Fiamma Nirenstein Blog

Il Giornale

Conferenza sul razzismo, così l’Italia ha vinto

giovedì 19 marzo 2009 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 19 marzo 2009

La vittoria politica è evidente, anche se c’è ancora un trucco politico seminascosto che deve essere smascherato. Il documento di preparazione della «conferenza dell’Onu contro il razzismo», prevista per il 20 di aprile a Ginevra, è stato modificato cedendo alla pressione internazionale. Come si sa gli Usa, il Canada, Israele, e, ultima ma certo non meno importante, l’Italia avevano dichiarato che il documento di preparazione della conferenza «contro il razzismo» era moralmente osceno e che non avrebbero partecipato. Poi, i 27 Paesi dell’Unione Europea, seguendo l’esempio dell’Italia e sulla base di un documento olandese, hanno dichiarato in coro che o si cambiava il documento o nessuno sarebbe andato. Infatti il documento preparatorio, stilato dalla commissione presieduta dalla Libia, si accaniva su Israele in termini di autentico antisemitismo, chiamandolo Stato di apartheid, accusandolo di razzismo, definendolo solo lui e non, che so, l’Iran o la Corea del Nord, «un grave pericolo per la pace».
Insomma, si abbandonava all’estremismo che nel settembre 2001, durante la prima conferenza di Durban applaudiva Arafat, Mugabe, Fidel Castro, condannava Israele e l’America (mentre le ong fiancheggiatrici marciavano sotto i ritratti di Bin Laden, bruciavano le bandiere americana e israeliana), minacciava di distruggere l’Occidente «imperialista e schiavista». Fu un’autentica ondata di odio nel nome dell’Onu mentre il tema del razzismo veniva del tutto ignorato: quattro giorni dopo le Twin Towers venivano attaccate. Durban fu il manifesto ideologico dell’11 settembre e un inno alla distruzione di Israele. Ora, il documento di preparazione di Durban 2, ripercorreva fino a ieri la stessa strada: Israele uno Stato mostro, proibita la critica alle religioni (basta ricordare le vignette su Maometto per capire di cosa stiamo parlando), l’omofobia non ritenuta una forma di discriminazione. Il tutto in 47 pagine per 200 paragrafi di blaterazioni anti-occidentali. Ora, dopo la defezione americana e la richiesta europea, sull’onda italiana, di cambiare tutto minacciando il ritiro, il documento consta di 17 pagine, elimina i riferimenti a Israele stato razzista, non parla più di religione. [...]

Quando antirazzismo fa rima con antisemitismo

domenica 1 marzo 2009 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 1 marzo 2009

Obama non ci andrà, ed è una grande notizia. Chi c’era, come è capitato a questa cronista, sa che cosa è stato e quanto sia importante che gli Usa abbiano fatto la cosa giusta. A Durban, in Sud Africa, nel 2001, giusto alla vigilia dell’11 settembre, la scena stessa era paradossale: una selva di follie antiamericane e antisemite celebrava quella che avrebbe dovuto essere una conferenza contro il razzismo... Cortei di Ong che affiancavano la conferenza dell’Onu marciavano sotto ritratti di Bin Laden urlando slogan jihadisti e bruciando bandiere americane, se appariva un ragazzo che indossava una kippà la caccia all’uomo si faceva inseguimento; nei corridoi dello stadio, sede delle Ong, poco lontano dal Palazzo dei Congressi, si distribuivano volantini in cui gli israeliani venivano chiamati nazisti, gli americani boia e sfruttatori; Israele era divenuto uno Stato di apartheid con astuto riferimento al Sud Africa in cui ci trovavamo.
Nei corridoi del palazzo dei congressi le folle dei giornalisti seguivano Arafat, Fidel Castro, Mugabe, che nei loro interventi disegnavano un mondo in cui la giustizia era dipinta alla rovescia, i diritti umani seguivano lo schema dello scontro “antimperialista”, il dittatore Mugabe diventava un santo protettore dei figli degli schiavi deportati dall’Occidente capitalista (per carità, mai dagli arabi), e ora reclamanti risarcimenti dagli Usa per i loro regimi oppressivi. Israele era senz’altro definito come un’entità del tutto illegittima, avida di sangue, la costruzione di uno Stato ebraico, espressione della volontà nazionale del popolo ebraico eguale a ogni altro popolo e approvata da tutto il mondo, un muro di apartheid pari a quello che aveva separato bianchi e neri in Sud Africa fino alla rivoluzione di Mandela. Il terrorismo appariva una legittima, addirittura indiscutibile lotta per la libertà. La delegazione canadese fu la prima ad andarsene, poi seguirono, incerti e stupefatti, Israele e gli Usa. [...]

