Israele in pressing sugli Usa. In dubbio il ritiro dalla Siria
lunedì 7 gennaio 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 07 gennaio 2019
Fino a Venerdì si parlava di una sola condizione sufficiente per Trump ad abbandonare il campo siriano ribollente: la sconfitta dell'Isis. Un obiettivo ormai grosso modo raggiunto secondo una valutazione dell'amministrazione americana giudicata da molti affrettata, e tuttavia data per acquisita. Via gli USA, i topi ballano? Non ancora: da ieri possono interrompere le celebrazioni: le condizioni sono di nuovo diventate plurime e complesse, secondo quanto ha affermato a il Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton durante la visita di ieri a Gerusalemme. Il ritiro non è più ovvio, non ha più una scadenza definita, è di nuovo esplicitamente condizionata sia alla sconfitta dell'ISIS (di nuovo menzionata, e quindi evidentemente non data più per scontata) che anche alla salvaguardia dei combattenti Curdi, alleati degli Stati Uniti. Bolton ha anche ribadito la primaria fedeltà americana alla sicurezza dello Stato d'Israele. Un ufficiale che non vuole essere identificato ha anche aggiunto che non tutti gli americani se ne andranno, e resterà un presidio. Si dice anche che gli USA stiano preparando una base in Iraq che sorveglierà l'intera area e che potrebbe contenere un aeroporto militare. "Il programma scaturirà dalle decisioni politiche che abbiamo bisogno di realizzare"ha aggiunto l'ex ambasciatore degli Stati Uniti all'ONU; antico neoconservatore fra i più intellettuali e anche fra i più espliciti nel suo entusiasmo per Israele, ha voltato pagina rispetto all'incubo che la Siria rimanga preda di un Assad sostenuto dalle forze più ostili che Israele possa figurarsi: gli iraniani, gli Hezbollah, i turchi di Erdogan. E sullo sfondo il sostegno russo.
L'incontro fra Bibi e Bolton ha certo passato in rivista una situazione fra le più complesse che il Medio Oriente abbia mai conosciuto, ha sancito un approfondimento dei rapporti di sicurezza, ma soprattutto segna un ripensamento che Pompeo aveva già disegnato. L'8 gennaio, il Segretario di Stato intraprenderà un giro regionale: Giordania, Egitto, Bahrain, Emirati Arabi, Qatar, Arabia Saudita, Oman, Kuwait. Un tour completo in cui si ribadirà che gli americani vogliono spingere avanti la componente sunnita, a fronte di una pesante presenza sciita in Siria, mal controbilanciata da una Turchia sunnita ma legata alla Fratellanza Musulmana e quindi malvista dall'Egitto e dall'Arabia Saudita, e desiderosa soltanto di distruggere i Curdi e di occupare porzioni territoriali che le garantiscano la cacciata dell'odiata etnia che Erdogan vuole distruggere.
