Il Giornale
L'Iran in rivolta contro la crisi e gli ayatollah
Il Giornale, 28 giugno 2018
Se il destino volesse che l'accordo americano con la Nord Corea andasse in porto, e se gli attuali sommovimenti in seno all'Iran portassero alla caduta del regime degli ayatollah, allora bisognerebbe inventarsi un doppio premio Nobel per Donald Trump. Triplo se le sue proposte di pace per il Medio Oriente avessero qualche risultato. E il tempo delle grandi sorprese. L'Iran prima ancora di risultati concreti con il ripristino delle sanzioni, dopo la cancellazione dell'accordo fra Teheran e i 5 Paesi più uno, soffre una profonda crisi depressiva di segno trumpiano, aumentata dalla disperata crisi economica. Ed è straordinario che, osservando l'Iran, si intraveda qualche possibilità se non altro di una severa destabilizzazione del suo roccioso sistema. [...]
Tra dittatura e cambiamento
Comunque, nonostante una campagna elettorale in cui Erdogan aveva esercitato tutta la sua prepotenza con arresti, botte, piazze presidiate dai suoi fedeli, la metà del popolo turco si è stufata del sultano, anche se egli in queste ore sembra avvicinarsi alla vittoria col 53 per cento. Erdogan si era subito attribuito il 60 e rotti arrogandosi così un diritto assoluto e plebiscitario di divenire il primo Capo di Stato turco a governare con poteri allargati dopo i cambi costituzionali approvati nell'aprile del 2017. Ma anche se ce la farà, la sfida che segue a 15 anni di mani sulla Turchia si è dimostrata invece incerta, anche se Erdogan ce la farà a evitare il ballottaggio previsto, secondo la sua stessa decisione, al di sotto di quel il 51 per cento necessario per arrivare a essere il capo supremo che somma in sé i compiti di presidente e di Primo ministro insieme alla nomina diretta dei ministri, il controllo totale del giudiziario e dei leader militari. Le regole dell'emergenza dopo il colpo di Stato del 15 luglio sono state riconfermate sette volte. Sia Erdogan che Muharrem Ince, il maggiore contendente, hanno promesso di toglierle di mezzo. Ince ha dimostrato comunque che in breve tempo può sorgere, nonostante il Paese sia stretto nel pugno di ferro del "Sultano" , una alternativa concreta e pericolosa. [...]
L'ipocrita Onu condanna ancora Israele
Trump vede Kim (e pensa all'Iran). Prove generali del dossier Iran
Nelle ultime ore prima del summit fatale di Singapore, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha fatto balenare la speranza che il mondo può guardare con ottimismo all'incontro fra Trump e Kim Jong-un. Trump può farcela dove i suoi predecessori hanno fallito e in questo caso lo sberleffo maggiore è dedicato naturalmente al fallimento proverbiale di Obama con l'Iran, il Paese che dopo un decennio di trattative dopo l'accordo ha seguitato a progettare sotto il tavolo la bomba nucleare, e sopra ha inaugurato con missili balistici e invasioni territoriali una politica imperialista che non aveva mai osato. Questo nesso fra l'atteggiamento americano verso le due potenze nucleari più pericolose del mondo, non si limita all'ieri, ma investe l'oggi e soprattutto il domani. Tutto il mondo è ansioso di ritrovare un filo di speranza verso la pace, la denuclearizzazione, la risoluzioni di problemi decennali o addirittura secolari. E nessuno come il Medio Oriente ne sa qualcosa di questa necessità, specie da quando le "primavere" sono state seguite dagli attacchi seriali dei califfi, con l'Isis, e degli ayatollah, con l'Iran e gli Hezbollah col coltello fra i denti come non mai specie in Siria, in Iraq, in Yemen, e qui la cosa si fa bollente, sul confine di Israele cui l'Iran ha giurato distruzione e morte. [...]
Addio a Lewis, cassandra dello "scontro di civiltà"
Intervista a Harold Rhode. «Ora il Sultano guida la guerra a Israele Vuole essere il capo supremo dell'islam»
L'ultima trovata di Tayyp Erdogan ieri è stato far perquisire come un delinquente e una spia l'Ambasciatore di Israele Eitan Naeh all'aeroporto, mentre tornava in Israele cacciato via , e invitare le telecamere a seguire l'evento. Prima Erdogan aveva dedicato molte energie a maledire e mettere fuori legge Israele ed è quasi divertente nel suo estremismo islamista classico seguire il pirotecnico odio anti-israeliano di Tayyp Erdogan, il presidente di un Paese laico che si è fatto sultano musulmano e che gioca molto abilmente sulla ambivalenza di una Turchia sempre più estremista ad opera sua, travestita tuttavia da quella cosa succulenta che tutto l'Occidente desidera, un Paese islamico moderato! Membro della Nato, nostro alleato... Dove vuole andare Erdogan quando dice di Israele che è un Paese di apartheid, che dal 1948 è occupato nella pulizia etnica del popolo palestinese perseguitato, in cui è compreso Hamas, il suo migliore amico, che è uno Stato terrorista che commette genocidio?
