In Jewish Lives Matter, award-winning journalist and author Fiamma Nirenstein poses a blunt question: Why did the May 2021 Gaza war, in which Hamas fired more than three thousand rockets at Israel’s civilian population, spark a worldwide uproar of anti-Semitism as Israel was put in the dock for defending itself?
In a powerful, incisive analysis, Nirenstein traces the post-Holocaust emergence of a new, virulent, Israel-focused, anti-Semitism. She challenges the world at large – and the human rights community in particular – to remove its blinders and finally see Israel as a democracy compelled to fight back and as a fulfillment of age-old Jewish aspirations, and its enemies as aggressors bent on its utter destruction.
For starters, see if you can find yourself in the forward to Fiamma Nirenstein’s new book, “Jewish Lives Matter – Human Rights and Antisemitism,” published online today by the Jerusalem Center for Public Affairs.
“More than it is a book, this is an open letter that expresses my utter bewilderment,” she writes. “I was angry and taken aback while pouring out these words, surrounded by a heap of scattered papers and books written by myself and others, who like myself have dealt with antisemitism throughout the years. Years in which antisemitism should have disappeared, but has instead increased and now is a huge phenomenon. We have failed!
“My anger is fueled by pain: I have already explained extensively how antisemitism has turned into hatred of Israel, but this is the first time I see my own friends falling prey – slowly and without realizing it, because they are decent people – to an alien antisemitic spirit. A spirit that has worked its way into their mindset precisely in the name of the good things in which they believe, that is, human rights.
“I never thought that those whom I deemed friends could have been gripped by such an instinctive repulsion for the most important manifestation of the Jewish people, Israel. Instead, this hostility is strong and completely shameless, which is also a new phenomenon. Therefore, I sat down and wrote in order not only to respond to the accusations, but also to accuse.” [...]
Mr. Biden torna a casa dal Medio Oriente, e dopo molti baci e abbracci da parte degli israeliani, non si può dire che il mondo arabo abbia conferito un serto d'alloro alla dichiarazione di Gedda: "Siamo in Medio Oriente, non abbiamo intenzione di andarcene da nessuna parte, siamo qui per restare". Una dichiarazione che rovescia la politica degli ultimi anni, col penoso picco della fuga dall'Afghanistan e che striscia dai tempi di Obama, con il ritrarsi dalla Libia e dalla Siria: il ritorno americano, solennemente sancito dal discorso di Biden nel palazzo reale di fronte ai padroni di casa Sauditi, re Salman e il principe della corona Mohammed Bin Salman, circondati da altri nove Paesi invitati al vertice con gli USA, tutti arabi sunniti, ha un significato politico immediato molto chiaro: siamo qui per formare un'alleanza strategica infrangibile che impedisca a Russia, Cina e Iran di occupare proditoriamente un vuoto. Non lasceremo il Medio Oriente nelle loro mani. Ma la risposta è stata diplomatica: certo, non si rifiuta, coi suoi aiuti strategici, economici e tecnologici, la prospettiva di costruzione di un fronte unito agli Stati Uniti quando dall'altra parte il rischio Iran, il nemico sciita ormai vicino all'arma atomica e sempre più rampante. Ma non una parola da parte araba su Russia e di Cina; MBS ha parlato solo di alleanza strategica in cui si rispetti ciascuno, e si evitino svolte atomiche. Niente Nato araba. [...]
Se qualcuno pensa che volare dall'aeroporto Ben Gurion a Gedda sia soltanto un nuovo, rivoluzionario percorso più rapido, finalmente, per connettersi da Israele a tutta l'Asia, all'India, alle Filippine e al Giappone, senza fare dei giri strani e inutili, afferra solo una parte della verità. La trattativa è stata lunga e difficile, il divieto di sorvolare i deserti sauditi è stato superato con tutto l'impegno americano e anche col consenso di Israele all'Egitto di consegnare ai sauditi due isolette nel Mar Rosso. Il volo, compiuto ieri per la prima volta dall'Air Force One di Joe Biden dopo la visita di tre giorni in Israele diretto in Arabia Saudita, è una rivoluzione in tempi di terremoto mondiale. Chi l'avrebbe detto che Joe Biden, di cui si sorride quando cade dalla bicicletta o dimentica un nome, avrebbe intrapreso una ristrutturazione strategica delle alleanze con la ricostruzione del rapporto più volte ripudiato col Medio Oriente, inserendo nella medesima pagina i due Paesi che sembravano i più abissalmente lontani, Israele e l'Arabia Saudita. [...]
