Il Giornale
Israele, colpo di scena: salvato il soldato Shalit L'annuncio di Netanyahu: è libero dopo 5 anni
Ragazzo Gilad Shalit, forse ti rivedremo presto a casa, dinoccolato, pallido, chissà se ce la farai a tornare a essere quel timido secchione di buona famiglia dopo cinque anni e più, dal 25 giugno del 2006, nelle mani di Hamas, chissà in quale cunicolo di Gaza, chissà che cosa ti hanno fatto, se lo potrai mai raccontare. Ma torna, torna a casa, e ora facciamo presto, prima che qualcuno ci ripensi: così in queste ore sospira e grida tutta Israele che aspettava la conferma ieri notte della decisione del gabinetto convocato d’urgenza da Benjamin Netanyahu per la decisione della più importante fra tutte quelle prese durante la sua cadenza. [...]
Kabul scopre il rock E i talebani scappano
E vai, let's rock and roll in Kabul col concertone di sabato. Chissà dove si erano infilati i talebani, che effetto gli ha fatto nello stomaco il basso, nella testa l'urlo della chitarra elettrica, nelle gambe le percussioni. Tutti erano preoccupati, ma loro non si sono fatti vivi, evidentemente la forza cosmica del rock gli fa paura, abituati come sono solo agli scoppi delle bombe. [...]
Arabi sempre più antiamericani: attaccato l’ambasciatore in Siria
Mentre Assad si avvia alla sua vittima numero 2800, nel suo nome (proprio al grido di “Abu Hafez”, padre di Hafez, soprannome per Assad) una folla di sostenitori del dittatore ha assalito a Damasco l'ambasciatore americano Robert Ford con pietre e pomodori. Ford era andato in visita con altri diplomatici a un leader dell'opposizione. Anche la sua ambasciata era stata messa sotto assedio l'undici luglio dopo una visita di Ford nella città ribelle di Hama, quasi che attaccare gli americani sia una funzione della repressione del dittatore siriano. Assad, invece di scusarsi, ha dichiarato che «prese di posizioni recenti dell'amministrazione americana ci dimostrano che gli Stati Uniti sono coinvolti nell'incoraggiare gruppi armati a praticare la violenza contro l'esercito siriano». [...]
E ora i musulmani attaccano la croce sulla bandiera svizzera
Sta per partire una grande campagna della lobby musulmana immigrata in Svizzera che conta ormai il 5 per cento della popolazione, 400mila immigrati, per cancellare il brand storico di quel Paese, la croce sulla bandiera. Quel simbolo offende il multiculturalismo, dice Ivica Petrusic, presidente di Second@plus, una lobby di stranieri di seconda generazione. Propone una bandiera con i colori verde rosso e giallo della repubblica elvetica del 1799, e fa notare che «somiglia a quella della Bolivia e del Ghana. Rappresenterebbe una Svizzera più progressista e aperta». Boh, intanto genitori musulmani hanno ottenuto da un tribunale che i loro bambini frequentino le lezioni in «burkinis», un costume che copre tutto il corpo, e le donne cercano di andare in tutti i luoghi di lavoro col loro hijab. [...]
And now the Muslims attack the cross on the Swiss flag
Il Giornale, September 28 2011
A major campaign is about to start. It is staged by thelobby of Muslim immigrants in Switzerland, who, by now, account for 5 per cent of the Swiss population, i.e. 400,000 people. Their aim is to eliminate the historical brand of this Country, the cross on the flag. “This symbol is an offense against multiculturalism” says Ivica Petrusic, President of Second@plus, a lobby of second generation immigrants. She proposes a flag with the green, red and yellow colors of the 1799 Helvetian Republic. She insists, “this new flag would be similar to that of Bolivia and Ghana. It would represent a more progressive and open Switzerland”. Who knows. In the meantime, Muslim parents have obtained from a Court a decision to allow their children to attend swimming classes wearing «burkinis», a piece of clothing that covers the whole body. And women try to go to work wearing their hijab. [...]
