Da Gerusalemme Joe Biden ha intrapreso ieri la strada della costruzione di uno schieramento mediorentale, arabo e israeliano in contrapposizione all'asse russo che, nell'area, fa perno sull'Iran. Nel mezzo della nuova Guerra Fredda il presidente degli Stati Uniti, in visita in Israele da ieri, ha cercato di combattere l'immagine di una amministrazione debole segnalando determinazione, ma anche sentimento e sincerità. Biden ha segnalato che in Israele si trova fra i suoi amici cari, che combatte per la stessa casa democratica. Qui, ha abbandonato ogni stilema di realpolitik, ma dovrà recuperarlo fra due giorni in Arabia Saudita andando a visitare e a riabilitare Mohammed Bin Salman, il principe saudita che aveva espulso dal consesso dei leader frequentabili dopo l'assassinio di Kashoggi in Turchia. Adesso, gli è necessario rovesciare la decisione per garantire petrolio ed equilibrio internazionale, e per controbilanciare il potere russo in Medio Oriente. [...]
Se non è Guerra Fredda, ci somiglia. Putin va all'attacco in Medio Oriente e disegna alleanze alternative a quelle che gli Stati Uniti cercano di cementare in questi giorni. Mentre Israele chiude le strade centrali e blocca l'intera capitale per ricevere il presidente americano Biden, Putin impacchetta il suo potere per volare il 19 a Teheran. Pochi giorni perchè le telecamere si spostino da Gerusalemme e poi da Riyadh dove Biden farà tappa cercando di cementare un nuovo bastione mediorientale, e i giornalisti potranno fotografare nella capitale dell'Iran quello che Reagan avrebbe definito forse come il nuovo "asse del male"; Putin, Erdogan saranno ospiti di Ebrahim Raisi, un primo ministro che nel passato ha condannato a morte decine di migliaia di persone a nome del regime degli Ayatollah. L'occasione è un summit per la pacificazione degli 11 anni di conflitto della Siria, il cosiddetto "Astana Peace Process", ma difficile pensare che Putin vi avrebbe dedicato la sua seconda visita all'estero (dopo il Tagikistan in giugno) dall'inizio della guerra in Ucraina senza la rinnovata azione americana, con la prospettiva di un accordo sul petrolio del Golfo, il sostegno del rapporto fra Israele e i Paesi arabi di un Accordo di Abramo allargato, e anche di una "Nato" araba di cui anche Israele farebbe parte. [...]
Se non ci fosse nella sua agenda, fiammeggiante, la guerra russa contro l'Ucraina, forse Joe Biden non starebbe per sbarcare qui, a Gerusalemme, mercoledì prossimo; non sarebbe entrata nella sua agenda la clamorosa conclusione dell'ostracismo dichiarato contro il principe Mohamed Bin Salman, il tenebroso, affascinante MBS, dittatore e riformatore saudita. Dopo l'assassinio di Kashoggi in Turchia non avrebbe mai, il presidente americano, messo in agenda, l'incontro programmato a Riad. Anzi, Biden ha sempre seguitato a ripetere che non è proprio un incontro, ma un ritrovo quasi casuale in occasione di un riunione con vari dignitari sauditi.
Ma in Arabia Saudita, si sa bene, comanda MBS. E chi lo sa lo considera più di Biden, i cui cittadini ormai pagano la benzina 5 dollari per tre litri e mezzo, e si avviano carichi d'ansia alle elezioni di «midterm», prevedendo un inverno in cui la rottura con la Russia crea mancanza di energia, inflazione, disoccupazione. Biden è preoccupato e cerca un successo.
A Gerusalemme si spolvera il tappeto rosso, il nuovo primo ministro (ad interim, ma entusiasta dell'occasione) Yair Lapid prepara il discorso, si chiudono le strade, Biden resterà tre giorni: un'eternità per una visita presidenziale americana, e già tuttavia più che su Israele lo sguardo di Biden è puntato sull'Arabia Saudita per due ragioni: la prima di affermazione internazionale. Una presa di posizione di fronte alla forza di Putin: che non creda di dominare il Medio Oriente, con la presenza aggressiva e catalizzatrice nel porto di Tartus, con la longa manus dell'Iran, sempre più amico della Russia, che spinge i suoi armati fino in Yemen, Iraq, Libano, con le sue forze sul mare e in terra in Siria, che tesse trame profonde con la Turchia e la incita a un doppio gioco che l'Europa non ha voglia di scoprire, ma che Biden conosce bene.
