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Gaza, gaffe dell’inviato Usa. Poi Witkoff rilancia la linea: "Ostaggi indietro o guerra"

martedì 11 marzo 2025 Il Giornale 0 commenti
Gaza, gaffe dell’inviato Usa. Poi Witkoff rilancia la linea:

 

I massacri della nuova Siria di al Shara pronti a infiammare tutto il Medioriente

lunedì 10 marzo 2025 Il Giornale 0 commenti
I massacri della nuova Siria di al Shara pronti a infiammare tutto il Medioriente
Il Giornale,10 mazo 2025
 
Ogni messaggio ormai è doppio e triplo, ci vuole la lente di ingrandimento.E tutti parlano di guerra. Il più semplice, ieri, è  tuttavia quello calmante di Ahmed al Shara, i cui jihadisti hanno fatto a pezzi, in scene difficili da guardare, migliaia di uomini del vecchio regime alawita di Assad: dopo tredici anni di guerra civile che hanno visto centinaia di migliaia di morti avvelenati, uccisi, torturati da parte di quel mortale regime sorretto dall’Iran e dalla Russia, adesso a colpire invece sono gli uomini del regime istituito l’8 dicembre dell'anno scorso. Hayat Tahrir al Sham si mise subito, allora, la cravatta nonostante l'evidente radice nell’Isis e in Al Qaeda. Il suo leader Ahmed al Shara si è peritato di comunicare a tutti i leader del mondo, compresi gli italiani, una disponibilità alla pace e alla ricostruzione che da molti è stata in questi mesi presa sul serio, e ne ha ricevuto infatti in cambio visite fiduciose.Ieri, dopo che le peggiori violenze, a Jableh e a Banyes e negli altri centri della Siria alawita hanno ricordato che cos'è la jihad islamica in movimento, al Shara ha fatto un discorso ormai poco rassicurante quando promette la pace e la protezione delle più diverse minoranze.
 
Ormai a Latakia e a Tartous si è stappata la bottiglia delle vendetta dopo decenni di sofferenze, e almeno mille persone sono state uccise selvaggiamente mentre 125 membri delle forze di al Shara venivano a loro volta sopraffatti. E i numeri possono essere molto più alti, persino ricordare le morti causate dal gas venefico usato da Assad sulla sua popolazione. IL punto è che lo scontro di ieri, nato con dimostrazioni alawita, segnala non una conclusione ma un possibile inizio di un’era atroce,in cui anche forze internazionali molto diverse sono implicate. La Siria, oltre a essere frazionata in una quantità di gruppi religiosi e etnici diversi, in poteri tribali e familiari fortissimi, oltre ad avere al suo interno anche le grandi sezioni drusa e curda, minoranze così specifiche da essersi in buonaparte ormai dichiarate sotto l’ala di Israele (ieri Israel Katz, ministro degli esteri, ha presentato una legge speciale per consentire ai drusi siriani speciali permessi di lavoro dentro Israele) è un’autostrada di interessi internazionali,un nodo vitale. Vi si svolge tutto il passaggio d’armi che l’Iran ha spedito a Hamas e agli Hezbollah e che tuttora può servire, se rivitalizzato con l'aiuto dei ribelli alawiti, a minacciare il Medio Oriente. L’Iran ha probabilmente agito sostenendo gli Alawiti in associazione con la Russia: la risposta da parte di Khamenei a Trump in cui il presidente americano annuncia la sua volontà di chiudere in fretta la vicenda del nucleareiraniano, avviando un processo di pace, è stata aggressivamente negativa.L’Iran, si può dedurre, forte dell’uranio arricchito al 60 per cento nell'era Biden, cerca di rimettersi in pista muovendo le carte che gli sono rimaste in Siria. Può contare anche sul  Qatar, suo grande amico nella profonda e mortale antipatia verso Israele, che ha chiesto di investire l’IAEA della questione del nucleare Israeliano, mai sollevata prima, mentre ha lanciato una commovente denuncia ecologica sui guai dell’ambiente che comporterebbe un eventuale distruzione del nucleare da parte di Israele. Trump con la sua lettera a Khamenei chiedeva un dialogo, ma poi, a voce, ha anche detto che il tempo delle scelte è ormai arrivato.Doppio messaggio, mentre si levava in cielo un drill in cui bombardieri americani e israeliani facevano insieme piroette celesti. Intanto, guarda caso, si annunciava un drill di Iran, Russia, e Cina. Lo ha detto Teheran: si svolgerà nell’Oceano indiano con navi da guerra, insieme anche a osservatori del Qatar, dell’Iraq,del Pakistan.. insomma di parte degli amici antioccidentali.
 