Il no della Livni a Netanyahu

lunedì 23 febbraio 2009 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 23 febbraio 2009

Incontro all’Hotel Inbal nel pomeriggio gerosolimitano, una specie di convegno sull’uscio di casa, niente pompa e circostanze come quando si va al King David. La situazione infatti è fluida, incerta. Bibi Netanyahu, incaricato da Shimon Peres di formare il governo, ha offerto a Tzipi Livni (che di seggi ne ha 28, mentre lui 27, ma anche la possibilità accertata di formare un governo di destra) piena partnership, stesso numero di ministeri fondamentali. E lei, durissima, ha spiegato ai giornalisti fuori della porta che, se Kadima venisse bloccata sulla strada della pace da un governo con Netanyahu, che senso avrebbe farne parte? Meglio restare all’opposizione, ripete, del resto ve lo avevo già annunciato. E fa vedere le lettere e i telegrammi di centinaia di membri del partito, sindaci, leader, che le chiedono di andare all’opposizione. Dunque, tutto concluso? Non si può ancora dire.

Guardiamo bene lo sfondo. Netanyahu non ha nessun desiderio di formare un governo di destra. Nel '96, quando era primo ministro, ha già pagato prezzi altissimi ai settler che non lo lascerebbero fare il minimo sgombero, alle famiglie delle vittime del terrorismo che chiedono senza tregua severità e sicurezza, si ricorda bene che quando era al governo a detronizzarlo furono le trappole interne e le proteste di piazza della destra che lo odiava per aver ceduto Hevron ad Arafat e per avere firmato con lui accordi a Wye Plantation. Si ricorda anche che quando Sharon decise per  lo sgombero di Gaza, è stata la destra a trattarlo da traditore e vigliacco fino alla scissione del Likud, senza pietà. Bibi sa che, come diceva Sharon, “ma she roim mi khan lo roim mi sham”, quello che si vede da qua non si vede da là e che anche se l’Iran ha completato il programma di costruzione della bomba, Hezbollah spara dal Libano, Hamas giura la distruzione di Israele, pure il terreno della trattativa non può essere chiuso. [...]

L’odio irrazionale nutre i fautori dell’antisemitismo

domenica 22 febbraio 2009 Il Giornale 8 commenti

Il Giornale, 22 febbraio 2009

Nella grande sala delle riunioni della Lancaster House, il ministero degli Esteri inglese, con noi 120 membri di 40 Parlamenti seduti tutto intorno al tavolone, fra specchi, marmi, stucchi, e dietro di noi gli esperti, professori, giornalisti, capi di organizzazioni internazionali, si alza per parlare Abe Foxman, il presidente dell’Anti Diffamation League, e chi lo conosce sa che farà un discorso pieno di dati, deciso e ironico, da mastino abituale della lotta all’antisemitismo. Siamo alla «London Conference on combating antisemitism», tenutasi dal 15 al 17 febbraio. Invece quando Abe si alza, parla lento e strano. In realtà piange: «Sono un sopravvissuto dell’Olocausto, e vi devo dire che dagli anni Trenta, quando si preparava la Shoah, mai, fino a oggi, è stata cosi brutta». Ha ragione: nei giorni in cui il deputato laburista John Mann preparava questo incontro, da cui è nata la «Carta di Londra», si è acceso un fuoco nella delegittimazione di Israele e degli ebrei, nei giornali, nelle istituzioni, nel discorso pubblico, nella crescita del 300 per cento degli attacchi a uomini e proprietà che abbiano a che fare con l’ebraismo e con Israele. E’ un odio irrazionale che non sente spiegazioni, che attacca l’autodefinizione maggiore dell’ebreo contemporaneo, Israele, ma non solo. In Europa il 35 per cento delle persone attribuiscono agli ebrei la crisi economica e li considerano traditori della patria. È difficile oggi indossare una kippah nelle strade di Londra o di Stoccolma, o di Madrid, o di Parigi. Di Israele si ripetono disperanti menzogne, si usano foto e informazioni false, si ignora il tema centrale dell’uso degli scudi umani e delle stragi di Hamas, l’ipotesi della sua sparizione è ormai corrente. [...]