Da Gerusalemme Joe Biden ha intrapreso ieri la strada della costruzione di uno schieramento mediorentale, arabo e israeliano in contrapposizione all'asse russo che, nell'area, fa perno sull'Iran. Nel mezzo della nuova Guerra Fredda il presidente degli Stati Uniti, in visita in Israele da ieri, ha cercato di combattere l'immagine di una amministrazione debole segnalando determinazione, ma anche sentimento e sincerità. Biden ha segnalato che in Israele si trova fra i suoi amici cari, che combatte per la stessa casa democratica. Qui, ha abbandonato ogni stilema di realpolitik, ma dovrà recuperarlo fra due giorni in Arabia Saudita andando a visitare e a riabilitare Mohammed Bin Salman, il principe saudita che aveva espulso dal consesso dei leader frequentabili dopo l'assassinio di Kashoggi in Turchia. Adesso, gli è necessario rovesciare la decisione per garantire petrolio ed equilibrio internazionale, e per controbilanciare il potere russo in Medio Oriente. [...]
Se non è Guerra Fredda, ci somiglia. Putin va all'attacco in Medio Oriente e disegna alleanze alternative a quelle che gli Stati Uniti cercano di cementare in questi giorni. Mentre Israele chiude le strade centrali e blocca l'intera capitale per ricevere il presidente americano Biden, Putin impacchetta il suo potere per volare il 19 a Teheran. Pochi giorni perchè le telecamere si spostino da Gerusalemme e poi da Riyadh dove Biden farà tappa cercando di cementare un nuovo bastione mediorientale, e i giornalisti potranno fotografare nella capitale dell'Iran quello che Reagan avrebbe definito forse come il nuovo "asse del male"; Putin, Erdogan saranno ospiti di Ebrahim Raisi, un primo ministro che nel passato ha condannato a morte decine di migliaia di persone a nome del regime degli Ayatollah. L'occasione è un summit per la pacificazione degli 11 anni di conflitto della Siria, il cosiddetto "Astana Peace Process", ma difficile pensare che Putin vi avrebbe dedicato la sua seconda visita all'estero (dopo il Tagikistan in giugno) dall'inizio della guerra in Ucraina senza la rinnovata azione americana, con la prospettiva di un accordo sul petrolio del Golfo, il sostegno del rapporto fra Israele e i Paesi arabi di un Accordo di Abramo allargato, e anche di una "Nato" araba di cui anche Israele farebbe parte. [...]
Se non ci fosse nella sua agenda, fiammeggiante, la guerra russa contro l'Ucraina, forse Joe Biden non starebbe per sbarcare qui, a Gerusalemme, mercoledì prossimo; non sarebbe entrata nella sua agenda la clamorosa conclusione dell'ostracismo dichiarato contro il principe Mohamed Bin Salman, il tenebroso, affascinante MBS, dittatore e riformatore saudita. Dopo l'assassinio di Kashoggi in Turchia non avrebbe mai, il presidente americano, messo in agenda, l'incontro programmato a Riad. Anzi, Biden ha sempre seguitato a ripetere che non è proprio un incontro, ma un ritrovo quasi casuale in occasione di un riunione con vari dignitari sauditi.
Ma in Arabia Saudita, si sa bene, comanda MBS. E chi lo sa lo considera più di Biden, i cui cittadini ormai pagano la benzina 5 dollari per tre litri e mezzo, e si avviano carichi d'ansia alle elezioni di «midterm», prevedendo un inverno in cui la rottura con la Russia crea mancanza di energia, inflazione, disoccupazione. Biden è preoccupato e cerca un successo.
A Gerusalemme si spolvera il tappeto rosso, il nuovo primo ministro (ad interim, ma entusiasta dell'occasione) Yair Lapid prepara il discorso, si chiudono le strade, Biden resterà tre giorni: un'eternità per una visita presidenziale americana, e già tuttavia più che su Israele lo sguardo di Biden è puntato sull'Arabia Saudita per due ragioni: la prima di affermazione internazionale. Una presa di posizione di fronte alla forza di Putin: che non creda di dominare il Medio Oriente, con la presenza aggressiva e catalizzatrice nel porto di Tartus, con la longa manus dell'Iran, sempre più amico della Russia, che spinge i suoi armati fino in Yemen, Iraq, Libano, con le sue forze sul mare e in terra in Siria, che tesse trame profonde con la Turchia e la incita a un doppio gioco che l'Europa non ha voglia di scoprire, ma che Biden conosce bene.
La seconda ragione è quella della richiesta a MBS di aumentare la produzione petrolifera e di andarci piano coi prezzi, e di stabilire un rapporto con Israele che allargando i patti di Abramo dia una larga base di consenso alla presenza americana. Obama iniziò la sua disastrosa politica di «disengagement» con l'abolizione della «linea rossa» in Siria e quindi il consolidamento di Assad; l'Iran ha approfittato per far crescere le sue milizie Hezbollah e Houty mentre rimpinguava l'arricchimento dell'uranio; Hamas, con i soldi del Qatar e l'aiuto turco, tutti legati alla Fratellanza Musulmana e almeno temporaneamente all'Iran sciita, ha scalzato il potere di Fatah fra i palestinesi... [...]
