Quella mano tesa Papa-Abu Mazen ferita per Israele
martedì 4 dicembre 2018 Il Giornale 2 commenti
Il Giornale, 04 dicembre 2018Viene puntualissimo, dopo le sei risoluzioni che l'ONU ha votato venerdì contro Israele, approvate da 156 contro 8 Paesi onesti (ma insomma, che sta facendo l'Italia?) in cui si nega la sovranità israeliana e il rapporto storico degli ebrei con Gerusalemme, l'incontro del Papa con Abu Mazen in cui, con tutto il rispetto, egli ha agito come un politico: ovvero, la strada scelta è la più immediata, la più fuori da un'analisi realistica dei fatti e quindi la più inutilmente cerimoniale. Non sarebbe stato magnifico e storico quanto la proibizione di Giovanni XXIII di essere ancora antisemiti, o la visita di Giovanni Paolo II al Muro del Pianto con il successivo riconoscimento, così dovuto alla storia umana, dell'Stato d'Israele, che il Papa avesse chiesto a Abu Mazen di imboccare una vera strada di conciliazione, di riconoscimento del diritto degli ebrei a un loro Stato, alla loro storia, alla loro capitale millenaria? Questo avrebbe anche legittimato i desideri dei palestinesi, li avrebbe rinfrescati e resi attuali. Ma non è accaduto. Il Papa ha incontrato Abu Mazen, il presidente dell'Autorità Palestinese, per allinearsi, secondo la Sala Stampa della Santa Sede, con le posizioni classiche, quelle che non hanno portato da nessuna parte.
Di fronte agli immensi cambiamenti che investono il Medio Oriente ci si poteva aspettare qualche cosa di diverso, e la parola "pace" è rimasta nuda, povera. Che significa "riattivare il processo di pace". Chi lo deve riattivare? Abu Mazen dovrebbe accettare almeno di discuterne, mentre rifiuta da anni ogni colloquio; e dovrebbe abbandonare l'incitamento feroce, diffamatorio e delegittimante che mette in gioco l'esistenza stessa di Israele, le accuse assurde di pulizia etnica, di Stato di apartheid. Gli ostacoli alla pace sono qui: l'esaltazione del terrorismo e la determinazione a continuare a fornire gli stipendi ai terroristi nelle carceri e alle loro famiglie. E poi: il Papa spera nella soluzione dei due Stati per due popoli. Ma non sarebbe meglio sottolineare, per un'analisi fattiva, che oggi gli Stati eventualmente sarebbero tre perchè l'Autorià Palestinese e Gaza si odiano di più di quanto odino Israele? Non c'è nessuna possibilità che Hamas si sottoponga a Abu Mazen, e anzi lavora sodo per distruggere il presidente dell'AP. Di lui, con la sua faccia da benevolo avolo, è difficile ma utile ricordare le parole in ogni occasione, salvo quelle diplomatiche, sempre estreme, aspre, definitive, in cui la condanna di Israele alimenta l'odio e non la tensione verso la pace. Israele è piena di organizzazioni, di canzoni, di ambizione alla pace. E dov'è quella palestinese? Il Papa ha letto quello che si insegna nelle scuole di Ramallah? L'AP appare moderata solo perchè Hamas è un'organizzazione terrorista. Solo ieri Gaza ha condannato a morte per impiccagione sei persone accusate di connivenza con Israele, e forse il Papa non si è ricordato, durante l'incontro, di quanto i cristiani di Gaza, palestinesi come gli altri, soffrano nelle mani di Hamas.
E infine Gerusalemme: è così difficile, come la Bibbia, come i Vangeli, come gli stessi musulmani prima della radicalizzazione, ricordare il nesso fra gli ebrei e la loro città per antonomasia? L'allusione nell'espressione usata nel comunicato che invita a "riconoscerne e preservarne l'identità e il valore universale di Città Santa" è contro il riconoscimento come capitale di Israele. A Gerusalemme capitale già si pratica il rispetto pieno per tutte le religioni, la Spianata delle Moschee è gestita dall'Islam e il Santo Sepolcro dai Cristiani. Chissà che succederebbe se venisse divisa.
sabato 8 dicembre 2018 12:01:42
concordo con il contenuto del testo
Andrea Ciprandi , Buenos Aires
martedì 4 dicembre 2018 18:19:45
I punti cruciali sono proprio i due enunciati, senza nemmeno bisogno di addentrarsi in ulteriori questioni di credo. Da un lato un indispensabile preliminare accordo al momento impossibile tra le fazioni palestinesi, per così chiamarle, e dall'altro una cecità della comunità internazionale il cui rifiuto di riconoscere la realtà ha smesso di essere sospetto per trasformarsi in complice (dei capi dei palestinesi di cui sopra) attraverso la sua connivenza appunto.