Tutte le bugie di Abu Mazen, falsa colomba
Dopo gli applausi a Abu Mazen che ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu il riconoscimento dello Stato Palestinese, il Quartetto cerca di rimandare la decisione sperando nelle procedure e chiedendo alle parti di tornare al tavolo delle trattative. Ma se guardiamo al discorso del presidente palestinese si legge una «narrativa», una aggressiva fantasia, che disprezza il nemico e quindi nega la pace. [...]
Abu Mazen's bag of lies
Il Giornale, September 25, 2011
After the round of applause to Abu Mazen who asked the U.N. Security Council for the recognition of the Palestinian State, the Quartet tries to postpone the decision hoping for the procedures and asking the parties to go back to the negotiating table. But the speech delivered by the Palestinian President reveals a «narrative», an aggressive fantasy that completely denies any possibly of peace through the delegitimization of Israel itself. [...]
Abu Mazen va all'Onu, tanto rumore per nulla: solo Israele vuole trattare
Il leader palestinese attacca Gerusalemme e la accusa perfino di apartheid. Invece Netanyahu chiede un incontro per cercare davvero la pace
L’arena della corrida dell’Onu ieri ha infilzato il suo solito toro, Israele. La richiesta al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di stabilire unilateralmente, senza nessuna trattativa, uno Stato Palestinese è stata consegnata e annunciata con suono di trombe. Abu Mazen, il presidente palestinese, l’ha annunciato nel suo discorso dopo aver porto a Ban Ki Moon la richiesta scritta. Dall’altra parte Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, ha invece riproposto molto decisamente la strada della trattativa diretta: «Sediamo e trattiamo “dughri”» (si dice sia in arabo che in ebraico), subito, adesso, qui a New York, perché altrimenti non verrà mai la pace, un Paese piccolissimo come Israele deve trattare la sua sicurezza, non regalarla all’Onu, organizzazione - ha detto Bibi - «sempre prevenuta contro di noi». [...]
Diffamare Israele: ecco il copione in scena all’Onu.
Comincia una settimana drammatica all’Onu, l’istituzione internazionale più importante e spesso la più dannosa e confusa. Dall’Onu, poiché è nelle mani di una maggioranza automatica di stati islamici e di ex Paesi non allineati, più che soluzioni ci si possono aspettare equivoci e violazioni dei diritti umani. E così si presenta lo scontro di questa settimana: da una parte l’Autonomia Palestinese che chiede il riconoscimento unilaterale di uno Stato, cioè cancello tutto, mi disegno da solo i miei confini, risolvo io problemi bilaterali spinosissimi come i profughi e Gerusalemme, senza trattative, senza garanzie di sicurezza per Israele, senza riconoscerlo come stato del popolo ebraico, senza i precedenti dell’Onu, del quartetto, della road map; [...]
Delegitimizing Israel: the farsa of this U.N. week
Il Giornale, September 19, 2011
A dramatic week starts at the United Nations, the most important international organization and also the most damaging and confused. Since the U.N. is in the hands of an automatic majority of Islamic States and of former Non-Aligned Countries, it is always to be expected that it will create only misunderstandings and human rights violations, rather than solutions. And this is what will happen this week: on one side we have the Palestinian Authority asking for a unilateral recognition of a State. It is the incredible pretence of announcing: “I’ll cancel every previous agreement, I’ll set the boundaries, I’ll solve the extremely thorny bilateral issues such as refugees and Jerusalem, ignoring negotiations, security guarantees for Israel, all the previous decisions by the U.N. and the Quartet and with no recognition of the State of the Jewish people”. [...]
Così Erdogan s'inventa la sua primavera araba
Il Giornale, 15 settembre 2011
Il migliore amico che ha Israele in questo momento è Hamas: il gruppo terrorista palestinese è contro la dichiarazione unilaterale di uno Stato Palestinese all’ONU. Dice chiaramente che è una perdita di tempo, dato che lo scopo autentico è la distruzione dello Stato d’Israele. Dunque, meglio investire in terroristi e missili. Abu Mazen possiamo invece definirlo un nemico esitante: gli americani (in particolare Obama) sono contrari alla dichiarazione unilaterale palestinese, gli europei tentano di evitare un gesto che rifiuta la trattativa, indispensabile premessa di pace, e che sarà invece un tornado nel mondo arabo. Abu Mazen la sta facendo grossa, si sa che è confuso, ma per ora procede. [...]