Nel frattempo Erdogan ha più volte dimostrato il suo deciso interesse per la Siria sotto il nuovo regime sunnita: al Shara che l’ha incontrato e ringraziato più volte è perfettamente disegnato sui suoi scopi, quelli della Fratellanza Musulmana, disegnare un mondo in cui il sultanato turco abbia di nuovo il ruolo che si merita.Grandi forze si possono muovere di nuovo, mentre Israele su cui la Siria si affaccia con le sue alture, stavolta non ha nessuna intenzione di fare la parte della bella statuina in attesa della guerra. Per ora ha occupato, da dicembre, una zona di sicurezza che protegga il confine, e ha distrutto gran parte dell'esercito siriano che potrebbe essere usato in un eventuale conflitto, da ovunque venga, contro lo Stato Ebraico. Il ruolo di esca dopo il 7 di ottobre non gli si addice più.      

Il messaggio ad Hamas sul rilascio degli ostaggi. E la lettera a Khamenei

sabato 8 marzo 2025 Il Giornale 0 commenti
Il messaggio ad Hamas sul rilascio degli ostaggi. E la lettera a Khamenei
Il Giornale, 08 marzo 2025
 
A chi non è mai capitato che due opposte ragioni si scontrino, solide e incontrovertibili, e le soluzioni richiedano prezzi quasi inaffrontabili? In questo momento Israele si trova in questa situazione. Potrebbe agire militarmente col sostegno americano che Trump offre, ma i rapiti potrebbero più facilmente morire se Netanyahu deciderà per lo scontro. E tuttavia, se non lo fa, Hamas consolida la sua presenza e la sua minaccia terrorista. Trump sostiene Israele a suo modo in un Medio Oriente in pieno terremoto, Israele deve decidere fra l’accordo per rapiti e una nuova guerra con Gaza. Segnala la sua determinazione con il taglio degli aiuti umanitari e mentre le famiglie dei rapiti vellicano Trump per ottenerne l’aiuto, assediano Netanyahu quando prende in considerazione il suo consiglio e il suo appoggio. La vita dei rapiti è in gioco. Mentre Trump ripete che è Israele che deve decidere, i suoi inviati tessono due tele diverse: Steve Witkoff annuncia che Hamas deve seguitare a cedere i rapiti con una formula che arrivi fino alla restituzione completa. In gioco anche un ragazzo americano Edan Alexander, e quattro corpi di suoi compatrioti. Trump ripete «ne abbiamo abbastanza del comportamento di Hamas» e Witkoff fa eco dicendo che se Hamas non si arrende è prevedibile un’azione coordinata delle forze militari americane e israeliane. Si sa da informazioni riservate che Adam Boher, il responsabile americano per gli ostaggi, ha colloqui con Hamas, con cui gli Usa non parlano da dieci anni.
 
Che cosa vuol dire? Israele manda segnali di perplessità, mentre il nuovo capo di Stato maggiore Eyal Zamir sottolinea che l’esercito costruisce una nuova grande forza e che «vittoria» è il concetto su cui si concentra. Quando Trump propone un accordo, questo può facilmente sottintendere una minaccia: può darsi che abbia tolto fiducia ai mallevadori qatarini e egiziani, e faccia da sé per costringere Hamas a consegnare il mal tolto. Ron Dermer, il ministro degli Affari strategici tace, il governo segnala soddisfazione per il sostegno di Trump e per la speranza di un nuovo Medioriente ripulito dal terrore. E di nuovo, un doppio messaggio: un’esercitazione di caccia israeliani e americani insieme ha solcato i cieli, mentre Trump manda una lettera a Khamenei dove si parla di accordo sul nucleare. 
 
Questo, mentre intanto si diffondono notizie su nuove sanzioni. In parallelo, la notizia che ormai l’Iran è sulla soglia della confezione di sei bombe. Se Trump decide che non ci sono altre strade per arrivare a sistemare la questione mediorientale, anche le vacche sacre possono essere finalmente scansate: ieri l’amministrazione americana ha comunicato che taglierà contratti e sovvenzioni per un valore di 400 milioni di dollari alla Columbia University accusando l'istituzione di antisemitismo, per la mancata tutela degli studenti ebrei durante le proteste a favore di Gaza. Ma con Biden in fondo era paradossalmente  più facile decidere: bloccava Israele con l’embargo, poneva blocchi fatali a entrare a Rafah e a occupare lo Tzir Filadelfi. Israele ha combattuto sul campo per gli ostaggi finché non gli è stato impedito. Adesso da Trump provengono due messaggi diversi e forti, così che Netanyahu deve fare scelte più difficili. Trump sin dal messaggio del 2 dicembre ha indicato la linea dura: «Lasciate gli ostaggi subito o si scatenerà l’inferno». Poi, via via che ha spostato la decisione su Bibi, il puzzle si è fatto sempre più delicato, di cristallo. Il cristallo della vita dei rapiti, il più sottile. 

