Fiamma Nirenstein Blog

Il Giornale

Leggi razziali? Il Pd non infanghi la Shoah

venerdì 8 maggio 2009 Il Giornale 21 commenti

Il Giornale, 8 maggio 2009

È umiliante che Franceschini abbia usato l’argomento delle leggi razziali riferendosi al ddl sulla sicurezza sul quale verrà richiesta la fiducia martedì mattina. Non fa piacere che il leader dell’opposizione in Italia diseduchi i giovani italiani circa la storia del proprio Paese, usandone titoli senza contenuto come specchi per le allodole. Il segretario del Pd ha reso una fra le nostre peggiori tragedie moneta corrente di una disputa politica che oltretutto è impropria e superata, perché sia sulla questione detta dei “medici spia” sia su quella dei “presidi spia” il governo ha promesso di correggere il provvedimento. Impossibile non essersene accorti. Quindi, tanto più l’osservazione di Franceschini è pretestuosa. Scrivo di questo argomento avendo firmato la cosiddetta "lettera dei 101", che semmai ha dimostrato che obiezioni sollevate con chiarezza possono essere ascoltate e possono cambiare le cose. Non così i gorghi concettuali di Franceschini.
Le leggi razziali dell’autunno 1938 furono in Italia la premessa necessaria alla delegittimazione degli ebrei in quanto cittadini italiani, e quindi li resero profughi pronti per le fauci della Shoah. I fascisti espulsero alcuni membri della mia famiglia dalla scuola, altri dal lavoro, mio nonno fu cacciato dalla banca in cui lavorava in posizione onorata. Fu vietato il matrimonio fra italiani ed ebrei; proibito avere alle proprie dipendenze domestici; vietato alle pubbliche amministrazioni, alle banche, alle assicurazioni e altre società private di avere dipendenti ebrei; furono chiuse la professione di giornalista e di notaio e altre libere professioni, ai ragazzi l’iscrizione alle scuole pubbliche, alle scuole fu proibito adottare libri di testo di autori ebrei. [...]

«Io, colono di Cisgiordania, cederei casa per una pace vera»

martedì 5 maggio 2009 Il Giornale 5 commenti

Il Giornale, 5 maggio 2009

È senz’altro molto assertivo, ma statelo a sentire, perché sa molto bene quel che si dice, e il messaggio che ha portato all’Italia è fiduciosamente innovativo, ma non alieno dalla pace. Solo che lui vuole farla con la certezza che il nemico non userà il processo di pace o lo sgombero di terra come un’arma. Lo dice chiaro, a costo di apparire un falco, come lo descrivono quasi tutti.
«Io, che sono un colono di un piccolo insediamento del West Bank...»: il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, detto “Yvette”, ama mostrare sovente questa sua inusitata carta d’identità, gli piace far balenare all’interlocutore italiano (che sovente fa una faccia di circostanza alla notizia) la sua casa di Nokdim, con la moglie e i tre figli che lo aspettano nel cuore della Giudea ogni notte. Bene, sembra dire il ministro mentre spiega che lui e i palestinesi sono vicini di casa e che anzi il suo villaggio è la migliore risorsa economica per loro: un colono ha due gambe e due braccia, vedete, può anche essere ministro, può dire cose ragionevoli e innovative. Per esempio Lieberman dice che benché stia a Nokdim dall’88 lo lascerebbe subito ai palestinesi se questo potesse aiutare la pace. Ma, ha spiegato varie volte, del mio insediamento, dei «territori» come del resto del West Bank, non se ne farebbero niente, come non se ne sono fatti niente di Gaza, se non per le rampe di lancio. E poi i Territori sono stati offerti tante volte, i palestinesi hanno rifiutato ogni accordo. E inoltre, insiste, sono in guerra con noi da ben prima che esistessero i «Territori». [...]

