Il Giornale
"Mai più esitazioni contro il nemico" Gerusalemme dice basta al terrore
Siamo stati testimoni di tutta la storia di Hamas. C’eravamo, quando dall’87 il movimento, costola della Fratellanza Islamica comandata dallo sceicco Ahmad Yassin, si dette una carta costitutiva che prometteva morte ai cristiani e agli ebrei. E anche mentre cresceva prendendo sempre la strada della violenza. E quando nel ’94 innovò la guerra contro Israele con l’uso massiccio del terrorismo suicida; quando Yassin chiese pubblicamente a uomini e donne di Gaza di uccidere gli ebrei con le cinture esplosive, ed essi seminarono distruzione in misura ancora sconosciuta. Quando nel ’96 stabilì la base di Khaled Masha’al a Damasco così da costruire l’alleanza strategica che oggi dona a Hamas molto denaro e armi iraniane e il ruolo di protagonista nella jihad mondiale. C’eravamo quando Hamas si è opposta a ogni compromesso con Israele, compresi gli accordi di Oslo; quando ha sottolineato in rosso sangue la politica di Arafat rendendo la jihad e il terrore contro civili innocenti la parte più attiva di tutta la politica palestinese. Quando ha cominciato a costruire un vero esercito devoto alla distruzione di Israele, allenato e armato da hezbollah e iraniani. [...]
Il ricatto di Hamas, proclamare la jihad usando i palestinesi come scudi umani
Le ore che passano, il cielo che si sgombera dalle nubi sono forse passi verso la guerra con Hamas. Forse gli F16 scaldano i motori. Non c’e’ piu’ nessuno, da Tzipi Livni a Amos Oz, che ha fatto un proclama di guerra proprio ieri, a Olmert a Netanyahu, proprio nessuno che non si sia ormai rassegnato all’idea di un’impresa militare per far smettere il bombardamento di Hamas sul sud d’Israele. La posta in gioco e’ variamente interpretata: chi vuole semplicemente che Hamas sia disponibile per una tahdia, una tregua immediata che tranquillizzi Sderot e le citta’ vicine. Chi pensa che la feroce leadership che predica la distruzione di Israele, ma anche di Abu Mazen e dei cristiani, e spara missili sulla centrale di Ashkelon che le fornisce elettricita’ e sui camion che le portano il cibo, debba smettere di ammorbare la gente palestinese. Chi cerca la messa fuori gioco (temporanea o definitiva) di Hamas in quanto organizzazione terrorista integralista islamica che prende ordini da Damasco e Teheran. [...]
I cristiani cacciati da Betlemme
«L’Europa deve capire due cose, e decidersi a reagire: il mondo palestinese rischia di restare vuoto di cristiani, la forza di Hamas ci mette in pericolo ancora più di prima (e non eravamo certo in una situazione invidiabile); e in secondo luogo, però, la gente di buona volontà sappia che qui non troverà la solita paura: il nuovo patriarca ci dà una forza nuova». Tuttavia, sono occorsi diversi giorni per trovare alcuni cristiani che ci raccontassero l’angoscia dei cristiani palestinesi e specialmente di quelli di Betlemme.
Alla vigilia della festa per eccellenza, quella della nascita di Gesù, sulla soglia della Chiesa della Natività dove con emozione i pellegrini scendono nella grotta, c’è la consapevolezza che il futuro potrebbe essere ancora più buio: sulla piazza l’albero di Natale, si prepara la solita Messa solenne, ma nella città di Cristo, i cristiani oggi sono appena il 20 per cento; nel 1990 rappresentavano il 90 per cento degli abitanti. Ramallah ed El Bireh, sempre nel West Bank hanno subìto un attacco. E Gaza è addirittura sotto la minaccia continua e presente di assassinii ed esplosioni da parte delle organizzazioni estremiste islamiche che la dominano: Hamas e al suo fianco la Jihad Islamica e i gruppi salafiti Jaish al Islam e Jaish al Umma. [...]
I paesi arabi moderati a Israele: «Uccidete i capi di Hamas»
A perdere la pazienza sono soprattutto ormai i paesi arabi moderati: una notizia bomba fa rumore fra le decine di missili Kassam e Grad che hanno terrorizzato e ferito gli israeliani di Sderot e dei kibbutz vicini a Gaza alla vigilia della fine della tahadiyeh, la tregua con Hamas, che si conclude oggi.
Israele è incerta sull’intervento, ha di fatto già lasciato che la copertura della tregua lasciasse che Hamas si munisse di armi di lunga gittata e di un sistema di difesa efficiente, e consolidasse un grande sistema di tunnel. Il ministro della difesa Ehud Barak insiste nel dire «decideremo stadio dopo stadio qual è la strada migliore», mentre i cittadini di Sderot invocano l’intervento dell’esercito che li salvi dalle bombe. Ma certi Paesi arabi non sono della stessa opinione del mondo politico israeliano: scrive sul quotidiano Ma’ariv il famoso commentatore Ben Caspit che certi messaggi di leader arabi chiedono a Israele di eliminare i capi di Hamas. Uno di questi messaggi dice: «Tagliategli la testa». I leader temono che Hamas ricominci una guerra terroristica capace di infiammare tutta l’area. [...]
