La guerra antisemita contro l'Occidente
7 ottobre 2023 Israele brucia
Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein
Il Giornale, 27 agosto 2022
Ci sono pochi ragionevoli dubbi che il permesso concesso dalle autorità iraniane alle tifose di sedersi in un settore femminile durante una partita di campionato a Teheran giovedì, sia una captatio benevolentiae dell'opinione pubblica internazionale mentre si prepara l'accordo nucleare. Il tema "donne allo stadio", come del resto l'insieme della vita al femminile, vide un alleggerimento in seguito al suicidio di Sahar Khodayari, "la ragazza blu" come i colori della sua squadra, una ventinovenne che, sotto processo per essersi introdotta allo stadio, si era data alle fiamme. Adesso una nuova liberalizzazione ha ammesso allo stadio ragazze che, ieri con barbe e baffi finti per essere ammesse alle partite, possono inneggiare a Sahar sedute invece sugli spalti. L'Iran si mostra liberale mentre sta per ottenere, a fronte di un acquiescente Joe Biden e con la mediazione attiva di Joseh Borrell un accordo nucleare che sostituisca quello del 2015. Questo fu cancellato dagli USA nel 2018 dopo che Trump lo definì "il peggiore accordo mai visto". [...]
Il Giornale, 21 agosto 2022
Molti miei amici di sinistra non sono affatto antisemiti, anzi, capiscono e sostengono lo Stato d'Israele. Ma sono l'eccezione, non la regola. La "faccenda" dei post anti-israeliani di La Regina non è un caso disgraziato che riguarda il carattere di un giovane ignorante, un incidente. L'uso dell'antisemitismo anti-israeliano come arma di consenso, come esca sui social media, come visione del mondo o come modo d'essere (anti-imperialista, antirazzista, terzomondista, globalista etc etc etc) e quindi, in questo periodo, come attrazione elettorale cospicua e utilizzabile, è anzi molto attraente perché è di massa. Una fetta non piccola di elettorato pensa che Israele non abbia diritto di esistere, che sia uno stato di apartheid, che il Bds, ovvero il boicottaggio e il disinvestimento siano un'arma dovuta. Ogni 83 secondi, sui social appare un post anti-israeliano-antisemita; i dati sono in crescita verticale, come verifica il Rapporto Annuale sull'Antisemitismo del Centro per lo Studio dell'Ebraismo Contemporaneo dell'Università di Tel Aviv. Leader come Jeremy Corbyn, la cui stella è poi declinata, ne hanno fatto una bandiera; più del 25 per cento degli ebrei nelle città europee si sentono insicuri e molti se ne vanno. Nizza da 20mila ebrei e passata a 3000, un trend che sta decimando le comunità. La Regina ha scritto uno slogan efficace; come dice la scrittrice Ruth Wisse popolarizzare l'odio antiebraico, paga. L'anno scorso in Germania, gli attacchi antisemiti sono cresciuti a 3028 da 2351, e crescono in Francia, Inghilterra etc. Una settimana fa Abu Mazen accanto al Cancelliere Scholz, senza che lui reagisce, in Germania! Ha affermato che gli israeliani hanno compiuto almeno 50 olocausti contro i Palestinesi."Kill the jews" è uno slogan comune. Che per Israele si intenda il popolo ebraico è facilmente deducibile dagli attacchi continui alle sinagoghe, ai negozi, alle persone, dalle menzogne e dai "blood libel". [...]