La seconda ragione è quella della richiesta a MBS di aumentare la produzione petrolifera e di andarci piano coi prezzi, e di stabilire un rapporto con Israele che allargando i patti di Abramo dia una larga base di consenso alla presenza americana. Obama iniziò la sua disastrosa politica di «disengagement» con l'abolizione della «linea rossa» in Siria e quindi il consolidamento di Assad; l'Iran ha approfittato per far crescere le sue milizie Hezbollah e Houty mentre rimpinguava l'arricchimento dell'uranio; Hamas, con i soldi del Qatar e l'aiuto turco, tutti legati alla Fratellanza Musulmana e almeno temporaneamente all'Iran sciita, ha scalzato il potere di Fatah fra i palestinesi... [...]
LUNEDÌ 11 LUGLIO PRESENTAZIONE DEL LIBRO “JEWISH LIVES MATTER DIRITTI UMANI E ANTISEMITISMO”
Nella serata di LUNEDÌ 11 LUGLIO alle ore 21:00 presenteremo, in una conferenza virtuale alla quale potrà accedere tramite il seguente link: https://us02web.zoom.us/j/84872836624, il libro “JEWISH LIVES MATTER DIRITTI UMANI E ANTISEMITISMO” di Fiamma Nirenstein, insieme a:
FIAMMA NIRENSTEIN (Autrice del libro e Giornalista);
OFIR HAIVRY (Storico);
ALESSANDRO CECCHI PAONE (Giornalista).
L’evento sarà trasmesso in diretta sulla nostra pagina Facebook.
"The War on the West", la guerra contro l'Occidente, ha avuto una particolare ventura: il vasto, valoroso libro di Douglas Murray autore di "The madness of the crowd" (Ed. Broadside Books Harper and Collins) parla della guerra culturale in corso, del penoso attacco che la cultura occidentale subisce senza veramente disporre di un muro di difesa, mentre sparano i cannoni veri, quelli Russi, scuotendo alle fondamenta il nostro mondo. Quei colpi, pur nella confusione generale, risuonano ovunque, interrogando il mondo politico e culturale; Murray cerca con evidente furia, passione, senso di urgenza, appena smorzati da un ironico british accent che smorza il volume, di svegliare il mondo alla crisi isterica di senso di colpa da cui il nostro mondo messo a fondamentale pericolo di vita. La guerra al nostro mondo, Murray la esamina soprattutto dal centro dell'impero, gli USA, e dalla sua Inghilterra. La lente prescelta è quella dell' ossessione razziale, la cosiddetta "Critical Race Theory" (CRT) che si sviluppa con l'orrida uccisione di George Floyd da parte della polizia americana nel 2020 e quindi con Black Lives Matter. La CRT prende come una malattia mortale possesso della società occidentale creando ramificazioni profonde: la conseguenza infatti è una forma di senso di colpa ossessivo e definitivo, racconta punto per punto Murray. La nostra civiltà è stata ridotta dai testi che riempiono ormai le librerie, i programmi scolastici, determinano le cattedre delle maggiori università come Harvard, Stanford, Columbia, ispirano le urla di manifestazioni incongrue e devastanti: vedono la nostra civiltà come un polipo avviluppato sullo schiavismo e l'odio razziale, dalle fondamenta di Gerusalemme, la religione, e di Roma, l'ordine della legge. La cultura razziale, secondo la CRT nullifica tutta la strada verso le uguaglianze la fratellanza umana regolate dalle regole postcoloniali, dalla legge, dalla democrazia: "Il progresso nelle relazioni razziali è nella maggior parte un miraggio che oscura il fatto che i bianchi continuano consciamente e inconsciamente a fare tutto ciò che è in loro potere per assicurarsi il predominio e mantenere il controllo". Questo scrive, fra mille che Murray cita, uno degli autori più importanti che ha scritto il nuovo Talmud del nostro tempo, Derrick Bell. La lista è è lunga, ci troviamo da Michael Moore che fra l'altro scrive una ser die testi al titolo "Stupido uomo bianco", a Robin Di Angelo che sostiene che "bianchi buoni non ne esistono", e una pletora di altre bibbie del nuovo credo. E al seguito, tutti i giornalisti e i politici a caccia di consenso. Questo, nonostante la sofferta e ben concreta strada dell'eguaglianza sia ormai lunga due secoli, nonostante l'America abbia votato Obama per presidente nel 2009, e che il 66 per cento degli americani lo stesso anno pensi che i rapporti razziali sono"sostanzialmente buoni". Non importa: l'accademia e di conseguenza l'educazione, i media, la buona creanza sociale americana si è inventata, racconta minutamente Murray, un intero set di concetti e termini per cui il bianco, anche i bambini piccoli (Ibram X.Kendi, How to be an antiracist), sono "suprematisti bianchi". [...]