Israele? Per i suoi nemici non è uno Stato ebraico

mercoledì 29 aprile 2009 Il Giornale 9 commenti

Il Giornale, 29 aprile 2009

Oggi compie 61 anni, ancora non lo vogliono chiamare per nome e dicono che non aveva diritto a nascere. Ha perso 22.570 soldati in guerra, 3.000 cittadini in attentati terroristici, ma la popolazione non ha abbandonato le case di pietra, i vicoli, i ristoranti di Gerusalemme, né sono rimasti spopolati spiagge e pub di Tel Aviv; nessuno ha smesso di frequentare le scuole o le università; l’high-tech è settore di eccellenza, la musica della Filarmonica fra le più apprezzate del mondo, la medicina, la fisica, l’agricoltura producono premi Nobel, l’Alta Corte è un esempio di correttezza. Eppure, secondo alcuni, a 61 anni lo Stato ebraico è lì per caso, paracadutato in un’area con cui non ha niente a che fare, solo per realizzare un vasto disegno colonialista e razzista, oppure, secondo altri, è stato edificato per riparare ai sensi di colpa degli Europei dopo la Shoah, che per altro non è esistita. Insomma, deve sparire: lo dicono Ahmadinejad, Hamas, gli Hezbollah, e altri lo pensano. Ad Abu Mazen, Netanyahu propone di ricominciare a discutere su «due Stati per due popoli» purché il rais riconosca Israele come Stato Ebraico, ma egli ha ripetuto anche lunedì che non accetta, e il motivo è evidente: non vuole permettere che ciò diventi un ostacolo per il «diritto al ritorno» o per l’idea di Israele come «Stato dei suoi cittadini». Arafat a Camp David rifiutò la Spianata delle Moschee pur di non riconoscere quella che è un’affermata verità storica registrata in tanti testi musulmani, ovvero che sotto la Spianata giacciono le memorie del Grande Tempio ebraico di Erode distrutto nel 70 d.c. dai Romani. Flavio Giuseppe descrisse da cronista le fiamme e la rovina. [...]


Israel? For its enemies is not the Jewish State

Il Giornale, April 29, 2009


Today Israel celebrates 61 years, and still there are those who don't want to call it by name and say that it had no right to be born. It has lost 22,570 soldiers in war, 3,000 citizens in terrorist attacks, but the population has not abandoned the stone houses, alleys and restaurants of Jerusalem, nor have beaches and bars of Tel Aviv remained deserted; no one has stopped attending schools or universities; its high tech sector is among the first, its Philharmonic Orchestra is among the most esteemed in the world, its medicine, physics and agriculture produce Nobel Prizes, its Supreme Court is an example of propriety. And yet at 61, the Jewish State would be there by accident, it was parachuted into an area that it has nothing to do with, it is in the Middle East only in order to fulfill a vast colonialist and racist design, or else it was built to make up for the European's guilt after the Shoah - which however has never happened. In short, it must disappear: Mahmoud Ahmadinejad, Hamas and Hezbollah say it openly while others think it. To Abu Mazen, Benjamin Netanyahu proposes to start to talk again of “two states for two peoples,” provided that the Rais recognizes Israel as a Jewish State, but he repeated again last Sunday that he does not accept it, and the reason is clear: he does not want to allow that to become an obstacle for the “right of return” or for the idea of Israel as a “State of its citizens.” At Camp David, Yasser Arafat refused the Temple Mount in order not to recognize what is a stated historical truth registered in many Muslim texts, or rather that under it lie the memories of the Second Great Jewish Temple of Herod, destroyed in 70 CE by the Romans. Josephus Flavius described like a reporter the flames and ruin.. [...]