Lo abbiamo chiesto all'ex capo al Pentagono, alias il Ministero della Difesa americano, dell'ufficio turco, Harold Rhode, studioso di fama mondiale, lingua turca perfetta, suo mentore il professor Bernard Lewis, il maggiore mediorientalista vivente.
Dottor Rhode, perchè Erdogan ama caratterizzarsi come il maggior nemico di Israele? Come si colloca questo elemento nel suo disegno strategico?
"Il disegno di Erdogan è duplice: da una parte vuole essere il leader supremo del mussulmano mondo sunnita, il capo indiscusso, e per questo è indispensabile guidare, come il Soleimano, la guerra vittoriosa per Gerusalemme. Erdogan qui è in competizione con chiunque, compreso Abu Mazen: è lui che deve cacciare gli infedeli alla Grande Moschea, lui il responsabile della Spianata. Quindi, di fronte al suo mondo è l'avanguardia della battaglia contro Israele, un ruolo prescelto da tempo: come quando intimò a Shimon Peres di tacere dicendogli a Davos che era un assassino, quando spalleggiò fino a rompere con Israele la missione a Gaza della Mavi Marmara...”
Anche al costo di mettersi dalla parte di Hamas, un'organizzazione terrorista, nonostante il mondo voglia seguitare a definirlo come leader musulmano moderato?
"Per lui Hamas è un'organizzazione islamica che aderisce alla Fratellanza Musulmana, di cui è il leader riconosciuto. Per questo sostenne con vigore Morsi quando fu eletto in Egitto"[...]
Pugno di ferro di Israele e sostegno occidentale, Hamas fa marcia indietro
Ieri è stata in Israele una giornata di carta, in cui la protesta si è trasformata in titoli di giornali eccitati in cui, mostrando una scarsissima comprensione dell'evento, dal Pais, al Guardian a Liberation, veniva mostrata con scherno e disprezzo la dissonanza fra il sorriso di Ivanka Trump all'apertura dell'Ambasciata americana a Gerusalemme, e la violenza a Gaza trasformata nei titoli in lutto per la morte dei 60 palestinesi uccisi dai tiratori scelti israeliani a guardia di un confine preso d'assalto. Hamas ha avuto la sua festa di morte, come vuole la cultura del morte degli shahid, ormai sperimentata sulle migliaia di morti civili fra gli israeliani, e stavolta rovesciatasi sulla propria cinica scelta di mandare ad assalire il confine israeliano i propri compagni. Del resto Hamas ha esperienza anche nell'uccisione di palestinesi: è quello che ha fatto con gli uomini di Abu Mazen quando li ha scaraventava giù dai tetti durante la guerra per Gaza nel 2007.
Lunedì c'erano ventimila persone o ieri solo 400 lungo questa striscia di terra orlata da una parte dai kibbutz di Israele che sorgono lungo il filo spinato e quelle case in fondo, dove soffre sotto la sferza di Hamas una popolazione di due milioni di persone costretta a un regime islamista, militare, terrorista. Sotto questo regime vivono tuttavia donne, bambini, e vecchi stanchi della guerra: non importa, lunedì hanno tutti ricevuto l'ordine, dai giovani spesso gradito nella speranza di diventare eroi, di cercare di forare il confine di Israele. Ieri invece, hanno ricevuto quello di stare a casa, e per capire che cosa è successo occorre pensare a due ipotesi: o Hamas sente di aver vinto la battaglia dei media, e quindi si dà una tregua da cui poi risorgerà coi suoi attacchi, oppure sente di aver perso(anche questo non vuol dire fine dello scontro) a causa della dura difesa del confine da parte israeliana e soprattutto dato lo scarso sostegno arabo e la pressante richiesta egiziana di tornare all'ordine. La gente cui manca il denaro per mangiare e che, se non ha scelto di diventare shahid, ha accettato nei giorni scorsi di unirsi alle manifestazioni mortali, probabilmente è rimasta scottata dal numero dei morti. Non solo: ieri sera, con mossa misteriosa Hamas ha cominciato prima a ritirare i drappelli dei suoi guerriglieri, e poi ha ordinato a tutti di salire sugli autobus e lasciare la no-man-land. [...]