Alla ricerca di se stesso, Israele rivive l' incubo

giovedì 6 marzo 2025 Il Giornale 0 commenti
Alla ricerca di se stesso, Israele rivive l' incubo

Il Giornale, 06 marzo 2025

Eyal Zamir ha la forza calma dei tankisti, non quella funambolica dei piloti, o quella smart dei paracadutisti. Ma sono tempi molto diversi. L’esercito deve riconquistare il suo ruolo essenziale, e questo lui è: essenziale. In questi giorni, come mai nella storia di Israele, nemmeno al tempo della guerra del 1973, Israele cerca sé stessa; si è riaperta la ferita del 7 di ottobre, sono stati mostrati al pubblico i risultati paurosi e sconcertanti delle inchieste che l’IDF e lo Shabbach, il servizio segreto interno, hanno condotto autonomamente.

Ne esce un quadro devastante del fallimento di uno dei migliori apparati di sicurezza del mondo. Due sono le voragini aperte: quella dell’incomprensione dell’evento, di cui pure si conoscevano le tessere del puzzle senza però riuscire a comporre il disegno; durante le giornate e la nottata precedente tutto era chiaro e dispiegato, e non si è capito. E poi, la voragine del ritardo di ore e ore che ha lasciato i disperati sopravvissuti nei rifugi a chiedere un aiuto che non è arrivato. A Kfar Aza, dove l’ultimo terrorista è stato eliminato il 10 ottobre. Così sono stati uccisi 64 dei suoi abitanti e rapiti 19 nella terza delle ondate diverse di Hamas preparate con precisione e dovizia di indicazioni strategiche, mentre l’aiuto richiesto alle 6,29 è comparso in minimi termini alle 13, 15; 33 erano stati uccisi nella prima ora; alle 8 c’erano nel kibbutz 250 terroristi; i rapimenti sono avvenuti alle 10, e ancora non c’era nessuno a impedirli. Alle 10,30 un piccolo gruppo di soldati si è trovato uno contro cinque terroristi, le case dei ragazzi sono state distrutte e disseminate di cadaveri. Le forze in campo erano una ignara dell’altra, totalmente scoordinate. La presa e distruzione dell’avamposto di Nahal Oz sul confine,162 soldati di cui 90 senza armi e solo 81 allenati al combattimento, è stata compiuta in tre fasi, alle 6,30 alle 9 e alle 10.

In base a informazioni precise, Hamas sapeva dove tagliare il recinto dove erano le telecamere, quando passava la ronda, dove dormivano i comandanti, dove erano le ragazze, rapite. 53 sono stati uccisi subito. Mentre eroi solitari arrivavano da ogni parte di Israele in aiuto, l’esercito non c’era ancora se non in gruppi autorganizzati. L’aviazione ci ha messo 4 ore a decollare, le truppe, per esempio a Kfar Aza o a Be’eri, non avevano ordini per agire. La Divisione Gaza allo sbando non forniva indicazioni nemmeno quando ormai il disastro era evidente. Nessuno all’alba ha evacuato i tremila ragazzi al festival musicale, anche se dalla notte si sapeva che sarebbero stati a Reim, un’esca da divorare. I kibbutz erano attrezzati come fossero in Toscana e non attaccati a Gaza, a Kfar Aza per esempio, tutte le armi erano state volontariamente rinchiuse in un ripostiglio. Bambini, anziani, famiglie assediati nei rifugi hanno chiamato i numeri di emergenza per decine di ore. Dunque lo Shabbach e Aman, i servizi dell’esercito, non avevano informazioni? In realtà ne avevano a bizzeffe, ma le hanno snobbate per via della “conceptia”, un misto di prosopopea, pacifismo, presunzione; “Hamas non vuole la guerra, con noi non ce la può fare e lo sa, ha perduto dal 2008 al 2021”. Eppure si sapeva bene che Hamas allenava masse lungo il recinto, che le gallerie crescevano e i finanziamenti iraniani e del Qatar finivano in armi, e anche che Sinwar seguiva la politica e la spaccatura interna di Israele.

