Fiamma Nirenstein Blog

Il Giornale

Barack e quei timori a Gerusalemme

domenica 9 novembre 2008 Il Giornale 6 commenti
Il Giornale, 8 novembre 2008

È la vulnerabilità della politica della speranza, il tradimento dei pensieri carichi di buone intenzioni, il colpo della strega che proviene dall’alzarsi dalle belle poltrone dei colloqui di Camp David per trovarsi d’un tratto nell’Intifada del terrore che fa esplodere bar, ristoranti, autobus, supermarket, ciò che oggi crea ansia in Israele sulla futura politica di Obama. Obama piace istintivamente allo spirito ebraico liberal, alleato dei neri nella lotta contro il razzismo e per i diritti umani: il 74% degli ebrei americani l’ha votato, ma in Israele il futuro è più importante delle appartenenze e delle civetterie.
Obama potrebbe non tenere conto della storia della speranza in Medio Oriente, storia tragica, con tante occasioni volutamente perdute da un mondo arabo che sogna la distruzione di Israele mentre dice "land for peace". Obama, si vede nei suoi discorsi, non ritiene primario l’integralismo religioso, il problema del terrorismo, e desidera distanziarsi da Bush prima possibile. Israele l’ha sperimentato soprattutto con Arafat, designato illusoriamente come partner di pace prima del premio Nobel fra i peggio assegnati della storia. Israele, e lo dicono decine di dichiarazioni e commenti, inclusa la telefonata di Olmert a Obama e persino un messaggio molto affettuoso di Netanyahu, non pensa che il presidente eletto sia ingenuo, che possa avventurarsi in passi fatali. Ma l’Iran incombe. Non si scherza con il pericolo iraniano: meglio di tutti lo ha scritto lo storico Benny Morris che ha dipinto Israele devastata dall’atomica, la sua arida terra restituita ai frutti e ai fiori, di nuovo una terra desolata; le case, le scuole, i ristoranti, gli ospedali tombe invece che segnali di civiltà e di vita. [...]

A noi mancano gli eroi positivi

lunedì 3 novembre 2008 Il Giornale 8 commenti

Il Giornale, 3 novembre 2008

Amare Obama da destra non è un fenomeno strano, ma ha un contenuto profondo, e un po’ preoccupante. Non è infatti semplicemente il desiderio di fare un surf, all’occasione, sulla grande onda del corrente modello della bontà mondiale, così larga, così iconograficamente giovane e attraente; è semmai la pulsione, sempre forte in Italia, di fare qualcosa di sinistra.
La mancanza di uno sfondo teorico e estetico sufficiente per la cultura conservatrice, la incapacità a divenire padroni del discorso pubblico, legittimato dagli intellettuali e dagli artisti, è una malattia italiana. Non è così nella storia degli Stati Uniti: lo spirito conservatore conta eroi positivi alla John Wayne fra gli scrittori, i teorici, gli economisti... La sua storia è profonda, si fonda sulla lotta per la sopravvivenza, la cultura della frontiera, il capitalismo individualistico, la mancanza di vincoli con qualsiasi ancien régime, la mistura fra guerra e Costituzione (Washington era un generale); l’Inghilterra ha prodotto parecchi Churchill; la Francia vanta un De Gaulle, in Israele un Begin o uno Sharon, gente di guerra che la guerra e il valore personale non hanno mai ripudiati teoricamente, ma che sa sgomberare l’Algeria, il Sinai e Gaza.
Da noi, nonostante l’innegabile sforzo di tanti conservatori, il peso delegittimante dell’identificazione della Chiesa (che ha conteso allo Stato la cosa pubblica, non l’ha nutrito) e del fascismo con la destra, impedisce alla cultura conservatrice di decollare. Con Obama per un attimo puoi illuderti di vivere nel consenso, puoi mescolarti con una folla che chiede il Nuovo, grande categoria, per un attimo ti puoi dire Yes! you can nel momento in cui invece la delegittimazione sale fino al naso, la piazza ti urla contro, e il tuo modo d’essere, anche quando Berlusconiha il 70% dei consensi, in società risulta sempre delegittimato [...]

