Fiamma Nirenstein Blog

Il Giornale

Per Gerusalemme i fronti restano quattro

mercoledì 18 giugno 2008 Il Giornale 19 commenti

Guai a non intendersi fra culture: Israele, che è una scheggia di Occidente in mezzo a un oceano di cultura islamica, dà prova su ben quattro fronti di muoversi secondo i propri criteri, quelli della logica e della reciproca fiducia, e non quelli che la sua posizione geopolitica le propone nella realtà.
Il fronte della pace con Abu Mazen: nonostante l’occupazione violenta di Gaza nel giugno del 2007 da parte di Hamas, nonostante la disastrosa ripercussione sulla vita di un milione e mezzo di palestinesi, tuttavia i palestinesi seguitano a preferire Hamas a Fatah. Piace loro l’onestà dei jihadisti sempre in armi, l’adamantino rifiuto di Israele, il fatto che Gaza almeno è pulita. Gli uomini di Fatah nel West Bank sono conquistati da quello stesso Hamas che con la sua lotta per il potere ha causato con la guerra fratricida l’uccisione di 450 uomini e il ferimento di 1800, oltre alla chiusura di 3900 fabbriche, e in definitiva il fatto che dei cittadini di Gaza l’85% vive della carità di varie istituzioni. Il risultato politico di questa situazione, assicura l’analista Khaled Abu Toameh, è che i palestinesi, stufi della corruzione di Fatah e dei suoi leader e soprattutto insospettiti dal sostegno occidentale, americano ed europeo ad Abu Mazen, se dovessero votare domani porterebbero Hamas di nuovo alla vittoria a Gaza e gli consegnerebbe anche l’Autonomia. Dunque Israele tratta con Abu Mazen che non sarebbe mai in grado di garantire la pace che tutto il mondo auspica, perché un moderato in quel mondo può passare per un vile. [...]

Il presidente iraniano merita il Tribunale internazionale

martedì 3 giugno 2008 Il Giornale 17 commenti
Il presidente iraniano merita il Tribunale internazionale

Forse molti di noi, andando stasera alla manifestazione di protesta contro Ahmadinejad dell’Iran ospite della FAO a Roma, si chiederanno che cosa si potrebbe fare di più diretto e effettivo per delegittimare il discorso fanatico e carico di violenza del presidente, cui comunque è stato negato qualsiasi incontro con il Governo e col Papa. E tuttavia se non con la guerra, come si potrebbe fermare la sua bomba atomica quasi pronta, la sua politica di violazione dei diritti umani, l’aggressività religiosa che arma Hezbollah, Hamas e minaccia morte a Israele e all’occidente tutto? La risposta c’è anche se parziale, ed è pratica e non violenta. Ma prima di suggerla, leggiamo le ultime uscite del presidente Iraniano prima di imbarcarsi verso Roma. Lunedì in un discorso a ospiti stranieri ha detto: “Il regime sionista criminale e terrorista è alla conclusione della sua opera e presto sparirà dalla carta geografica...”.  [...]

IRANIAN PRESIDENT DESERVES INTERNATIONAL COURT
Perhaps many people among us, while making their way this evening to the demonstration against Ahmadinejad, guest of the FAO in Rome, will be asking themselves which more direct and effective actions should be undertaken in order to delegitimize the fanatic and violent discourse of the Iranian President, who was denied every meeting with the Government or the Pope. Still, if not with a war, how could be stopped his almost ready atomic bomb, his policy of human right’s violation, the religious aggression that arms Hezbollah and Hamas and threaten to death Israel and the whole West? The answer exists, even if partial, and it is practical and nonviolent. But, before advancing it, let’s have a look at the Iranian President’s last declarations. [...]