Eppure tutti i passaggi delle notizie di quel giorno dall’uno all’altro comandante ripetono che sì, c’è traffico, ma Hamas non vuole la guerra né tantomeno un’invasione territoriale. I vertici sia dello Shabbach che dell’esercito, durante la notte prima dell’invasione aveva saputo che migliaia di terroristi si stavano radunando in battaglioni ordinati e pronti all’attacco con le auto e i kalashnikov, che d’un tratto avevano acceso le SIM israeliane. Il capo di Stato maggiore Herzi Ha levi è stato avvertito alle 4,00 di notte, ma, come i suoi, ha deciso di rimandare al mattino. Persino l’ex ministro della difesa Yoav Gallant ha raccontato che sua figlia l’ha svegliato chiedendogli perché si bombardavano Tel Aviv. Netanyahu non fu svegliato. È dura. Israele cerca consolazione nei magnifici, incredibili eroi che sono corsi da ogni parte del Paese a difendere la gente aggredita, e hanno salvato il Paese. Da allora si combatte su sette fronti con successo, ma il 7 ottobre è ancora qui, il popolo ebraico affronta sempre una nuova avventura. Ancora.      

 

Hollywood certifica la deriva antisemita

martedì 4 marzo 2025 Il Giornale 1 commento
Hollywood certifica la deriva antisemita

Il Giornale, 04 marzo 2025

Il cinema resta sempre un faro. Le sue immagini, i suoi volti, e anche i suoi documentari disegnano la fantasia di milioni di persone, siglano un’epoca. E Hollywood quindi si deve vergognare, oggi, per la sua ignoranza e per le sue bugie. Il vacuo giubilo che emana dalla sua folla pronta a applaudire la più vieta delle interpretazioni che accompagnano la tragedia israeliana dal sette di ottobre, segnala che gli ebrei sono cattivi, forse suprematisti bianchi, certo i palestinesi sono le vittime. Non è successo niente. Il 7 ottobre non c’è stato. Ieri il giovanotto palestinese che proviene da vicino a Hebron, una delle zone più prolifiche di attacchi contro chi va autobus o in pizzeria, premiato con l’Oscar, ha recitato tutto il rosario proPal. Si chiama Basel Abra, con l’israeliano Yuval Abraham ha firmato il documentario “No Other Land” e chiamato sul podio, in cravattino nero, prima ha denunciato “la pulizia etnica del popolo palestinese”, mentre Abraham, israeliano si lanciava sull’ “l’atroce distruzione di Gaza” e bacchettava gli Stati Uniti (e come no, l’antiamericanismo è caro ai figli dell’America più affluente) per aver bloccato la strada a “una soluzione politica senza supremazia etnica”. Poi essendo israeliano ha mostrato di ricordarsi che gli ostaggi israeliani devono tornare e ha auspicato un futuro migliore tutti insieme. Power to the people. Ma questo film coi suoi applausi non aiuterà. È vero che ci sono state demolizioni nella zona di Masafer Yatta, la gente però non è stata sgomberata. Non ho visto il film, ma è facile sapere che quando Tzahal distrugge una casa le ragioni sono dure, difficili, e legali: dipendono in genere dalla necessità di distruggere strutture che servono da rifugio, deposito, base per il terrorismo. Le decisioni vengono sottoposte alla Corte Suprema, che ci ha messo anni, dopo un primo rifiuto, ad accettare la decisione militare, legata all’uso del terreno come zona di esercitazioni. Quella parte dell’West Bank è una zona da cui fuoriescono parecchi attacchi, ogni giorno i terroristi di Hamas e altre organizzazioni locali causano morti e feriti; oppure si riesce a prevenirli, anche smantellandone le strutture. Oppure, le costruzioni violano la legge cui sono soggetti tutti i cittadini: non si può costruire dove è proibito.

Masafer Yatta esemplifica un’acquisizione illegale di terra da parte palestinese nella zona C che, al contrario delle aree A e B, è sotto il controllo civile e militare israeliano secondo gli accordi di Oslo Sono circa 200mila i palestinesi nell’area C; nel 1999 i palestinesi si presero a Masafer Yatta un altro pezzo di terra, e violarono gli accordi di Oslo e i permessi di costruzione. Con baracche, con grotte che nella tradizione sostituiscono le case, con piccole costruzioni di mattoni e di latta piazzate in modo da bloccare le abitazioni israeliane si sono costruite apposta ostacoli per affermare che quella è terra palestinese. L’intenzione provocatoria è evidente. Da notare che nell’area A, sotto il controllo palestinese, Israele proibisce ai suoi persino di entrare, tantomeno di costruire. E una memoria basilare: tutti i territori assegnati a Israele dalla Lega delle Nazioni, Giudea e Samaria, dette West Bank, rimasero occupati dalla Giordania dal 1948 al 1967. Israele sapeva bene che il suo diritto era a tutto il territorio, secondo gli accordi internazionali e la conclusione della guerra: mai i Palestinesi avevano avuto uno Stato. E tuttavia concesse il controllo sull’area A e in comune sull’area B, fino a un accordo di sicurezza che i palestinesi hanno rifiutato sempre. Resta l’aggressione continua, l’educazione scolastica dedicata all’omicidio degli ebrei, uno a uno, ovvero al genocidio.