Il meticciato non c’entra

venerdì 31 ottobre 2008 Il Giornale 8 commenti
Il Giornale, 31 ottobre 2008

L'entusiasmo che ha accompagnato anche da noi la campagna elettorale di Barack Obama è quasi commovente, perché è l'unica "cosa di sinistra" su cui l'opinione pubblica appunto di sinistra abbia avuto ultimamente l'occasione di esercitare la sua fiducia nel futuro. E a ragione: Obama è di sinistra sui temi economici e sociali e in politica estera, dall'aumentare le tasse e ridistribuire, fino al giudizio sull'Irak e sul parlare con l'Iran e senza precondizioni. Barack Obama è comunitario e messianico nei toni e nella sua storia personale, sua moglie ha dichiarato che è la prima volta, da quando il marito è candidato, che ha fiducia negli States, le foto della sua cena con Edward Said, molto cordiale, potrebbero figurare in qualsiasi album di ricordi di un rappresentante della sinistra intellettuale americana, così come il suo gesto di togliersi la spilletta con la bandiera a stelle e strisce per protestare contro la guerra in Irak. E' legittimo e logico che la sinistra e l'Europa che crede nell'appeasement e che ha odiato Gorge Bush sbagliando in toto, secondo noi, il giudizio che ne darà la storia, ne faccia il suo campione: quello che non si può invece accettare è che si attribuisca alla figura di Obama un ruolo palingenetico, salvifico, legato soprattutto al colore della sua pelle, alla sua storia personale di "meticcio", una specie di messia che porta un soffio di cultura nuova al mondo. Così lo qualifica Gad Lerner nell'articolo che ieri appariva in prima pagina di Repubblica. Per due ragioni: Obama non è il primo afroamericano sulla strada del grande potere, né, per altro, è un meticcio culturale. Fra l'altro era questo il meticciato pericoloso cui si riferiva il senatore Marcello Pera, quello delle usanze e delle convinzioni politiche inaccettabili dalla nostra civiltà (condizione della donna, mutilazioni, poligamia, jihad islamica), non certo quello delle origini o del colore della pelle. [...]

Il diktat di Bush alla Siria: basta ospitare terroristi

martedì 28 ottobre 2008 Il Giornale 8 commenti
Il Giornale, 28 ottobre 2008

Sono naturalmente di rabbia e di vendetta le dichiarazioni siriane che denunciano come un «crimine oltraggioso» gli otto morti per mano americana a Sukkariya, otto chilometri dal confine iracheno. La Siria ha anche minacciato una reazione militare contro gli Stati Uniti e si sono cominciate a diffondere voci che gli elicotteri avessero scelto la strada dello spazio aereo israeliano (anche se la cosa appare geograficamente irrealistica), e sembra che anche Hezbollah sia nel più alto stato di allarme, ritenendo che forse Israele potrebbe considerare la strada aperta da Washington come un’indicazione a intraprendere un’azione contro il suo totale riarmo. La televisione del presidente siriano Bashar el Assad ha mostrato tutto il giorno immagini amatoriali degli elicotteri americani provenienti dall’Irak, oggetti insanguinati, interviste a testimoni che ripetono che le vittime erano civili innocenti. Secondo fonti americane, il target era un importante leader di Al Qaida.
Ci sono tre domande che aspettano una risposta: qual è il significato di ciò che è accaduto, qual era l’obiettivo, che cosa succederà adesso. Possiamo fare soltanto ipotesi. Ma una verità sembra palmare: gli Stati Uniti hanno individuato a Sukkariya un obiettivo urgente, tale da costringere a un’operazione immediata nell’ambito della guerra al terrorismo. Ovvero, ritiene i terroristi provenienti dalla Siria e che ci rientrano, o che vi si rifugiano, molto importanti. Questo tipo di operazione (sempre che non siano stati commessi errori, il che è possibile) richiede un crudele tempismo e spesso risulta tanto più difficile da decifrare quanto più il raid è importante. [...]

Mamma mia!, il riscatto delle splendide sessantenni

venerdì 17 ottobre 2008 Il Giornale 7 commenti
Il Giornale, 17 ottobre 2008

Questo articolo è dedicato agli uomini e alle donne che hanno 50 o anche 60 anni e che si sentono assediati o imbarazzati dal corrente atteggiamento verso la donna sopra i cinquanta. La quale peraltro in genere è oggi piena di vita, attraente, sexy come mai nella storia; a scrivere mi spinge il film con Meryl Streep "Mamma mia", di cui certo non mi saprei occupare professionalmente.
Mamma mia è suggestivo e influente come i grandi musical, come Hair, Cats, Jesus Christ Superstar, Cabaret; vederlo al cinema è un incanto per la bravura degli attori nella recitazione e nell’imperfezione della performance nelle supercanzoni degli Abba. Il film è un’americanata, troppo lieve, colorato e allegro per essere significativo? Ma per favore: l’America dello spettacolo leggero, con la musica e le trame apparentemente semplici, è madre di una complessità iconografica e psicologica (basta pensare ai volumi scritti su Via col vento) che l’Europa ha molta difficoltà, saccente com’è, a riconoscere. [...]