Il coraggio dell’Europa dura 12 ore

mercoledì 22 aprile 2009 Il Giornale 4 commenti

Il Giornale, 22 aprile 2009

Avevano un’aria dignitosa e unita i rappresentanti dell’Ue, quando martedì hanno lasciato, a Ginevra, la sala in cui Ahmadinejad delirava sugli ebrei e sullo Stato Ebraico. È stato bello, ed è subito finito. Nel corridoio subito dietro la porta la piccola assemblea ha consumato il suo momento di chiarezza morale aspettando semplicemente i 20 minuti del discorso del presidente iraniano. Poi, chi prima chi dopo, tutti gli europei sono rientrati fuorché la Repubblica Ceca e i veterani del no: noi italiani, la Polonia, la Germania, l’Olanda. La giornata di ieri ha visto l’Iran, insieme all’Albania e al Belgio, presiedere come niente fosse il comitato per il documento finale. E il documento finale di nuovo indelebilmente inquinato dalla riconferma delle conclusioni di Durban 1 che nominava solo i palestinesi come vittime del razzismo secondo loro derivante dal sionismo.
Nel testo c’è anche una parte dedicata, senza nominare Israele, alle conseguenze razziste dell’occupazione. E di fronte agli occhi dell’Europa ritornata alle sedie, si è svolto il solito teatro (con cui la lotta al razzismo c’entra poco, e l’aggressione a Israele e all’Occidente parecchio) messo in scena dai Paesi chiamati a parlare: Siria, Qatar, Palestinesi, Pakistan, Sudan, Yemen. Conserviamo ancora oggi, dal 2001, gli appunti fotocopiati del discorso di Arafat che stabiliva come Israele fosse nato dall’imperialismo razzista giusto per opprimere e sfruttare i palestinesi. Questa era allora la linea, ed essa si ripresenta peggiorata dalle promesse di sterminio dell’Iran. È fonte di tristezza che Bernard Kouchner (nella foto) abbia parlato di «vittoria», della speranza di una conclusione che porti finalmente a un bagno di diritti umani condivisi, di lotta ai genocidi, di difesa delle donne. Con chi, con Ahmadinejad? L’intera scena della grande uscita europea seguita dal grande rientro è triste perché compulsiva, inevitabile, incapace di mettere a nudo i problemi della struttura madre della moralità internazionale, l’Onu. [...]

Ahmadinejad, un uomo belva. L’ha capito anche la Ue

martedì 21 aprile 2009 Il Giornale 26 commenti

Il Giornale, 21 aprile 2009

E adesso, per favore, non rientrate in quella sala, rappresentanti della Francia, della Norvegia, dell’Ungheria. Restate fuori dalla trappola antisemita di Durban 2, lasciate per sempre la marea nera delle parole di Ahmadinejad, che in apertura ha di nuovo predicato odio e distruzione. E perdonate, ma l’Italia non può che dirvi oggi: ve l’avevamo detto. E può anche aggiungere: non era facile superare il tabù dell’Onu, la vacca sacra che quando chiama a raccolta esige sempre una risposta conformista, uno scatto sull’attenti in nome della retorica universalista; e qui, l’Onu seguitava a suonare, per chiamare tutti a raccolta, il campanello della battaglia contro il razzismo, una battaglia così importante per tutti noi.
Ma noi chi? Era chiaro che per le commissioni che preparavano il documento introduttivo, per i violatori seriali di diritti umani Iran e Libia, il razzismo era una pura scusa, come lo era stato ai tempi di Durban 1. Noi che ci crediamo, che viviamo nelle democrazie, che davvero pensiamo che il diritto e l’integrità morale debbano illuminare la strada, volevamo una conferenza contro il razzismo, condivisa anche dal resto del mondo, ma esso non ci crede. Quel mondo è infatti dominato da dittature e violenza e pratica il razzismo, sia etnico che religioso. L’Italia, però ha avuto coraggio. A Ginevra, che dal tempo del primo diritto internazionale umanitario del 1864 ha lavorato duro a tante convenzioni per aiutare a far luce nel mondo, si stava preparando una conferenza di confusione e di odio, contro Israele e anche contro gli Usa nonostante Obama, come si è visto ieri nel discorso di Ahmadinejad. La conferenza è in realtà, sia chiaro, una fanfara di guerra in favore del terrorismo, quello dell’era nuova di Ahmadinejad. L’Italia ha letto la storia e il presente, e ha compreso che andare a Ginevra era un grosso rischio morale e politico. [...]