Eppure l'anno scorso, con in mano l’Academy Award per il suo “La zona d'interesse” Jonathan Glazer disse che accettava il premio rifiutando che l’ebraismo e l’Olocausto fossero sequestrati dall’occupazione che aveva condotto anche al 7 ottobre.  Ovvero: Hollywood seguita a affogare nella sua miseria antisemita. Del resto, anche Leni Riefensthal era bravissima, da premio anche quando fotografava Hitler.     

Il mondo al contrario: gli ebrei italiani accusano Israele di "pulizia etnica"

giovedì 27 febbraio 2025 Il Giornale 3 commenti
Il mondo al contrario: gli ebrei italiani accusano Israele di

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Giornale, 27 febbraio 2025

È persino interessante che nel giorno in cui Israele lungo tutte le strade del Paese piange i bambini BIbas e la loro mamma Shiri una banda di ebrei ed ebree (anzi prima ebree, perché è più politicamente corretto) accusino Israele di un crimine spaventoso, che deve rovesciare il biasimo e condurre a una perversa concezione della guerra cui invece palesemente Hamas ha costretto Israele. Ieri lungo le strade, abbiamo visto gente di tutte le età, in lacrime per i bambini e per la perdita di più di duemila persone uccise fra assassinati e soldati al fronte, e per i rapiti; era gente triste e fiera delle bandiere e dei canti che definiscono il Paese che i terroristi hanno cercato e prometto di distruggere.

Un Paese democratico in lotta contro la barbarie con cui uno a uno, in seno alle famiglie o rapiti, sono stati strangolati, smembrati, bruciati, stuprati ebrei che avevano la colpa di essere tali. E cosa fa Gad Lerner e i suoi amici, con l’ospitalità di Repubblica? Mentre Israele si concentrare ieri sul suo lutto e sui suoi nemici, e anche i più decisi fautori di una tregua che riporti a casa gli ostaggi in base all’accordo, hanno ripetuto che non c’è altra strada che combattere il male, questo specifico, innegabile male, il documento inventa che sia proprio invece degli ebrei combattere per evitare una supposta “pulizia etnica”. La pulizia etnica nella storia, avviene in base a principi razzisti, o di conquista territoriale, non è mai stata una guerra di strenua difesa contro un nemico che vuole uccidere, e lo ha scritto nella sua carta, un popolo intero al grido di “yehud yehud”. L’espressione è utile perché con una giravolta doppia (cioè, gli ebrei sionisti sono nazisti e io che sono progressista sono invece il vero ebreo) ci si unisce a un movimento di successo, che nelle piazze e ai festival del cinema va forte, quello studiato per primo da Robert Wistrich e da Alvin Rosenfeld, quello dell’“inversione”.

Ovvero, il trasferimento sugli ebrei (quelli israeliani, una trascurabile minoranza senza significato!?) delle caratteristiche dei nazisti. Gli ebrei invece, sono i palestinesi. Pulizia etnica ne ha parlato l’ICC, l’ICJ, mille ONG e la signora Albanese ne hanno fatto una bandiera… è un’espressione vicina a genocidio, crimini di guerra. Nel 1975 il sionismo è stato bollato con una risoluzione dell’ONU come “razzista”: era la costruzione sovietica dell’odio di Israele come stato capitalista-imperialista-colonna dell’egemonia occidentale contro il mondo dei reietti. Alla conferenza di Durban nel 2001, mentre si disegnava il pensiero woke per cui anche gli ebrei diventavano parte del potere “suprematista Bianco”, gli ebrei di sinistra si sono trovati con Amnesty International e compagni a criminalizzare Israele.