Irrational Hate Feeds the Proponents of Anti-Semitism
 
Il Giornale, 22 February 2009

In the great meeting hall at Lancaster House, the Foreign and Commonwealth Office, with us, 120 members of 40 Parliaments, all sat around a huge table, between mirrors, marble, stucco, and behind us experts, professors, journalists and heads of international organizations, Abe Foxman, President of the Anti-Defamation League, gets up to speak. Those who know him expect that he will give a speech full of data and be decisive and ironic – the habitual mastiff in the fight against anti-Semitism. We are at the “London Conference on Combating Antisemitism”, held 15-17 February. But this time when Abe got up, he speaks slow and strange. This time he cries: “I am a survivor of the Holocaust, and I must say that from the 1930s, when the Shoah was prepared, never, until today, have things been so bad”. He's right: in the days in which the British Labor MP John Mann prepared this meeting, where the “London Declaration” was born, a fire has been lit in relation to the de-legitimization of Israel and of the Jews, in newspapers, in institutions, in public discussions and in the astonishing increase of the 300 percent in attacks on men and property that have to do with Judaism and with Israel. It is an irrational hatred that doesn't listen to explanations, which attacks the major self-definitions of the contemporary Jew and Israel, but not only this. In Europe, 35 percent of its citizens attribute the economic crisis to the Jews and consider them traitors to their countries. It is difficult today to wear a kippah in the streets of London, Stockholm, Madrid or Paris. About Israel, they repeat despairing lies, they use photos and false information, they ignore the central theme of the use of human shields and of Hamas' bloodbath, and the hypothesis of its disappearance is by now frequently heard. [...]

Nel futuro una instabile coalizione

mercoledì 11 febbraio 2009 Il Giornale 6 commenti
Il Giornale, 11 febbraio 2009

Israele seguita a sognare la pace, ma con cautela, e teme alquanto i passi falsi. È questa la prima conclusione che possiamo trarre dalle proiezioni che danno la vittoria a Kadima, ma in un testa a testa tale con Netanyahu, che si potrebbe dire che ambedue hanno vinto le elezioni. Adesso Peres non ha davvero un compito facile nel conferire l’incarico di governo, che in Israele si dà a chi ha più possibilità di formare una coalizione. E una coalizione di destra oggi conterebbe 63 seggi contro 57.
Con un graffio finale da grande tigre, porta a porta, telefonata dopo telefonata, macinando chilometri e sforzandosi di spremere la sua scarsa giovialità, Tzipi Livni ha strappato per due punti la vittoria a Bibi Netanyahu. E Bibi, investito dalla sfortuna di trovarsi appiccicata addosso la destra fondamentalista di Feiglin e poi di vedersi contendere i voti da Lieberman, adesso deve inghiottire una sconfitta inaspettata, se si pensa che solo un mese fa aveva almeno cinque punti in più. Lieberman, il concorrente novità, considerato di estrema destra, prende 14 seggi, un numero che ne fa l’ago della bilancia, ma con minore forza del previsto. Barak con 13 seggi registra un insuccesso, ma riporta l’altalena in equilibrio, e così accade con Shas a destra, 9 seggi, e con i 5 del Meretz, di estrema sinistra. [...]

Perché la destra di Netanyahu non deve far paura

martedì 10 febbraio 2009 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 10 febbraio 2009

Oggi, nel solito clima febbricitante, Israele vota e già molti giornali nel mondo hanno pronto un coccodrillo per la pace, giudicando Netanyahu, il primo nei sondaggi, un pericolo pubblico. Un’idea primitiva e poco lungimirante, che è già diventata un ritornello. Le elezioni israeliane devono essere guardate senza spirito bigotto, perché la pace non sta, almeno in Medio Oriente, dove la si va a cercare, e i fatti lo hanno dimostrato senza equivoci. I fatti di oggi: Netanyahu col Likud e Tzipi Livni con Kadima sono testa a testa; tutti e due hanno chance di vincere. Ma i partiti di destra prenderanno la maggioranza, anche se non è detto che essa si trasformi in governo. Avigdor “Yvette” Lieberman, capo di Israel Beitenu, cavalcando in primis la minaccia arabo-israeliana, ha fatto a Bibi il pessimo scherzo di conquistare molto rapidamente una gran fetta di elettorato di destra portandogli via voti: ciò disegna all’orizzonte sia una consistente coalizione di destra, sia però, in caso di qualche voto in più di Livni su Netanyahu, la possibilità che “Yvette”, laico e assistenzialista oltre che favorevole a concessioni territoriali, accetti una coalizione con Kadima. [...]