Israele ha paura di una nuova Intifada

martedì 14 ottobre 2008 Il Giornale 3 commenti
Il Giornale, 14 ottobre 2008

Quello che i palestinesi «si devono preparare ad affrontare è né più né meno che una battaglia strategica conclusiva con Israele. Non devono sentirsi scoraggiati dal passato ma guardare con fiducia al futuro...». Queste sono per ora solo parole contenute in un documento di 60 pagine intitolato «Riconquistare l’iniziativa» pubblicato in agosto dopo una serie di incontri di intellettuali e politici palestinesi (sostenuti da un’iniziativa dell’Oxford research group finanziato dall’Unione Europea), fra cui molti di Fatah, inclusi anche ex ministri dell’Autorità Palestinese.
Il documento, ultimato in agosto, in sostanza suggerisce di abbandonare la vecchia strada del negoziato, ritenuto ormai fallito con Annapolis, per avviare «una resistenza intelligente» e un’Intifada che si basi su un necessario ritrovato accordo fra Hamas e Fatah. Di fatto la parola «resistenza» ricalca l’impostazione bellicista degli Hezbollah, usarla vuol dire solo scontro senza remissione, come poi chiarisce il seguito. Ma le parole non desterebbero preoccupazione se non fossero parte di una situazione sull’orlo del baratro che può portare al rapido deteriorarsi della situazione di relativa calma fra Israele e i palestinesi: Fatah ha perseguito un accordo mai realizzato sulla spinta di Bush tramite il rapporto fra Abu Mazen e Olmert, ormai fuori gioco, e dall’altra parte la tregua con Hamas ha molto diminuito i missili Kassam su Sderot. [...]

Io, razzista democratica nel nome dell’identità

domenica 5 ottobre 2008 Il Giornale 14 commenti
Il Giornale, 5 ottobre 2008

Non può esserci niente di più ingenuo o forse di più malizioso dellamaniera in cui su alcuni giornali di sinistra viene gestito il problemadegli episodi di intolleranza etnica sfociate nelle ignobiliaggressioni di questi giorni. Ciò che si legge persino nel pezzo di unanalista come Luigi Manconi o di un giornalista come Gad Lerner, pernon menzionare gli editorialisti dell’Unità e del Manifesto, è infattiche in fondo è tutta colpa della temperie che circonda il governoBerlusconi. Le aggressioni sarebbero frutto di oscuri disegni tesi apenalizzare il flusso di nuovi immigrati (lo dice Manconi). A riprovadi questo si continua a citare la stessa orrida frase, quella sui«calci in c… », dimenticando le scuse di Roma portate dal sindacoAlemanno e le posizioni espresse da Fini.
In questa destra (qui è Lerner) ignorantona e volgare c’è proprioun’incapacità ontologica (genetica?) di capire il temadell’immigrazione e anche una tendenza alla repressione e quindiall’autoritarismo. Non sarà il contrario? Sono semmai posizioni comequeste, pensiamo, che semplificando il tema lo svuotano di significatoin sé, come se l’immigrazione non fosse un problema, e gli sottraggonoogni possibilità di soluzione, togliendo all’interlocutore un’identitàdecente e all’immigrato una responsabilità personale. [... ]

Ahmadinejad minaccia e l’Occidente applaude

venerdì 26 settembre 2008 Il Giornale 13 commenti
Il Giornale, 26 settembre 2008

Chi ricorda «La resistibile ascesa di Arturo Ui», di Bertolt Brecht,che parafrasava in commedia la paura e l’idiozia che avevano circondatola presa di potere di Hitler? Qui, la presa del potere da parte di unfanatico religioso che odia l’Occidente è avvenuta quattro anni fa,quando Mahmoud Ahmadinejad da pasdaran, sospetto agente-sicario, si ètrasformato in presidente dell’Iran. Ora assistiamo all’allargarsi delsuo controllo sul terrorismo internazionale - da Hamas a Hezbollah -,ai suoi legami con Al Qaida e alla resistibile preparazione della bombaatomica intesa a distruggere l’Occidente. E applaudiamo. Come ha giàdetto il leader dell’Iran khomeinista: quel giorno felice, laredenzione finale, verrà quando l’ultimo ebreo sparirà.
Adesso la guerra al potere immorale e imperialista degli Stati Uniti eall’esistenza d’Israele si è trasformata in un dettagliato messaggionazista che ha al centro gli ebrei e per riflesso la necessità pertutti di eliminarli. «La dignità, l’integrità e i diritti del popoloeuropeo e americano sono lo zimbello di pochi sionisti... minuscolaminoranza che domina i mercati finanziari e i centri politici... Europae America ubbidiscono a un piccolo gruppo avido e invadente e hannoperso ogni dignità, prigionieri dei delitti, delle minacce e delletrame dei sionisti», ha detto Ahmadinejad a New York. Roba vecchia. Lanovità è l’applauso dell’Assemblea Generale, l’abbraccio del presidenteMiguel D’Escoto, la candidatura incredibile e ben sostenuta (118 Paesinon allineati e 57 nazioni della Conferenza islamica) per entrare nelConsiglio di Sicurezza, il crescere del gradimento sociale di undittatore nazista che impicca a casa omosessuali e adultere: lovogliono nei salotti, lo vellica Larry King nel suo Show, i programmitv se lo contendono. [...]