Il Giornale, 13 agosto 2022
L'attentato a Salman Rushdie colpito con una coltellata al collo a New York, in pubblico, è una sconfitta generale dell'Occidente. É una vergogna, una responsabilità collettiva che sia stato colpito dopo decenni di agguato lo scrittore più platealmente minacciato, da più tempo, con più pubblicità, con più violenza, con più ripetuta insolenza, con dichiarato spregio verso il diritto democratico fondamentale della libertà di espressione da parte della leadership stessa di un Paese che siede all'ONU, l'Iran, e che è sempre stato complice nella condanna a morte di Rushdie. Ci sono molte lezioni che non impareremo neppure questa volta da questo terribile episodio, e tuttavia è il caso di esprimerle chiaramente: la fatwa erogata dall'ayatollah Ruhollah Khomeini, capo supremo dell'Iran, il 14 febbraio 1989 che imponeva ai credenti musulmani di uccidere l'autore de "I versi satanici", come sostennero molti clerici e politici specie e iraniani dopo la morte l'anno dopo, del fondatore della Repubblica Islamica, non è in realtà una "fatwa", ordine religioso-politico (come tutte le indicazioni dell'Islam, religione che implica la sovrapposizione dei due poteri) che si conclude con la morte di chi l'ha promanata, ma un "hukm", ovvero una scelta permanente, inequivocabile, un decreto che non può cambiare finchè non viene eseguito. Ci furono nel corso degli anni vari melensi strumentali distacchi del governo iraniano dalla fatwa: ma essi non condannavano né obliteravano mai la decisione, piuttosto riducendo a opzione religiosa (di cui sia gli inglesi che i tedeschi si vantarono) il compimento dell'ordine di uccidere Rushdie. Anche Rushdie stesso volle crederci per un momento, ma la cifra della ricompensa (per carità, erogata da una fondazione "privata") crebbe a 3 milioni di dollari, e addirittura un'organizzazione di studenti piamente ne raccolse altri 330mila perchè fosse più attraente, il parlamento votò a maggioranza la sua permanenza, e i suoi membri dichiararono spesso che la condanna era sempre valida. La verità, lo vediamo ancora una volta adesso, è che davvero l'Islam è una religione dalla lunga memoria, specie quando si tratta di attaccare il nemico; vediamo che quando parla e minaccia fa sul serio, che quando dichiara intenzioni omicide seguita a seguire la sua strada senza deviare per anni e decenni. Non ha fretta, è solo proteso a vincere. [...]
venerdì 12 agosto 2022
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cliccando qui potrete riascoltare e leggere la trascrizione della rubrica di questa settimana Il Medio Oriente visto da Gerusalemme condotta da Giovanna Reanda
Il Giornale, 09 agosto 2022
La guerra è finita, per il momento, o almeno si è concluso questo capitolo. Tacciono da lunedì notte i missili e le bombe. A Gaza si sgombrano le macerie, 14mila palestinesi hanno attraversato il "passaggio di Erez" vicino a Beith Hanoun, e sono tornati a lavorare in Israele; i camion riforniscono la Striscia, si organizzano interventi tecnici e umanitari. La popolazione non osa certo, a Gaza, criticare chi ha di nuovo trascinato i giovani in una guerra sanguinosa. La Jihad Islamica ha perduto, e Gaza è più stravolta e depressa di prima. Ma non se ne dispiace Hamas, l'apice del potere, invece sempre più forte, che prepara il prossimo round dopo essersi astutamente astenuta da questo. La gente del sud di Israele esce a lavorare, va alla spiaggia, siede al ristorante, i bambini giocano nei campi estivi. Le sirene non urlano, non ci sono più solo quei maledetti dieci secondi per buttarsi nel rifugio. La vita riprende il suo ritmo. In cielo non si rincorrono gli incredibili ghirigori salvifici di "kipat barzel", cupola d'acciaio, che da undici anni fa il miracolo: stavolta ha fermato in aria il 97 per cento dei quasi mille missili lanciati sopra le città israeliane, 610 invece sono stati sparati per sbaglio dalla Jihad stessa in mare o sul proprio territorio a Gaza. Dei 37 morti di questa guerra, 27 sono innocenti civili di cui 16 uccisi dalla Jihad stessa e 11 da Israele. Il resto, sono terroristi eliminati da Tzahal perché dediti alla caccia agli ebrei di Israele. Il primo, venerdì scorso, è stato il capo del Comando Nord della Jihad Taysir al-Jabari, che aveva tenuto Israele chiusa in casa per quattro giorni con la minaccia di stragi di civili, e poi è toccato a Khaled Mansour, capo del Comando Sud. [...]