Israele al voto, martedì si sceglie: destra favorita nel clima di tensione

domenica 8 febbraio 2009 Il Giornale 4 commenti

Il Giornale, 8 febbraio 2009

Gerusalemme - Ore di silenzio e di attesa: martedì Israele vota; il caldo, la siccità che succhia via il lago Kinneret e chiude i rubinetti, l’eco della guerra di Gaza, le notizie dal Cairo sulla possibile tregua e da Damasco su Gilad Shalit ricordano a ogni istante che in Medio Oriente un voto non è un voto, un Primo ministro non è un Primo ministro. Possono essere la chiave di volta della vita o della morte, la lampada di Aladino che funziona o si inceppa di fronte al pericolo genocida iraniano, al terrorismo di Hamas e degli hezbollah, alla disapprovazione del mondo quando Israele si difende. Per questo c’è tanta incertezza e trepidazione e tutto può accadere: affidare la propria vita è una scelta incerta soprattutto quando i programmi dei partiti, sovrastati dalla realtà circostante, promettono tutti un atteggiamento deciso, un piano per uscire dalla trappola dell’odio jihadista e della guerra. Il Likud di Bibi Netanyahu è dato fra i 26 e i 28 seggi; a ruota segue Kadima di Tzipi Livni, fra i 23 e i 26. Poi fra la sorpresa generale, invece del Partito laburista di Ehud Barak, che al quarto posto conta fino a 16 seggi, troviamo Avigdor Lieberman, detto Yvette, con il suo Israel Beitenu, fra i 17 e i 19. Poi vengono il partito religioso Shas con 10 seggi e la sinistra radicale del Meretz, con 10. Poi i pensionati, i partiti religiosi nazionalisti, i partiti arabi. Una coalizione di destra potrebbe arrivare a 65 seggi, e una di sinistra a 55, anche se Netanyahu ripete di volere un governo di unità nazionale. [...]

La svolta di Ankara e le sirene dell’Islam

domenica 1 febbraio 2009 Il Giornale 11 commenti

Il Giornale, 1 febbraio 2009

La Turchia è ancora un mediatore attendibile fra Israele e mondo islamico? L’unico Paese in grado di coniugare la sua storia di laicità con l’Islam, ciò che ne ha fatto addirittura un candidato all’Unione Europea? Nei giorni scorsi, Tayyp Erdogan si è lanciato contro Shimon Peres a compimento di alcune settimane in cui aveva detto che Israele deve essere cacciato dall’Onu; dopo aver presenziato al summit di Doha con Ahmadinejad e Assad accusando Israele di crimini di guerra; dopo aver affermato che «Allah punirà Israele per Gaza» e che «le azioni di Gerusalemme la porteranno alla distruzione». Il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu ha offerto a nome del suo Paese una mediazione fra Hamas e Fatah, mentre nei giorni della guerra emissari turchi hanno viaggiato per tutte le capitali arabe, snobbando Gerusalemme. La Turchia si gioca così il ruolo di mediatore fra Israele e la Siria, 3,5 miliardi di dollari di volume d’affari con Israele, una amicizia strategica di grande rilievo che coinvolge anche gli Stati Uniti.
I motivi della scelta di Erdogan sono basilarmente tre: elezioni, religione, affari. Un insieme che conduce a un cambio di alleanze strategico, e che in generale ci mostra quanto sia importante e pericolosa oggi nel mondo la sirena islamista. Le elezioni si svolgeranno in marzo, e l’elettorato dell’Akp, il partito neo-islamista, è entusiasta della svolta filo Hamas; inoltre Erdogan è sempre impegnato in una battaglia molto dura contro le istituzioni eredi della secolarizzazione di Kemal Ataturk, l’esercito e la giustizia. [...]