Erdogan makes up his own “Arab spring”
At this moment, Israel’s best friend seems to be Hamas: the Palestinian terrorist group is against the unilateral declaration of a Palestinian State to be discussed at the UN general Assembly soon. It openly says it is a waste of time since its real aim is the destruction of the Sate of Israel. So, for Hamas it is sincerely better to invest on terrorists and missiles, and they affirm that. On the other side, Abu Mazen can be defined as a hesitant enemy: the Americans are against the unilateral declaration of the Palestinians, while the Europeans try to avoid the rejection of the principle of negotiations. They know that a unilateral declaration will not bring to any peace and will be instead a tornado in the Arab world. But even in his confusion, Abu Mazen is going on straight fro a victory at the UN. [...]
Erdogan apre il tour dell’odio contro Israele
Piazza Tahrir, che magnifica preda per Tayyip Erdogan, e a un prezzo così basso, l’odio contro Israele: dai tempi dell’impero ottomano la Turchia non si presentava sul proscenio come potenza islamica internazionale e ora dall’Egitto parte un suo tour di saluto alle primavere arabe, Egitto, Tunisia, Libia. Erdogan, e come no, ha già annunciato che il suo discorso al Cairo sarà incentrato sulla laicità e la democrazia. Ma noi sappiamo perché lo si deduce da tutte le carte, che il sottinteso è il cemento che finora ha legato Erdogan ai suoi amici e ex amici Siria e Iran. [...]
Erdogan opens his hate tour against Israel
Il Giornale, September 13, 2011
Tahrir Square, what a wonderful prey for Tayyip Erdogan and at such low price, the hatred against Israel: Turkey has not come to the stage as an international Islamic power since the time of the Ottoman Empire and now he chooses Egypt to start his tour to salute the Arab spring, moving then to Tunisia and Libya. Erdogan has indeed already announced that his speech in Cairo will focus on secularism and democracy. But we know that this is a lie: the cement that has so far connected Erdogan to his friends and former friends Syria and Iran is the hate against Israel. [...]
Osama è stato eliminato ma la sua follia deve farci ancora paura
Al Qaida sopravvive al suo leader e si ramifica. E la nuova "primavera araba" è un pericolo a cui non siamo preparati
Non c'è chi non sappia dove si trovava quando le Twin Towers furono colpite. Io ero a Gerusalemme, appena tornata da Durban; avevo già visto, scritto sul muro, quello che sarebbe accaduto. So esattamente dove mi trovato subito prima e durante l'attacco. Al centro dell'odio. A Durban, la conferenza dell'ONU sul razzismo che avevo coperto, si era senza vergogna trasformata in una conferenza razzista contro ebrei e americani. L'odio antioccidentale era al picco: Mughabe, Fidel Castro, Arafat, applauditi a scena aperta, predicavano la nuova religione globale delle sale del Centro Congressi e dello Stadio dove erano riunite le ONG: i giovani rincorrevano quelli identificati come ebrei e americani, maledicevano l'occidente, schiavista, oppressore, imperialista. L'Occidente doveva pagare. Le marce si svolgevano sotto manifesti e striscioni che ritraevano Bin Laden, che certo anche allora non era uno sconosciuto. Al Qaida aveva già compiuto, nel '93, l'attacco del World Trade Center, poi la Somalia, quindi Ryiad, nel '96 l'attacco alle Khobar Towers che uccise 19 americani, nel '98 le ambasciate USA in Kenia e Tanzania, 224 morti, nel 2000 la nave Cole…. Israele intanto esplodeva ovunque, era la festa delle cinture suicide. [...]