La polemica sul discorso di Fini: un nodo ancora irrisolto della nostra civiltà
L’impossibilità che si è manifestata in qualche commento di fronte alle affermazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini di ammettere che il cattolicesimo non assunse un ruolo salvifico al tempo delle leggi razziale e, quindi, più avanti, della Shoah, spiace dire che somiglia un pò alla difficolta degli eredi del comunismo di venire a capo dei problemi ontologici della loro scelta d’origine, e quindi della loro identità odierna. Le leggi razziali presero ben concreto piede (mia madre e mia zia furono espulse da scuola, mio nonno dal lavoro, poi persero la casa, e i loro beni, poi i miei zii finirono a Auschwitz) tra istituzioni e popolazioni cui spetta storicamente la qualifica di civiltà cristiana. Nessuno protestò drammaticamente, o solidarizzò pubblicamente. Così era l’Italia.
Quali che siano stati i tentativi, gli afflati altamente apprezzabili insieme anche alle parole sia dei Papi che dei cattolici italiani e tedeschi e di altri cristiani di salvare gli ebrei, o meglio una parte di essi, nessuna confessione scomunicò, vietò con presa di posizione ufficiale le leggi che discriminavano i loro fratelli maggiori, gli uomini che come Cristo recitavano lo Shemà Israel e il Padre Nostro; così andò anche con la Shoah. Anche le siocietà cristiane aggredite dal nazifascismo, pure coprirono sorprendentemente tutti i fatti che portarono ad Auschwitz. La denuncia del Papa dell’antisemitismo è un piccolo gesto rispetto a quello che stava accadendo. Non si trattava di una bestia appena svegliatas,i ma della storica montagna di pregiudizi e di persecuzioni che si frapponevano fra i cristiani e gli ebrei. Della civiltà cristiana che aveva spesso calpestato la sua parte ebraica. [...]
Hamas e il trucco della «tregua senza tregua»
Il Giornale, 17 dicembre 2008
Sarà per Hamas una semi-tregua non dichiarata e non ammessa, sotto la quale seguiterà a scorrere una determinazione indomabile e anche l’aspettativa segreta che presto una nuova occasione darà fuoco alle polveri. Venerdì è il giorno della scadenza del cessate il fuoco in atto con Israele dal 19 giugno. Tale tregua ha diminuito per sei mesi il carico di missili sulla città di Sderot (da dieci a tre di media) e frenato l’esercito nelle sue incursioni.
Ha, però, anche permesso che Hamas si armasse di missili molto più potenti capaci di arrivare a Ashkelon e a Ashdod, ben oltre Sderot, sempre arrostita a fuoco lento, e se le cose si scaldassero ne vedremmo una grande salva, fino alla perdita di pazienza di Israele, che è pronta a entrare, ma non riesce a decidersi a causa del soldato rapito Gilad Shalit nella mani di Hamas e della pressione internazionale. Cosa deciderà Hamas, dato che comunque Israele non mette in discussione la tregua e Amos Gilad, responsabile per il governo di ritorno dal Cairo, dice che non era prevista una data di scadenza?
Hamas in queste ore alza il prezzo: più apertura di passaggi, di merci, di vantaggi vari, ma Israele è adamantina: si resta come siamo, Shalit non è con noi, sparate su Sderot, siete amici di Iran, Hezbollah, Siria. Se ci sparerete, risponderemo. Ma Hamas gioca razionale: la sua scelta, tregua senza tregua, è parte della natura irriducibile che ha abbracciato e della sua strategia. [...]
L’analisi Israele, Netanyahu troppo «a sinistra» per il suo Likud
Israele è spesso un paese di paradossi: elesse Arik Sharon per essere difesa dall’Intifada e si ritrovò Gaza sgombera e in mano a Hamas; elesse Olmert perché era l’erede di Sharon, e se l’è ritrovato alla sinistra dei laburisti, a trattare con i siriani e a promettere Gerusalemme ai palestinesi. Adesso, mentre tutto il mondo paventava l’ascesa di Netanyahu come leader di destra, il suo Likud, alle primarie, ha dimostrato di considerarlo invece troppo di sinistra e di volergli mettere alle costole un personaggio dalle labbra sottili e la determinazione messianica, Moshè Feiglin, un colono particolarmente tagliato con l’accetta, molto religioso, al contrario di Bibi che è laico, molto determinato a non spostarsi di un centimetro mentre Bibi e anche la gran parte dei coloni sono invece pronti a sacrificare molto per la pace, come si è dimostrato a Gaza nel 2005.