Il Giornale, 08 agosto 2022
Pioggia di missili su Israele ieri, cinquecento in un giorno di cui due bloccati su Gerusalemme e anche vicini all'aeroporto Ben Gurion e al sud fino a Beersheba fino all'ultimo minuto prima della pace. Tutte le grandi città sono state bombardate senza tregua. I cittadini hanno ricevuto continue richieste per radio e per telefonino di restare a pochi metri dai rifugi, o dentro casa. La Jihad Islamica ha messo in scena un gran finale pirotecnico cercando qualche preda in vista della conclusione serale, rimandata alle 11,30 all'ultimo momento e fissata inizialmente alle otto, su mediazione di Hamas, tramite l'Egitto. Il cessate il fuoco però non è certo, né tantomeno consolidato. La guerra non è finita finche non è finita, come una partita: e qui, essa è sottoposto a rinnovate richieste da parte della Jihad, piccata dai suoi scarsi successi, vergognosa di mostrare al suo sponsor iraniano il bianco della bandiera che sta alzando di fatto. E' vero: in questi quattro giorni, e specie ieri, non pochi edifici sono stati colpiti e danneggiati dai 1000 missili lanciati complessivamente, ma i danni non massicci e soprattutto l'assenza di vittime, con la perdita gigantesca dei due maggiori leader militari della JIhad per mano delle unità speciali israeliane, sono imbarazzanti. L'accordo, ovviamente concordato con il padrone di casa di Gaza, Hamas, prevede: nessun scambio di prigionieri anche se l'Egitto promette di "interessarsi" a Bassam al-Saadi, arrestato a Jenin e causa iniziale del conflitto; riapertura di Gaza, incluso l'ingresso di 14mila lavoratori che vengono ogni giorno in Israele; elettricità, servizi vari di rifornimento; libertà a Israele di arrestare terroristi nei Territori senza suscitare vendette a Gaza (come è successo nei giorni scorsi con al-Saadi). Condizioni cui la Jihad all'ultimo momento ha aggiunto la garanzia dell'Egitto a che Israele consideri le sue richieste sui prigionieri, e cessi gli attacchi a Gaza. [...]
Il Giornale, 07 agosto 2022
Una guerra, piccola o grande, vuole sempre un vincitore e un perdente; spesso non funziona cercare un accordo e una conclusione, sicuri che la pace sia un bene ambito da tutti. Lo scontro attuale Israele-Gaza fino a ieri sera ha cercato il suo sbocco, e ancora ci si chiede quando finirà e come. La Jihad Islamica fino ad ora non ha ottenuto nessun risultato così importante da consentirle di abbassare le armi con onore. I due missili che hanno messo in funzione le sirene a Tel Aviv al tramonto e spedito gli abitanti nei rifugi, come il missile che ha colpito direttamente una casa a Sderot, non hanno portato tuttavia nessun concreto motivo di soddisfazione strategica, non ci sono morti, feriti, distruzioni. Gli abitanti della città israeliana che non dorme mai, hanno seguitato a correre in riva al mare, con un'attenzione speciale al rifugio pubblico più vicino, e gli abitanti del sud resistono all'assedio delle sirene. Lo svantaggio della Jihad è evidente nonostante i 250 missili lanciati ovunque a partire da venerdì alle 16 quando il leader militare della Jihad Islamica Taisir Al Jabari, il numero uno dell'organizzazione affiliata all'Iran, è stato eliminato con un missile di precisione sparato da Israele dentro la finestra della sua casa a Gaza. La Jihad cerca un'occasione per poter salvare la sua fama, il suo onore di organizzazione terrorista. Jabari aveva inaugurato una nuova strategia del terrore che doveva riscattare l'arresto del leader di Jenin, Basem Saadi: con la minaccia è riuscito a rinchiudere metà della popolazione israeliana in casa per tre giorni promettendo bombardamenti sulla popolazione civile. Il via gliel'aveva dato la visita del segretario generale Ziad al Nakhala a Teheran dal presidente iraniano Ebraihim Raisi lunedì scorso. [...]
