerusalemme è la capitale d'Israele: questo, più di ogni altro evento, ha messo il punto esclamativo sul fallimento di una politica. Abu Mazen non ha ottenuto guadagni storici rifiutando ogni accordo; ha cercato di costruirsi un'immagine decente e pacifista all'estero, gestendo invece con determinazione e con la distribuzione di molto denaro (proveniente dagli aiuti del mondo intero) la continua spinta al terrorismo; non ha fatto spazio a una successione, e ora è assediato dai suoi peggiori nemici. Con un comunicato di ieri, Abu Mazen condanna l'idea che i Palestinesi e la Giordania debbano formare una confederazione, un tema per altro mai confermato dagli americani come parte di un piano di pace ma che potrebbe presto venire all'orizzonte carico di promesse economiche e di pubblico interesse: ma lui vede il piano americano come parte della cospirazione di cui parla di continuo per annientare la causa nazionale palestinese. Ma non è così: è la politica palestinese, lasua politica, quella di Abu Mazen ereditata da Arafat, dichiarazioni di buone intenzioni e terrorismo,  che finalmente è stato messa a nudo da una serie di mosse del governo di Trump, e dalla sua rappresentante all'ONU, Nikki Haley.

Due sono le questioni principali di questi ultimi giorni: il dialogo che, sopra la testa di Abu Mazen,e con un bizzarro ponte qatararino ma, soprattutto, egiziano, Israele ha condotto per neutralizzare Hamas ed evitare così l'ennesima guerra a Gaza. Una strategia lungimirante, che limita morti e feriti e lascia le mani libere a Gerusalemme per un compito che sta a cuore a tutto il mondo sunnita: spingerevia dalla Siria l'Iran che assedia il Medio Oriente tutto.

Per ora la guerra non c'è, Hamas certo non è diventato sionista, ma è stato fermato; Abu Mazen,irritatissimo, ha dichiarato che l'unico ad avere titolo per fare una qualsiasi accordo con Israele è lui, e che semmai Hamas vuole aggregarsi a lui deve consegnargli territori e milizie. Naturalmente, non se ne parla, mentre gli sforzi arabi di pacificazione procedono lasciandolo isolato a dir di no all'Egitto, al Qatar, a Trump... e a Israele come al solito.

E le accuse di Abu Mazen volano.Di più ancora volano poiché, altra scelta epocale, gli Stati Uniti hanno decisodi smettere di riconoscere come profughi quei palestinesi che da 70 anni si dichiaranotali dopo la guerra del 1948, passando ai figli dei figli, sempre più numerosi,tutti i diritti che allo stato di profugo palestinese (solo a loro fra tutti iprofughi) ha attribuito la molto benevola ONU. Ora l'UNRWA l'organizzazione adhoc, mentre la definizione di profugo viene rivista, non riceverà più tuttisoldi, 300 milioni di dollari l'anno che gli USA le conferiscono. I cosiddettirifugiati palestinesi sono intanto passati da 500mila a 5 milioni: l'UNRWA nonsolo li mantiene cosi da impedire loro di intraprendere una vita di normaleapprendimento e collocazione professionale, ma di fatto fa una politica che piùdi qualsiasi altro attore ha prevenuto la soluzione del conflitto. L'UNRWA ha difatto prevenuto il ricollocamento dei profughi: la cronista ricorda ildesiderio rifiutato dalla comunità di un suo stringer residente del campoprofughi dell’ISIS di andarsene per sempre a vivere altrove con la giovanemoglie. Proibito, non si fa (poi lui ce l'ha fatta lo stesso). Si restaprofughi, e i propri figli tali devono restare, andando a scuola in struttureche adottano libri di testo pieni di odio e di incitamento al terrorismo,associandosi con gruppi estremi e protesi alla distruzione di Israele. Ladestrutturazione di questo sistema rende nulla una delle ragioni d'esseredell'attuale politica palestinese di Abu Mazen, che è il diritto al ritorno.Ogni ragionevole tentativo di accordo ha cercato di sottolineare che invitareuna marea di 5 milioni di persone in Israele vuol dire opinare la fine delloStato Ebraico.

Abu Mazen dal 2005 quando è diventato presidente dell'Autorità Palestinese non ha portato a casa una sola vittoria strategica, anche se Israele, invitandolo al tavolo di pace più e più volte, gli ha offerto svariate possibilità. Adesso la sua tetragona, rabbiosa muraglia è peggiorata, il suo retaggio si è macchiato di molte affermazioni propriamente antisemite e revisioniste, la sua difesa dei salari ai terroristi in carcere da quando (altra sconfitta) i fondi americani sono stati tagliati,lascia senza parole. E' un leader battuto dai nuovi tempi cui non sa dare altro che risposte sbagliate.

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