LUNEDÌ 11 LUGLIO PRESENTAZIONE DEL LIBRO “JEWISH LIVES MATTER DIRITTI UMANI E ANTISEMITISMO”
Nella serata di LUNEDÌ 11 LUGLIO alle ore 21:00 presenteremo, in una conferenza virtuale alla quale potrà accedere tramite il seguente link: https://us02web.zoom.us/j/84872836624, il libro “JEWISH LIVES MATTER DIRITTI UMANI E ANTISEMITISMO” di Fiamma Nirenstein, insieme a:
FIAMMA NIRENSTEIN (Autrice del libro e Giornalista);
OFIR HAIVRY (Storico);
ALESSANDRO CECCHI PAONE (Giornalista).
L’evento sarà trasmesso in diretta sulla nostra pagina Facebook.
"The War on the West", la guerra contro l'Occidente, ha avuto una particolare ventura: il vasto, valoroso libro di Douglas Murray autore di "The madness of the crowd" (Ed. Broadside Books Harper and Collins) parla della guerra culturale in corso, del penoso attacco che la cultura occidentale subisce senza veramente disporre di un muro di difesa, mentre sparano i cannoni veri, quelli Russi, scuotendo alle fondamenta il nostro mondo. Quei colpi, pur nella confusione generale, risuonano ovunque, interrogando il mondo politico e culturale; Murray cerca con evidente furia, passione, senso di urgenza, appena smorzati da un ironico british accent che smorza il volume, di svegliare il mondo alla crisi isterica di senso di colpa da cui il nostro mondo messo a fondamentale pericolo di vita. La guerra al nostro mondo, Murray la esamina soprattutto dal centro dell'impero, gli USA, e dalla sua Inghilterra. La lente prescelta è quella dell' ossessione razziale, la cosiddetta "Critical Race Theory" (CRT) che si sviluppa con l'orrida uccisione di George Floyd da parte della polizia americana nel 2020 e quindi con Black Lives Matter. La CRT prende come una malattia mortale possesso della società occidentale creando ramificazioni profonde: la conseguenza infatti è una forma di senso di colpa ossessivo e definitivo, racconta punto per punto Murray. La nostra civiltà è stata ridotta dai testi che riempiono ormai le librerie, i programmi scolastici, determinano le cattedre delle maggiori università come Harvard, Stanford, Columbia, ispirano le urla di manifestazioni incongrue e devastanti: vedono la nostra civiltà come un polipo avviluppato sullo schiavismo e l'odio razziale, dalle fondamenta di Gerusalemme, la religione, e di Roma, l'ordine della legge. La cultura razziale, secondo la CRT nullifica tutta la strada verso le uguaglianze la fratellanza umana regolate dalle regole postcoloniali, dalla legge, dalla democrazia: "Il progresso nelle relazioni razziali è nella maggior parte un miraggio che oscura il fatto che i bianchi continuano consciamente e inconsciamente a fare tutto ciò che è in loro potere per assicurarsi il predominio e mantenere il controllo". Questo scrive, fra mille che Murray cita, uno degli autori più importanti che ha scritto il nuovo Talmud del nostro tempo, Derrick Bell. La lista è è lunga, ci troviamo da Michael Moore che fra l'altro scrive una ser die testi al titolo "Stupido uomo bianco", a Robin Di Angelo che sostiene che "bianchi buoni non ne esistono", e una pletora di altre bibbie del nuovo credo. E al seguito, tutti i giornalisti e i politici a caccia di consenso. Questo, nonostante la sofferta e ben concreta strada dell'eguaglianza sia ormai lunga due secoli, nonostante l'America abbia votato Obama per presidente nel 2009, e che il 66 per cento degli americani lo stesso anno pensi che i rapporti razziali sono"sostanzialmente buoni". Non importa: l'accademia e di conseguenza l'educazione, i media, la buona creanza sociale americana si è inventata, racconta minutamente Murray, un intero set di concetti e termini per cui il bianco, anche i bambini piccoli (Ibram X.Kendi, How to be an antiracist), sono "suprematisti bianchi". [...]
L'ebraismo è una cosa molta seria, molto forte e molto delicata nello stesso tempo: le sue regole, le sue norme sono sopravvissute a persecuzioni e ad assedi, mantenendo in vita un senso religioso e nazionale che ha dimostrato il suo valore oltre ogni umana aspettativa. Questo vale per gli ebrei e per i laici. Chi non lo capisce, chi vede queste regole, queste tradizioni nel cibo, nella preghiera, nelle feste comandate come stupidi residui, addirittura come una recita, un intrattenimento sociale richiesto dal conformismo o dall'opportunità, fa un grave errore. [...]