Durban 2, lunedì il via al festival dell’antisemitismo

venerdì 17 aprile 2009 Il Giornale 18 commenti

Il Giornale, 17 aprile 2009

Sarà comunque strano che, lunedì prossimo, giorno della Shoah in tutto il mondo e data in cui avrà inizio a Ginevra la famosa conferenza delle Nazioni Unite detta «Durban 2» contro il razzismo, il podio venga offerto a un razzista negazionista che ha più volte dichiarato di voler distruggere Israele come Mahmoud Ahmadinejad: il premier iraniano, alla ricerca di un palcoscenico adatto a lui, ha infatti annunciato la sua partecipazione alla conferenza. Nonostante molte polemiche e cambiamenti della piattaforma, essa rischia dunque ancora di più di essere il doppione di Durban 1, e comunque una sua versione ancora più pericolosa, dato che l’Iran finanzia gran parte del terrorismo mondiale (compresi gli Hezbollah e Hamas) e prepara le sue postazioni nucleari. La Germania, che capisce cosa potrebbe accadere, si prepara in queste ore a seguire il piccolo coscienzioso corteo di chi a Ginevra non intende farsi vedere. Nel 2001, si riunirono in Sudafrica centinaia di delegazioni e migliaia di Ngo che trasformarono una conferenza contro il razzismo in una conferenza razzista contro Israele e contro gli Usa. Si sprecarono le marce sotto gli striscioni inneggianti a Bin Laden, le grida di «morte all’America» e le accuse di apartheid a Israele. Durban 2 può diventare la replica in versione attivamente antisemita e guerrafondaia contro Israele dell’evento che precedette di pochi giorni l’attacco alle Twin Towers. A cominciare dall’evento previsto per il fine settimana: una riunione di organizzazioni non governative che porta il nome «Conferenza di esame (review) di Israele», completa di un rally antisraeliano il 18 aprile. [...]

La delusione da Obama spinge a cercare nuove alleanze

domenica 12 aprile 2009 Il Giornale 14 commenti

Il Giornale, 12 aprile 2009

È la nostra prima Pasqua nel mondo post americano, e da Gerusalemme si vede molto bene. Mentre tutti i media si entusiasmano a un punto tale dell’impostazione pacifista di Obama da averlo gratificato di un applauso alla conferenza stampa di Londra, il mondo intero cerca di affrontare una realtà percorsa, per motivi ideologici o di interesse, da invincibili correnti di ostilità in cui tuttavia l’America sembra posare lo scettro. Si conquistano postazioni, il mondo cambia alleanze e molti cercano di mettere il cappello sulla sedia adesso che l'atmosfera prescritta è ottimista. È dunque uno strano tempo di brutalità e minuetti, un ponte sospeso e dondolante. Un esempio mediorentale: ieri Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah, dopo che cinquanta uomini ritenuti suoi sono stati accusati dai servizi segreti di Mubarak di preparare attentati sul suolo egiziano e passaggio d’armi iraniane verso Gaza, ha ammesso, persino attaccando con foga Mubarak perché non aiuta “la resistenza” di Hamas, che Sami Shehab, uno degli arrestati è un leader Hezbollah in azione sul territorio egiziano. Se ne è vantato. Ovvero: il Cairo cerca di fermare la sovversione iraniana sulla sua terra e nella Striscia di Gaza e Hezbollah gonfia il petto e afferma di essere fiero di diffondere l’egemonia sciita iraniana con il terrorismo.
È uno scontro di esplicita violenza che mostra senza veli la faglia sciita-sunnita. Tutto ciò mentre gli inglesi, certo consigliati dagli Usa, cercano pubblicamente un colloquio con Nasrallah, che pone condizioni. [...]

Con Barak e Netanyahu Israele è in buone mani

venerdì 27 marzo 2009 Il Giornale 6 commenti

Il Giornale, 27 marzo 2009

Sull’ala di un aereo della Sabena alcune figure in tuta bianca si schiacciano contro la parete del velivolo per evitare di essere visti dai finestrini dai terroristi palestinesi che lo hanno sequestrato con tutto il carico di passeggeri. È una foto in bianco e nero del 1972. In un attimo gli uomini appostati sull’ala con le armi in pugno, balzeranno all’interno e libereranno gli ostaggi. Fra loro si identificano Ehud Barak, comandante dell’unità Sayeret Matchal, e Bibi Netanyahu, uno dei suoi uomini. Una coppia di eccellenza, di idee completamente diverse, intellettuali e guerrieri, l’uno bravo economista, l’altro stratega eccezionale, che quali che siano le critiche nei loro riguardi, ogni Paese vorrebbe avere nella sua classe dirigente.
Adesso la squadra la guida Netanyahu, ed è quella del governo. Ma Barak è ancora insieme a lui, nel ruolo di ministro della Difesa, con l’intenzione di difendere Israele. Proponiamo l’immagine della Sabena non certo per sollevare inutili emozioni, ma per spiegare quello che sta succedendo oggi in Israele evocandone la storia e cercando così di evitare che si strologhi su destra e sinistra in maniera tutta europea e disadatta a quel Paese. [...]