L'ebraismo è una cosa molta seria, molto forte e molto delicata nello stesso tempo: le sue regole, le sue norme sono sopravvissute a persecuzioni e ad assedi, mantenendo in vita un senso religioso e nazionale che ha dimostrato il suo valore oltre ogni umana aspettativa. Questo vale per gli ebrei e per i laici. Chi non lo capisce, chi vede queste regole, queste tradizioni nel cibo, nella preghiera, nelle feste comandate come stupidi residui, addirittura come una recita, un intrattenimento sociale richiesto dal conformismo o dall'opportunità, fa un grave errore. [...]
Sarà lunga: 120 giorni. Sarà dura: due mondi faccia a faccia l'uno contro. Sarà feroce: Netanyahu e Lapid combatteranno con le unghie e con i denti per vincere le prossime elezioni. Con la chiusura della Knesset comincia una campagna, la quinta in due anni, che di nuovo spaccherà amicizie e famiglie in questo Paese, mentre i nemici, come i Palestinesi e l'Iran, ballano. Yair Lapid gestirà le elezioni dal ruolo di quattordicesimo Primo Ministro, anche se provvisorio, dello Stato d'Israele; Naftali Bennet se n'è andato con una benedizione all'alleato cui lascia il ruolo, annunciando che lascia la politica. Il suo funambolico portare il partito "Yemina" la destra, in un governo sostanzialmente di sinistra, ha segnato i confini di quel che è possibile nella politica israeliana, che comunque cerca stabilità, sicurezza,economia, rapporto con gli USA e col mondo arabo, esercito pronto a tutto. Ed eccoci di nuovo dunque a due candidati che anche nella storia personale rappresentano due mondi: Netanyahu, figlio di Bentzion, grande storico dell'Inquisizione: uno statista più che un politico, amato e odiato, sicuro della necessità del popolo ebraico di essere forte di fronte all'Iran e al terrorismo palestinese, e di proclamarlo forte. Forte di una biografia familiare e personale in cui l'eroismo è di casa (il fratello Yoni ucciso a Entebbe, lui ferito più volte nell'Unità Speciale Sayeret Matkal), non religioso ma legato alla tradizione, apprezzato dal mondo religioso e dagli abitanti degli insediamenti. E architetto dei patti di Abramo e quindi di un'idea di pace economica e popolare e di difesa anti-iraniana senza limiti imposti dai palestinesi. [...]
Il titolo di "New Republic" ieri recita: "la Guerra per il diritto ad abortire dovrà violare la legge", è una scelta pesante, dopo gli scontri di massa con Black Lives Matter nel 2020, ma si può capire. La rabbia è tanta, e così la voglia di farne un'arma e un bacino di consenso. Chi scrive, in gioventù ha marciato, parlato, scritto molto per il diritto all'aborto: è sbagliato anche oggi semplificare con una proibizione un diritto delicato e triste, su cui si sono impegnati decenni di lotte femministe. Era inevitabile allora e lo resta oggi, che quando una ragazza arriva a quella drammatica conclusione per violenza, età, malattia, miseria, la sua volontà non possa essere coercita con una proibizione, ovvero che il diritto a controllare il suo corpo e l'intero suo futuro non possa esserle alienato al giorno d'oggi nella società democratica. Certo, ci sono molte cose che potrebbero essere dette ragionevolmente, come per esempio che sentenze come la parenthood v. Casey del 1992 sembra avventurarsi nel regno della crudeltà quando suggerisce che l'aborto è praticabile fino al settimo mese. I limiti di quella scelta non sono scritti nella roccia, ma è evidente che siano molto delicati, a volte anche tragici, che il buon senso e la forza morale oltre all'aiuto della società dovrebbero giuocarvi un ruolo preponderante. ma la Costituzione, non lo sa. E inoltre, è fastidioso che la lectio corrente sui giornali indignati della risoluzione della Corte Suprema a maggioranza repubblicana, sia criminalizzante, ancora una volta, verso i conservatori: la scelta è legata a un'aria, un clima, una tempesta cognitiva dovuta a una guerra in corso di cui le donne sono cadute vittima. [...]
cliccando qui potrete riascoltare e leggere la trascrizione della rubrica di questa settimana Il Medio Oriente visto da Gerusalemme condotta da Giovanna Reanda.