Oggi, c’è da domandarsi come siano ancora incapaci di identificare le vittime vere, lo Stato ebraico, parte dell’Occidente democratico, e gli aggressori, parte della barbarie jihadista che impicca gli omosessuali e uccide le donne e i dissidenti. La loro idea di bene e di male non è capace di fare i conti con una realtà in cui Israele non ha aggredito, non occupava, non odia… ma non poteva condurre la guerra altro che distruggendo le armi, i lanciamissili, le gallerie, le case di cui Hamas si serviva per colpire a morte. Non c’è pulizia etnica, gli spostamenti servivano per salvare la popolazione, ma Hamas la usava come scudo umano e Israele ha combattuto a costo anche delle vite dei suoi. E la guerra è un altro tabù per la sinistra pacifista. Ma Israele difenderà la Nazione ebraica, inaccettabile a chi pensa che la Nazione crea nazionalismo, il nazionalismo, autoritarismo. Israele in realtà battendosi difende la cultura della libertà occidentale anche degli ebrei filopalestinesi. Ma il pacifismo ebraico è crollato sulla causa palestinese. Resta il vero popolo ebraico che si batte, se ne faranno una ragione.

 

Ucraina e Israele il fronte è lo stesso

mercoledì 26 febbraio 2025 Il Giornale 2 commenti
Ucraina e Israele il fronte è lo stesso

Il Giornale, 26  febbraio 2025

Israele e l’Ucraina sono sempre stati dalla stessa parte, contro l’aggressione sanguinaria che solo chi vive questa guerre dalla parte della libertà e della democrazia conosce fino in fondo. E’ una verità che tornerà a risplendere. I missili iraniani sparati da Putin contro Kiev, e a Gerusalemme dai fronti dell’odio contro Israele, raccontano tutta la storia vera: c’è un solo grande nemico, e vuole battere l’Occidente. La sconfitta dell’uno o dell’altro degli aggrediti sarebbe un danno irreparabile per il mondo. Le circostanze che hanno portato i due Paesi, talora, su campi separati fanno parte della dimensione tattica delle loro difficili rispettive guerre di sopravvivenza.

Israele ha votato col fronte trumpiano all’assemblea dell’ONU due giorni or sono, e il mondo intero ne ha fatto titoli di testa; l’Ucraina fra il 2015 e il 2025 ha votato contro Israele all’assemblea ONU 122 volte e 41 si è astenuta, mai in favore. Kyev ha votato a gennaio addirittura a favore della mozione egiziana sostenuta dalla Giordania e dall’Autorità nazionale palestinese, sulla quale persino le nazione europee si sono astenute, per il bando del nucleare dal Medio Oriente: l’ambasciatore l’ha spiegato come un gesto di politica abitudinaria. Israele, aveva votato per la condanna dell’invasione Russa nel marzo del ’22.  Sharansky che è stato per dieci anni in prigione in Russia come dissidente ebreo racconta oggi che un anno di prima di essere assassinato da Putin, Navalny gli ha scritto che si trovava nella prigionia identica a quella da lui sofferta perché voleva partire per Israele. Israele lo sa, ma finchè la Russia, con minaccia molto consistente e insieme agli Hezbollah e agli uomini di Assad, ha minacciato Gerusalemme dal confine, ha potuto fornire all’Ucraina piuttosto che armi aiuti umanitari, ospedali da campo, strumenti per la difesa. Avrebbe, si può pensare, potuto fare di più, e forse ha fatto di più senza pubblicità, ma non ne sappiamo abbastanza. 

I due Paesi hanno mantenuto le distanze, mandandosi segnali di futura collaborazione, appena possibile. Zelensky ha solidarizzato per il 7 di ottobre e ha detto che sarebbe venuto non fosse stato per il viaggio contemporaneo di Blinken. Trump adesso, nega la verità evidente dell’aggressione di Putin, la sua depravata gestione che ha perfino rapito 20mila bambini; Zelensky ha il 57 per cento dell’approvazione, è un leader sostenuto dalla sua gente, e spesso in guerra si ritardano le elezioni. Anche Netanyahu è stato ed è spesso vituperato, anche Biden lo ha fatto ignorando la sua maggioranza. Nel terzo anniversario dell’aggressione di Putin, non c’è giornale in Israele che non esalti l’eroismo degli ucraini, e non condanni i crimini di guerra russi. Israele ha un naturale atteggiamento di vicinanza con l’Ucraina. La necessità di mantenere un rapporto solido con l’amministrazione americana, l’unica che capisce e agisce in base al pericolo di vita che corre Israele, è palese, evidente ed è alla base del voto all ONU. Israele e l’Ucraina si sono talvolta reciprocamente neglette, e invece si devono abbracciare e combattere insieme: la loro è un’unica battaglia. Nel dicembre del 2002, ho ricevuto il premio Irina Alberti per il senso etico della professione insieme a Anna Politkovskaja, eroina assassinata da Putin. Insieme, lei contro Putin, fino all’ultimo, io contro il terrorismo, difendevamo la democrazia. La stessa guerra continua.        