L'islam antisemita sparge nuovo odio anche in casa nostra

martedì 27 gennaio 2009 Il Giornale 32 commenti
Il Giornale, 27 gennaio 2009

Nel giorno della Memoria, tutti quanti rinnovano la promessa che l’antisemitismo non avrà mai più cittadinanza in Europa, e soprattutto che non potrà risollevarsi nella sua forma genocida. Ma questa promessa, rischia solo di fare da paravento a un pericoloso sviluppo del fenomeno antiebraico. È certo molto importante che gli antisemiti confessi siano in Italia solo il 13 per cento, anche se sgomenta che con gli antisemiti confusi raggiungano poi più del 35. In Francia sono il 20, in Germania il 25, in Spagna il 46 per cento. Ma con tutto lo stupore e, si permetta, il disprezzo intellettuale che destano queste cifre, tuttavia si potrebbe rispondervi con un’alzata di spalle. Ma un grande fenomeno oggi rischia di fecondare l’humus europeo fino all’omicidio. Si tratta della proliferazione di antisemitismo genocida prodottosi, specie dall’11 settembre 2001, nel mondo islamista, e importata sulle onde radio e tv e con l’immigrazione. L’islamismo odia gli ebrei. L’Europa dopo la Shoah ha covato il suo antico antisemitismo in forma torpida e negata, chiamandolo «critica a Israele». Si è trattato di un fenomeno aggressivo e demenziale, dannoso per la mente europea, che ha in parte distrutto la sinistra, ma non così pericoloso per l’incolumità fisica degli ebrei. [...]

Ecco perché mi disgusta il coro anti-Bush

martedì 20 gennaio 2009 Il Giornale 14 commenti
Il Giornale, 20 gennaio 2009

Dando il benvenuto a Obama, certi delle sue qualità e della bellanovità che l’America abbia un presidente nero, mi si permetta di essereun po’ disgustata delle bordate di facilonerie con cui vieneaccompagnato l’exit di George W. Bush. Il presidente uscente si beccala stupida scarpa del giornalista iracheno e tutti sono contenti, ma siallontana dalla scena mentre porta con sé i buoni risultati del “surge”del generale Petraeus in Irak, ormai riconosciuti persino dal suonemico New York Times; biasimato soprattutto per la guerra in Irak,incamera un patto di reciproco aiuto strategico fra gli Washington eBagdad. L’Afghanistan e il Pakistan atomico sono stati bloccati sullavia dell’integralismo. Uno dei peggiori dittatori della storia è statosconfitto, i profughi iracheni sono tornati a casa, i sunniti si sonorivoltati contro la sunnita Al Qaida, gli sciiti si sono staccati nellamaggior parte dall’Iran, la democrazia fa capolino nelle comunicazioni,nelle scuole, nell’economia, nelle istituzioni, negli accordi… È dura,errori ci sono stati, ma dov’è la sconfitta? Il terrore è stato lontanodall’America per sette anni, la crescita certo non imputabile, e inveceimputata a Bush dell’offensiva islamista non ha impedito buoni rapportiamericani con tutto il fronte musulmano moderato. Se anzi si puòaddebitare a Bush un errore, è quello di non avere combattuto ilterrorismo in Irak con più forze militari e di non aver chiuso ilconfine con la Siria. [...]

Here is why the Anti-Bush choir disgusts me

Il Giornale, 20 January 2009

After September 11th he lived in difficult and new times, but he fought terror without being defeated.

Giving the welcome to Obama, surely for his qualities and for the beautiful novelty that America has a black president, permit me to be a bit disgusted by the skirt of slapdash attitudes with which it comes about at the expense of George W. Bush's exit from office. The exiting president was recently hit with a stupid shoe by an Iraqi journalist and all were happy, but that incident averts from the stage all that, which we must attribute to Bush. These include the good results brought about by General Petraeus' “Surge” in Iraq, by now recognized even by his enemy the New York Times: stigmatized overall for the War in Iraq, we can appropriate to Bush a pact of reciprocal strategic help between Washington and Baghdad. Afghanistan and atomic Pakistan have been blocked on the path toward fundamentalism. In addition, one of the worst dictators of history has been defeated, the Shiite refugees have returned home, the Sunnis have revolted against the Al Qadea Sunnis, the majority of Shiites have detached themselves from Iran and democracy peeps into communications, schools and the economy, as well as in institutions and in agreements. It is hard, errors have been made, but where is the defeat? Terror has been distanced from America for seven years; the growth, surely not attributable to Bush, but still attributed to him, of the Islamist offensive have not prevented good American relations with the entire moderate Muslim front. On the contrary, if they can ascribe to Bush an error, it is that of not only having combatted terrorism in Iraq with more military force, but also of not having closed the border with Syria. [...]
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