Ora tocca a noi smascherare Ahmadinejad

giovedì 29 maggio 2008 Il Giornale 2 commenti
Il mondo ci guarderà nei giorni in cui il presidente iraniano Ahmadinejad in visita alla Fao saggerà di fatto il terreno italiano, europeo, democratico. Abbiamo quindi una grande responsabilità, come la ebbero gli Usa in occasione della visita all’Onu: allora il presidente della Columbia University, professor Lee Bollinger, schiacciò il presidente dell’Iran sotto le sue stesse menzogne. Per noi italiani, è un compito importante dimostrare che la visita di Ahmadinejad ci risulta molto problematica, fortemente sgradita: questo, diciamolo subito, nonostante la nobilissima storia della Persia e la grazia e la forza della cultura dei Persiani.
Il governo non incontrerà Ahmadinejad e questo rafforzerà l’atteggiamento più duro di tutto il consesso internazionale: è un dato fortemente positivo. Ma ora sta alla società civile, agli intellettuali, ai politici uno a uno, dare un segnale deciso di consapevolezza. Bene ha fatto il Riformista a lanciare un appello che sfocerà in un sit in.
Ahmadinejad è un dittatore spietato, il suo Paese condanna a morte 210 persone l’anno, 100 giovani sono nel braccio della morte per crimini di varia natura, dall’omosessualità al dissenso mascherato. La costruzione di strutture atomiche va di pari passo con l’ossessiva promessa di distruggere Israele, e col disprezzo per tutto l’Occidente accompagnato dalla minaccia ripetuta nel 2006 che l’Islam è pronto a dominare il mondo, anche con il perfezionamento di missili Shahab che possono già raggiungere le capitali europee. La sua pericolosità non è legata però soltanto al progetto atomico ormai in dirittura di arrivo, ma a un bisogno egemonico che usa e fomenta per fini imperialisti le organizzazioni terroriste in ogni situazione agibile, come per esempio quella irachena. [...]

Israele non resterà a guardare l’Iran che colonizza il Libano

mercoledì 14 maggio 2008 Il Giornale 14 commenti
Mai il fronte diplomatico israeliano è stato così arruffato, da una parte immerso in cerimoniali d’onore e dall’altra invece in preoccupazioni tempestose. Da Gaza seguitano a cadere missili che hanno ucciso due volte in una settimana, ieri è stata seppellita un’israeliana fatta a pezzi da un kassam sotto gli occhi del figlio; Omar Suleiman, plenipotenziario del rais egiziano Hosni Mubarak tratta, ospite di Olmert, una tregua con Hamas; è in arrivo George Bush insieme ad altri 13 capi di Stato per la Conferenza del presidente Shimon Peres in onore del 60° anniversario di Israele. Bush vuole vedere i risultati nella trattativa con Abu Mazen. Dall’altra parte, l’ombra del Libano incombe, e si ragiona sui possibili scenari futuri. Ci si prepara all’evenienza molto concreta che gli Hezbollah, smantellato il governo di Fuad Siniora prendano il potere per i loro programmi di recupero della Siria nel loro scenario nazionale e di belligeranza filoiraniana. Allora, come dice Bibi Netanyahu, Israele si troverà ad avere due autentici confini con l’Iran di Ahmadinejad compreso quello settentrionale col Libano, dove gli Hezbollah fanno dell’odio antisraeliano e dell’islamismo sciita il loro vessillo; per ora, si valuta però in Israele, il fronte interno li assorbe troppo ed è difficile a Nasrallah pensare a una guerra immediata. Ma presto accadrà necessariamente. (...)

Ebrei di destra e di sinistra restano lontani

sabato 10 maggio 2008 Il Giornale 0 commenti

Ma al Lingotto può cominciare una nuova era

venerdì 9 maggio 2008 Il Giornale 19 commenti
Alla fine, dopo mesi di nuotata controcorrente fra onde di frasi insensate sugli ebrei, i Protocolli dei Savi di Sion, dopo le follie sulla «pulizia etnica» pretesa dai seguaci di Vattimo e le intimidazioni a Napolitano dell’intellettuale Tareq Ramadan, persona non grata negli Usa e ora anche da noi, la Fiera del libro è finalmente approdata nel suo porto naturale davanti a folle di giovani e no, ben più numerosi di quanto mi sarei mai aspettata. Gente arrivata da ogni parte d’Italia semplicemente per ascoltare degli scrittori che parlano a voce bassa di poesia, romani, milanesi, fiorentini, siciliani, una quantità di parlamentari di tutte e due le parti politiche di cui alcuni, come Luca Barbareschi, Giorgio La Malfa che sul telefonino mi chiede dove siete, Margherita Boniver, Scipione Rossi e tanti altri si fermano a sventolare la bandiera di Israele davanti ai cancelli del Lingotto, mentre scorrono sorridenti anche Giovanna Melandri, Fassino, Vernetti, Fiano.
La folla vuole entrare sin dalle prime ore, la accompagnano eroine come la professoressa Santus che, esponendosi alla possibile violenza, si avvolse in una bandiera di Israele sulle scale dell’Università. La gente si accalca alle biglietterie e si sparge nel gigantesco edificio in cui troneggia una torre di libri, circondata da miriadi di stand colorati: lo fa certo per la cultura, lo fa certo per la bellezza che, come dice il titolo della Fiera, ci salverà. Ma lo fa soprattutto per venire a sostenere l’immagine d’Israele e di chi l’ha voluta alla Fiera, il direttore editoriale Ernesto Ferrero, e Rolando Picchioni, il presidente.
Mentre arriva Napolitano respiriamo l’aria di un tempo nuovo, quello in cui la gente sa che Israele non è un paria, che il suo diritto all’esistenza è un fatto prima ancora che di legalità internazionale, di merito per essere sempre rimasto il baluardo della democrazia mentre il rifiuto arabo la costringeva a tante guerre. È chiaro, non c’è forse più nemmeno bisogno di dire la solita frase di circostanza di cui francamente non se ne può più: pur riconoscendo il pieno diritto a criticare Israele...