 

Israel and Ukraine’s common fight for democracy and survival

martedì 25 febbraio 2025 English 0 commenti

La partita d'Israele: riavere i rapiti e cacciare Hamas

domenica 23 febbraio 2025 Il Giornale 1 commento
La partita d'Israele: riavere i rapiti e cacciare Hamas

Il Giornale, 23 febbraio 2025

Vento gelato a Gaza, confusione, sentimenti estremi, uno di rapiti, Omer, che mentre lo riconsegnano, costretto (ha raccontato) bacia la testa di uno dei boia che lo hanno seviziato per più di 500 giorni. Tutte le lacrime per la barbarica vicenda di Kfir, Ariel e Shiri sono rimaste sospese sulla giornata di gioia per la liberazione più larga che Israele abbia visto fino ad oggi; Hamas ha giocato troppo duro coi sentimenti di tutta Israele, ha messo alla prova l’accordo, probabilmente ha così segnato un autogol sul significato della seconda fase; intanto l’assedio terrorista si è mostrato anche nell’esplosione di tre autobus nel centro di Israele che solo per caso non ha portato a una strage. Il senso di emergenza e la furia per la tragedia del corpo di Shiri e dei piccoli, si mescola con la tenerezza agro dolce per i rapiti martoriati per 500 giorni, ritornate nelle braccia dei loro cari: il senso comune dice ormai che così non si può andare avanti, che la seconda fase impone anche una decisione. Tutti le frecce sono puntate su Netanyahu e indicano due strade diverse: chi spinge per rompere il ricatto e l’emorragia di terroristi liberati (ieri più di 600) e pensa che dopo la consegna di tutti i rapiti, che deve essere imposta subito, sia venuto il tempo in cui si devono “aprire le porte dell’Inferno”; anche Trump la pensa così.

Dall’altra parte il grande movimento che fiancheggia in Israele le famiglie dei rapiti ripropone l’apertura immediata della seconda fase dell’accordo che in cambio dei rapiti prevede la fine delle ostilità, e quindi di fatto il permanere del potere di Hamas a Gaza almeno per il momento. Il punto è tutto qui. Che cosa deve trattare la delegazione israeliana al Cairo? Che cosa i colloqui americani coi maggiori esperti mediorientali, fra cui Witkoff, plenipotenziario della trattativa, cui partecipa il ministro per gli affari strategici Ron Dermer direttamente incaricato da Netanyahu? Sicuramente si tratta di colloqui onnicomprensivi che disegnano la fine dell’assedio terrorista in Medio Oriente, compartecipazione dei paesi arabi moderati, l’eliminazione del nucleare iraniano. Gaza è solo una delle tessere del mosaico. A Gaza, peraltro, se l’amministrazione Biden aveva imposto infiniti aiuti umanitari per la Striscia e un ritegno nel combattere che ha frenato Israele con la mancanza di armi e con la chiusura di aree indispensabili, come Rafah, per dare la caccia ai terroristi e ritrovare i rapiti. Trump dopo la vicenda Bibas ha ripetuto per la terza volta che Netanyahu può decidere se vuole di obliterare Hamas. Ma Hamas ha in mano i rapiti, 63 di cui forse la metà vivi, e Israele non li abbandonerà.

Dunque, Israele in una difficile situazione ma con il senso di un forte sostegno. Questo potrebbe sfociare nella ferma richiesta a Hamas di consegnare tutti i rapiti e poi sparire da Gaza, e forse anche dall’West Bank, forse con un salvacondotto per il Qatar o l’Egitto, o l’Algeria... Fosse vera questa ipotesi, seguirebbe il piano Trump di ricostruzione in cui gli USA come ha detto Trump, sarebbero protagonisti. IL Medio Oriente è pronto per nuovi Patti di Abramo, pulito, gli Hezbollah sono stati in parte neutralizzati, la Siria non è più l’autostrada per gli armamenti iraniani, gli Houty tacciono. L’Iran, forse, indebolita, potrebbe essere in questi giorni l’oggetto dei colloqui più importanti per la conclusione del conflitto anche con Hamas. Certamente, un Medio Oriente finalmente lontano dall’incubo di un Iran nucleare potrebbe essere più facilmente trasformato in una regione del mondo da cui anche Hamas si può espellere, e ricostruire finalmente Gaza.