'Il grande giorno' di Gerusalemme. Ma a Gaza è rivolta: strage di palestinesi
(Gerusalemme) Fare storia: il popolo ebraico è specializzato in questo soggetto specialmente quando si tratta di Gerusalemme. David, Salomone, i babilonesi, gli antichi romani, i greci, e poi di nuovo gli ebrei. La lotta è stata dura per il popolo ebraico. Ma ieri è stato un altro grande giorno per l'antichissimo popolo di Israele e la sua capitale dove tutto è successo. E, nonostante il palcoscenico fosse girevole e l'attenzione collettiva si spostasse spesso sul confine con Gaza dove ci sono stati 55 morti e più di 2.700 feriti (il vicino Egitto ha aperto i suoi ospedali per curarli e gli Emirati hanno sbloccato 5 milioni di dollari), ieri il quartiere modesto e lievemente remoto di Talpiot ha fatto storia. Qui si trova l'ex consolato degli Stati Uniti, da ieri Ambasciata Americana a Gerusalemme. A dicembre Trump l'ha stabilito, solo cinque mesi dopo l'ha realizzato, come ha detto il suo genero Jared Kushner, con puntualità e coraggio inedito. Ivanka Trump ha scoperto la nuova insegna blu con lo stemma e il nome del presidente Trump inciso per i posteri nella pietra di Gerusalemme. Con lei il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin, un vero alter ego del presidente. Per Israele è stato un momento fondamentale, una specie di nozze d'oro nutrite di reciproco entusiasmo con il Paese il cui presidente Truman riconobbe lo Stato d'Israele 70 anni fa, 11 minuti dopo che Ben Gurion l'ebbe proclamato. «E poi si pentì di averci messo troppo» come ha detto emozionato aprendo la cerimonia David Friedman, l'ambasciatore americano. Netanyahu ha riconosciuto l'impegno di Friedman stesso nel realizzare quello che per lui, ha detto, era un sogno da vent'anni: essere il primo ambasciatore degli Usa a Gerusalemme. [...]
"Grazie all'America la realtà ha vinto sulla propaganda", l'intervista di Fiamma Nirenstein al generale Yossi Kuperwasser
Il Giornale, 15 maggio 2018
Il generale Yossi Kuperwasser è stato il capo del settore ricerche dell'Intelligence Militare dell'Esercito israeliano e il Direttore Generale del Ministero per gli Affari Strategici. Oggi senior ricercatore del Jerusalem Center for Public Affairs, la sua fama internazionale conduce esperti e politici di tutto il mondo a consultarlo su ogni soggetto legato alle strategie antiterroristiche nel mondo. Gli abbiamo chiesto un parere, nel giorno in cui gli Usa riconoscono Gerusalemme capitale dello Stato d'Israele.
Il generale Yossi Kuperwasser è stato il capo del settore ricerche dell'Intelligence Militare dell'Esercito israeliano e il Direttore Generale del Ministero per gli Affari Strategici. Oggi senior ricercatore del Jerusalem Center for Public Affairs, la sua fama internazionale conduce esperti e politici di tutto il mondo a consultarlo su ogni soggetto legato alle strategie antiterroristiche nel mondo. Gli abbiamo chiesto un parere, nel giorno in cui gli Usa riconoscono Gerusalemme capitale dello Stato d'Israele.Colonnello,
perchè in definitiva è così importante, così fondamentale che
l'ambasciata americana sia stata trasferita a Gerusalemme? Non erano già
ottimi i rapporti con Trump? Non vi sentivate abbastanza sicuri della
vostra capitale? «Noi non abbiamo mai avuto
nessun'altra capitale dall'inizio della storia di Israele, anzi
dall'inizio della storia ebraica: Gerusalemme è la nostra capitale da
3000 anni, siamo solo tornati a casa. Ed è così evidente, così
testimoniato in mille pietre e libri che proprio per questa evidenza
negata abbiamo sofferto: a nessun altro popolo è mai stato negato il
diritto di decidere quale sia la sua capitale. Oggi finalmente ci
sentiamo soddisfatti». [...]
Quello spirito di Israele fatto di sangue e genio adesso vive nei bambini
(Gerusalemme) Sottile, chiara come il sole, bionda come una fata, Ivanka è scesa dall'aereo che l'ha portata col marito Gerald Kushner e con i maggiori dignitari americani a realizzare il sogno che oggi, per Israele, diventa realtà: Gerusalemme viene riconosciuta dagli Stati Uniti come capitale dello Stato d'Israele. Ma non è lei l'idolo dei giovani: si chiama Netta Barzilai, è corpulenta, anzi molto grassa, truccata come una strega con due virgole nere dagli occhi alle tempie, gli abiti colorati stretti sulle gambone che vogliono straripare, e sabato ha vinto, sì, ha vinto contro decine di Paesi di tutto il mondo l'Eurovisione che si svolgeva quest'anno a Lisbona. La canzone,"Toy", è quanto di più femminista si possa disegnare, una dichiarazione di indipendenza definitiva: "I am not your toy", non sono il tuo giocattolo. Di più: sono Netta, un'israeliana della cittadina di Hod HaSharon, poco a nord di Tel Aviv, 25 anni, 4 anni di militare, un straripante personalità carismatica nonostante il fisico, una musicalità indubbia, con toni di voce fra il roco e l'urlato, come Janis Joplin, cui evidentemente si ispira. La sua estraneità fisica agli stereotipi sfotte e stuzzica chi è normale, e trascina chi come lei si sente "diverso".[...]