Mission impossible per la Livni: evitare il voto in Israele

venerdì 19 settembre 2008 Il Giornale 2 commenti
Il Giornale, 19 settembre 2008

Hamas ha fatto un commento davvero speciale alla designazione di Tzipi Livni: per noi sono tutti uguali, però lei è peggio perché è una donna, quindi vorrà strafare. In realtà Tzipi Livni ha un carattere guardingo e riflessivo. E poiché, nonostante gli exit poll gonfiate della nottata, ha avuto soltanto un punto percentuale in più, cioè 431 voti, del suo avversario Shaul Mofaz, sta di certo soppesando il futuro con occhio realistico, e lo vede non facile.
Livni ha un “plus” fantastico: marcia sulle orme sensibili della storia dietro Golda Meyer, primo presidente donna nel 1969, e si unisce, alta, bionda, colta, cinquantenne, al bel treno della storia su cui viaggiano Angela Merkel, Condi Rice, Sarah Palin, Hillary Clinton. Ma in fondo sa che il mondo guarderà a lei con grande aspettativa e si farà una domanda: riuscirà a mandare avanti il rapporto col mondo arabo sulla strada della pace? Come ministro degli Esteri è stata al fianco di Olmert negli incontri con Abu Mazen e nei colloqui (indiretti) con i siriani, e per questo, in tempo di assedio integralista islamico a Israele, è divisa fra l’opinione pubblica interna che vuole vedere la propria sicurezza affidata a mani decise, e il mondo degli “state department” sempre concilianti. [...]

Sarkozy a Damasco fa flop: da Assad soltanto promesse

sabato 6 settembre 2008 Il Giornale 3 commenti
Il Giornale, 6 settembre 2008

Dobbiamo abituarci all’idea che la storia si sta svolgendo su un doppio palcoscenico. Su uno, in questo caso quello di Damasco, si sono svolti episodi incoraggianti, scene di speranza, forse esorcismi rispetto a ciò che sta accadendo sull’altro palcoscenico. Il secondo teatro produce senza sosta scene di guerra, con i medesimi protagonisti. Cosa abbiamo visto a Damasco? Quattro Paesi leader che si incontrano per promuovere Bashar Assad e riabilitarlo: la Francia, che oggi guida la Comunità europea, la Siria stessa, che presiede il Summit arabo, il Qatar, attuale presidente del Consiglio di cooperazione del golfo, e la Turchia, il cui governo tenta di giocare oggi un complesso ruolo di mallevadore fra Islam e occidente.
Sarkozy in termini immediati si aspetta la prosecuzione dei colloqui, cui Assad e lo stesso Sarkozy hanno fatto continuo riferimento, fra Siria e Israele, e la quiete in Libano. Peccato che questi colloqui siano stati sospesi con varie scuse al loro quinto round proprio nelle ore in cui Sarkozy era a Damasco, e che comunque si siano svolti mettendo Israele nel ruolo consueto per la Siria, dell’intoccabile: i siriani, decisissimi a ottenere in anticipo sui colloqui diretti una garanzia che la restituzione del Golan è l’oggetto principe, non hanno mai voluto rischiare di sfiorare i loro interlocutori, lasciando nel mistero il contraccambio eventuale. La Siria seguita ad apparire un interlocutore molto abile nell’ottenere senza concedere contraccambi: alla base paradossalmente ciò che le consegna la chiave di questo ruolo privilegiato è la sua disinvoltura nel cavalcare l’amicizia iraniana e la paura che essa suscita, il rapporto largo e antico con i terroristi, e la possibilità quindi di ridurne la fornitura di armi e le possibilità organizzative. [...]
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