 

 

"Sterminate i bimbi". Sinwar come Himmler

venerdì 21 febbraio 2025 Il Giornale 3 commenti

Il Giornale, 21 febbraio 2025

Il 6 ottobre 1943 Heinrich Himmler, e il 6 ottobre 2023 Yehie Sinwar dettero lo stesso ordine, uccidere i bambini ebrei. Sinwar aggiunse anche quello di rapirli. Himmler parlando ai “gauleiter”  nazisti disse testualmente: “Non mi considererei giustificato se uccidessi gli adulti... E poi permettessi ai loro figli di crescere e di cercare una vendetta sui nostri figli e i nostri nipoti. Abbiamo dunque preso la decisione di far sparire questo popolo dalla faccia della terra. Per chi deve adempiere a questo dovere, esso è il più difficile di tutti”. Non fu poi così difficile: un milione e mezzo di bambini e bambine furono uccisi in braccio alla madre o deportati in un mondo di botte e di stenti fino alla morte. Esattamente, non un virgola di più o di meno, come i bambini Bibas e gli altri bambini selezionati da Hamas in quanto ebrei: uccisi e rapiti. Niente altro che questo ha portato a inseguirli nei sentieri dei kibbutz, a dargli fuoco in casa coi fratellini, la famiglia, le nonne, a mutilarli davanti alle loro madri. I bambini Bibas furono rapiti solo per odio religioso. Il mondo non ha diritto di commuoversene mentre in tutto l’Occidente si riproducono senza risposta episodi di odio per gli ebrei, di menzogne ripetute: violenza ad Amsterdam, ferocia omicida in Australia, disprezzo nelle scuole di mezzo mondo verso gli studenti, rifiuto verso artisti e scienziati ebrei.

La memoria di Kfir e Ariel insieme a quella della mamma Shiri e di Oded Lipshitz, che ogni giorno portava i malati di Gaza agli ospedali israeliani, i corpi restituiti con una cerimonia paradossale e odiosa al padre Yarden, tornato per piangere dopo 500 giorni di sequestro, non appartengono all’umanità, ma al popolo ebraico e ai suoi soldati che hanno avvolto le piccole bare nella bandiera e  hanno rischiato la vita per costringere Hamas a restituirli. Nessuno ha votato mozioni impositive all’ONU, le organizzazioni umanitarie e politiche come quelle femministe o per l’infanzia hanno tradito la mamma e i bambini Bibas.  Gli ordini di Hamas  ai settemila uomini della Nukba differiscono da quelli nazisti solo nell’esibizionismo: i suoi orrori sono stati mostrati da Hamas stesso  mentre i nazisti li nascondevano per terrorizzare e per allargare la folle ondata di approvazione antisemita. Inoltre l’analogia col nazismo si blocca sulla impossibilità degli ebrei, allora, di reagire; oggi, esiste Israele, coll’esercito, con la volontà di vivere e combattere. Ieri Netanyahu ha ripetuto che quello che lo strazio subito impone una risposta definitiva: l’ha promessa. Il 7 di ottobre ha messo Israele di fronte agli errori di sottovalutazione del passato. Terribili errori. Quando le accuse antisemite  lo hanno criminalizzato come colonialista, genocida, razzista, apartheid, Israele non si è intimidito. Guterres, Biden, l’UE, hanno tentato invano di fermarne la guerra di sopravvivenza. I sensi di colpa non funzionano più. Hamas nella barbarica cerimonia cui hanno partecipato anche donne e bambini, che correvano dietro le ambulanze con le piccole bare, ha persino cercato di accusare Netanyahu di essere il responsabile della morte dei Bibas. Ma la responsabilità, Israele lo sa bene, è del solo assassino, Hamas, che usa gli ostaggi e la sua gente come scudi umani, comunque siano andate le cose. Anche i bambini palestinesi colpiti in guerra, sono vittime di Hamas, che persino nelle loro camere, nei letti, ha nascosto i lanciamissili. Sono vittime collaterali della strategia di Hamas. 

Invece I bambini ebrei sono l’obiettivo specifico, il boccone squisito, la migliore vittima per terrorizzare. Ormai consapevole dell’orrore del nemico, Israele in questi mesi ha distrutto Hamas nella massima parte, ha ridotto gli Hezbollah senza testa e senza soldi, ha terrorizzato l’Iran, gli Houty non osano farsi vivi, i presidi israeliani in Siria difendono da sorprese. La promessa del governo ora fiancheggiato da Trump di liberare gli ostaggi tenendo in vista la distruzione di Hamas e la sua espulsione da Gaza, è impellente; quella presenza che dà la caccia ai bambini è troppo cocente. Israele vive, e vibra di dolore ma anche di indignazione.

 

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