L'Onu "dimentica" i crimini palestinesi

mercoledì 25 marzo 2009 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 25 marzo 2009

Mentre alcuni soldati israeliani dichiaravano i loro compagni colpevoli di crimini di guerra compiuti a Gaza sullo sfondo di un potente coro di accuse che occupava l’etere e la carta stampata, l’Onu arrivava puntualissimo all’appuntamento. Il rapporto della commissione incaricata del rapporto su Gaza ha dedicato a quel mostro dello Stato ebraico il lavoro presentato dalla signora Radika Coomaraswamy. Essa, accusando Israele di crudeltà contro i civili, fra l’altro racconta che un bambino ha testimoniato di essere stato usato come scudo umano da alcuni soldati: certo questo è molto brutto, anche se l’opinione ci pubblica è abituata, e adesso Israele aprirà un’inchiesta con conseguenti incriminazioni e punizioni. E questo è giusto.
Solo, chi si domanda, invece, come la mettiamo con le migliaia di bambini di Gaza che Hamas ha usato come scudi umani? Ecco come ne parlano gli stessi genitori di Gaza secondo un reportage di Lorenzo Cremonesi: «"Andatevene, andatevene via di qui" dicevano agli uomini di Hamas... "Volete veder morire sotto le bombe i nostri bambini? Portate via le vostre armi e i vostri missili…” E poi: (a sparare fra gli uomini di Hamas) “Erano spesso ragazzini di 16 e 17 anni, armati di mitra… Volevano che sparassero sulle nostre case per accusarli di crimini di guerr"». Qui si va oltre addirittura l’uso dello scudo umano per passare a quello del civile sacrificato tout court. I camici dei medici e degli infermieri venivano usati dai terroristi di Hamas che si fingevano civili, e gli ospedali, difesi da ogni convenzione che riguarda i civili, venivano usati per nasconere i capi di Hamas e per torturare i militanti rivali. E soprattutto: lo scopo di Hamas era risucire a tirar fuori un lanciamissili per sparare non all’esercito, cui ha sparato pochissimo, ma alla gente di Sderot. [...]

La nuova strategia Usa umilia i Paesi arabi moderati

domenica 22 marzo 2009 Il Giornale 15 commenti

Il Giornale, 22 marzo 2009

È stato molto interessante osservare il linguaggio corporeo del presidente Obama mentre mandava il suo messaggio di pace all’Iran e quello di Alì Khamenei mentre gli rispondeva. Il primo fervoroso, intento, con le mani e con gli occhi, a mostrare la maggiore simpatia possibile; il secondo ieratico, alieno dalle forme, occupato solo dal suo scopo divino. E lo ha snocciolato calmo e lento, spiegando in sostanza che gli Usa devono mostrare nei fatti, e non con le parole, rispetto.
Ciò vuol dire che Obama, per essere amico dell’Iran, deve smettere di ostacolare la costruzione della bomba atomica, ormai allo stadio ultimo dell’arricchimento o al primo di assemblamento, a seconda di fonti americane o israeliane.
Comunque ormai basta poco tempo perché tutto il mondo sia sotto la minaccia atomica degli ayatollah. Essere amico dell’Iran, dice inoltre in sostanza Khamenei, significa abbandonare l’insopportabile abitudine di difendere l’esistenza di Israele e lasciare che si compia sul popolo ebraico la soluzione finale più volte annunciata da Ahmadinejad.
Vuole anche dire abbandonare, come del resto si legge già nel discorso di Obama, ogni distinzione tra il governo teocratico e autoritario, che impicca gli omosessuali e rinchiude i dissidenti, e il nobile popolo iraniano che ha dato molte volte segno di volersi ribellare. [...]

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