Non è cominciata solo ieri l'ennesima guerra fra Israele e Gaza, che ha eliminato con un attacco a sorpresa il capo militare della JIhad Islamica Taifir el Jabari e ha colpito un'altra quindicina di leader terroristi: da lunedì scorso lo scontro era estremo, anche se la minaccia massiva alla vita dei cittadini di Israele è ormai un'abitudine. Oggi, era già il quarto giorno da quando i cittadini di tutto il sud di Israele, delle città, dei kibbutz, delle scuole, nei negozi, nelle fabbriche e negli uffici, erano stati sequestrati dalla vita quotidiana con precisi ordini dell'esercito e del governo, di stare a casa pronti a correre nel rifugio. Le strade di comunicazione sono state bloccate, i mezzi di comunicazioni fermi, i luoghi di lavoro chiusi, i bambini tenuti in casa coi genitori, i malati portati all'ospedale solo in casi di urgenza. Le minacce della Jihad islamica erano definitive, e molto realistiche; l'esercito era stato ammassato sul confine della Striscia,i soldati delle riserve mobilitati, Israele nel calore mediorentale ribolliva anche di incredulità e di rabbia mentre le consultazioni fra il governo e l'esercito non sbloccavano la vita della gente. [...]
Il Giornale, 26 luglio 2022
Nella nuova avventura che il mondo, bendato, sta intraprendendo, Israele e Russia confliggono. Putin ha annunciato la chiusura dell'Agenzia Ebraica in Russia, l'Agenzia, la "Sochnut"che divenne il primo governo di Israele: nata nel 1923, divenne nel '48 il primo governo di Ben Gurion; tiene insieme nel mondo il bandolo della diaspora, laica e religiosa, del ritorno in Israele del popolo ebraico. Paese per paese, città per città, il nesso fra identità culturale e religiosa delle varie comunità e Israele è là. Il Ministero della Giustizia russo ha accusato la "Sochnut" di raccogliere informazioni sui cittadini russi, e questo è illegale. La risposta tecnica è stata lo stupefatto incarico a un gruppo di legislatori israeliani di partire per Mosca per trovare il modo di far cessare l'inquisizione, ma per ora il gruppetto aspetta presso il Ministero degli Esteri e non ottiene il permesso di presentarsi in Russia. L'Agenzia ha deciso al momento di spostare la sua attività online e a Gerusalemme, una sconfitta momentanea, accompagnata dalla protesta simile a una vera e propria minaccia di rappresaglia da parte del Primo Ministro e Ministro degli Esteri Yair Lapid. [...]
Il Giornale, 19 luglio 2022
Ci sono pochi dubbi che la visita di Putin a Teheran per incontrare il Primo Ministro Ebrahim Raisi e Tayyp Erdogan sia un modo di guardare minacciosamente negli occhi Joe Biden subito dopo il tour in Medio Oriente, a Gerusalemme e a Gedda. Gioco frontale, con l'intenzione di aprire un largo confronto geopolitico che si somma a quello fatale del faccia a faccia Russia-Occidente liberale. E' solo la seconda volta che Putin lascia i suoi confini dall'inizio della guerra. Da questo, si capisce che importanza dia al potere in Medio Oriente dopo l'isolamento e le sanzioni della guerra. Non ha futuro in Occidente, cerca spazio altrove, forza energia, territorio, controllo sul mondo islamico, apertura geografica verso il Sud globale. Grande strategia, nuova storia che gli americani cercano di fronteggiare in difesa: può portare a scontri immensi, ben oltre la capacità politica e perfino l'immaginazione dei leader occidentali attuali. Lo si è visto adesso dalla maniera fragile e sostanzialmente inerte, nonostante lo sforzo, con cui Biden ha pilotato i suoi incontri a Gerusalemme e a Gedda. Ha detto: "Siamo in Medio Oriente e non abbiamo nessuna intenzione di andarcene". Ma non ha convinto. [...]