E il nemico peggiore resta la menzogna

mercoledì 7 maggio 2008 Il Giornale 11 commenti

Israele compie sessant’anni: dopo la giornata del ricordo dei più di 22mila soldati caduti nelle guerre che dal 1948 non lasciano questa terra, cominciano stasera le celebrazioni di Yom Azmaut, il Giorno dell’indipendenza, che dureranno tutta la giornata di domani. E a sessant’anni, questo piccolo Stato non può sedere a riposarsi neppure un attimo: corre nello stadio della storia fra due ali di folla. Da una parte chi lo ama e lo difende, dall’altra chi lo odia e lo diffama. Ed è logico che ciò che appare una gran festa per chi ritiene la democrazia un bene supremo, diventi un motivo per digrignare i denti per chi invece la ritiene un artifizio che cela ingiustizie e crimini a fronte di un’utopia palingenetica. In Italia la divisione è evidente proprio oggi, giorno in cui festeggiamo la nascita e la resistenza della patria del Popolo ebraico contro la diffamazione e le aggressioni che hanno punteggiato la sua vita. Il suo primo successo è proprio la sopravvivenza. Nonostante le crescenti minacce, dell’Iran e di tutto il terrorismo islamista.
Ma fra i nemici di Israele c’è anche una propaganda incessante e pervasiva che si sostanzia di una quantità inaudita di bugie che oggi sostituiscono una attendibile conoscenza dei fatti. La falsa conoscenza ispira purtroppo gli incendi delle bandiere e le vergognose bugie che si odono in queste ore all’Università di Torino nella conferenza che vuole contrastare la Fiera del Libro che si aprirà domani. Tutta la conferenza indetta non ha niente a che fare con la libertà accademica delle cui piume si pavoneggia, ma c’entra piuttosto con la mera politica dell’odio. Propone in tutte le salse il tema della «pulizia etnica» che Israele avrebbe compiuto nei confronti dei palestinesi: la tecnica è quella di usare un termine odioso, da pulizia etnica a apartheid, da olocausto a deportazioni, per appiccicarlo su Israele e farne quindi un paria indegno di vivere. Ma se si guarda dentro le etichette non si trovano altro che menzogne. La pulizia etnica non è mai stata nelle più lontane intenzioni della parte israeliana: semmai, l’intenzione di spazzare via il popolo ebraico è sotto gli occhi di tutti, ripetuta, scritta, filmata e stampata ogni giorno dai terroristi.
Se gli israeliani avessero perpetrato una pulizia etnica sarebbero dei veri incompetenti. Prendiamo per esempio Gerusalemme. Dal ’67, quando Israele annesse Gerusalemme Est, la popolazione araba è cresciuta del 266%, il doppio rispetto alla popolazione ebraica, cosicché la proporzione fra ebrei e arabi è di 66 a 34, mentre nel ’67 era di 74 a 26. Anche durante l’Intifada, con la chiusura, il muro e quant’altro, è cresciuta da 208mila a 252mila. E non si tratta solo di crescita naturale: Ziad al Hamuri, che guida il centro per i diritti economici di Gerusalemme, stima che circa 30mila arabi si siano spostati a Gerusalemme dalla costruzione del recinto. Del resto, anche il noto storico revisionista Benny Morris scrisse che mai gli ebrei avevano avuto intenzione di spostare gli arabi dai loro villaggi e che furono invece invitati e costretti dai loro leader a farlo, e che sin dal ’48 i padri fondatori di Israele, da Jabotinsky a Ben Gurion, hanno insistito per far restare i palestinesi anche dopo la partizione.

Io, ebrea, per Vattimo (e Lerner) sono "fascista"

sabato 3 maggio 2008 Il Giornale 1 commento

Il mio primo giorno in Aula tra dubbi e l’incubo dei tacchi

mercoledì 30 aprile 2008 Il Giornale 7 commenti

Carter e Hamas: tanto rumore ed era un bluff

mercoledì 23 aprile 2008 Il Giornale 0 commenti
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