Netanyahu, a cui va la simpatia del 31 per cento dell’elettorato israeliano mentre Tzipi Livni ha soltanto il 24 e i laburisti l’11 come lo Shas, partito religioso, se vinceraà le elezioni sarà un primo ministro molto contrastato all’interno: dopo le primarie conclusesi martedì, sarà assediato da 19 probabili parlamentari degli “slot” di Feiglin contro i suoi 17: Bibi vuole fare un governo di coalizione, e Feiglin esclude ogni rapporto con la sinistra; Bibi vuole portare nuova vita, con cessioni e scambi territoriali e d’altro tipo, nei rapporti con i palestinesi e vuole anche andare a vedere cosa intendono dire i siriani quando fanno balenare la pace in lontananza; Feiglin intende evitare, ritenendo Abu Mazen troppo debole e Hamas impraticabile, ogni contatto con i palestinesi; quanto al mondo arabo, ne sottolinea, non a torto ma in maniera totalizzante, ogni possibile praticabilità per la pace. Netanyahu manda di nascosto in questi giorni di campagna elettorale messaggi rassicuranti sia agli americani, che hanno sempre in ballo il processo di Annapolis, che agli arabi. [...]
Ebrei sempre nel mirino
Fra i 26 stranieri innocenti trucidati a Mumbai, otto, anche se i numeri sono ancora tutti da verificare, sono ebrei. Se fossero israeliani o meno non importava niente ai terroristi che avevano messo la casa dei Chabad «Nariman House» fra gli obiettivi. I macellai avevano due scopi generici: uccidere gli occidentali, specialmente americani e inglesi, i nemici imperialisti dell’islam; uccidere i cittadini dell’India, Paese traditore asservito all’imperialismo. E poi, un obiettivo specifico, uno solo: uccidere gli ebrei. Fra dieci obiettivi di massa come la stazione, due ospedali, svariati centri cittadini, i grandi hotel Oberoi e Taj ce n’era uno, invece, apparentemente insignificante, la casa ebraica dei Chabad, un centro guidato da un rabbino ventisettenne con una moglie di 26 anni e un bambino di 2. Una casa dei Chabad è un punto di raccolta per pecorelle smarrite, diremmo noi, un luogo in cui persone molto religiose, in questo caso appunto i Chabad, cercano di raccogliere ragazzi in viaggio, che spesso sono israeliani, che si perdono dentro il fascino troppo profumato dell’India; là si dorme, si mangia kosher, si canta insieme, si viene richiesti di stare tranquilli (niente musica rock, niente sesso) e di unirsi a qualche preghiera. A Pasqua e a Kippur, per le grandi feste, questo è un rifugio per ebrei di ogni età e provenienza. [...]
Siamo ciechi e sordi alla minaccia integralista
Mentre scriviamo, a più di 24 ore dal suo inizio, l'attacco terroristico di Mumbai è ancora in atto, come per rappresentare quello che il mondo intero vive ormai da parecchi anni senza rendercene conto: una vera guerra del terrorismo contro tutto quello che viene ritenuto parte dell'egemonia occidentale, tutto ciò che appare un ostacolo sulla strada della vittoria della Jihad mondiale. L'ammirevole India, il grande protagonista democratico del subcontinente asiatico, spaccato e povero ma fieramente avviato sulla via della democrazia e dello sviluppo, è in questo momento il teatro della marcia terrorista che se non ci affretteremo a combatterla, lambirà le nostre porte. Lo scontro mussulmano-indù, sempre latente con una minoranza di 160milioni di mussulmani, è ritornato a galla nel 2002. I mussulmani, all'attacco hanno subito severe repressioni: ma l'attuale conflitto per il Kashmir con il Pakistan è di fatto condito di moltissime venature fondamentaliste, che hanno reso i giovani islamici massa di manovra per i più grandi disegni jihadisti. [...]
Per sopravvivere Amman cambia rotta e avverte Israele
Nella notte di martedì scorso, nelle tenebre mediorientali, Ehud Olmert e il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak sono andati in visita al palazzo di re Abdullah ad Amman, invitati d’urgenza. Il giovane sovrano ha poi convocato nel palazzo di Aqaba giovedì il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen. Cose importanti? Per carità. Il primo ministro israeliano ha persino negato che l’incontro abbia mai avuto luogo, ma l’implacabile stampa israeliana ha scoperto tutto: Abdullah ha chiesto drammaticamente a Olmert di trattenersi dall’entrare a Gaza con l’esercito nonostante la pioggia di Kassam lanciati da Hamas che di nuovo perseguita le città di Sderot, Ashkelon e i kibbutz (ieri ci sono stati altri lanci): sappiamo che ponderate l’invasione di Gaza anche per aiutare Abu Mazen, ha detto il re, ma non fatelo, questo metterebbe la Giordania in grave pericolo, forse darebbe fuoco a tutte le polveri del Medioriente. I palestinesi, ha detto, che rappresentano il 75% della popolazione, si rivolterebbero contro la nostra pace con voi; la Fratellanza islamica egiziana, gli Hezbollah, la Siria e l’Iran, tutte le forze estremiste affiancherebbero Hamas. Olmert ha risposto che a Israele la sorte del regno hashemita sta molto a cuore, e che la valutazione dell’intervento eventuale terrà ben presente i desideri dell’unico Paese che ha firmato una pace con Israele, oltre all’Egitto. [...]