Il Giornale
Obama non può perdere il poker con Israele
Il Giornale, 5 luglio 2010
Stavolta non mancherà la torta. Stavolta il presidente Obama, mentre Bibi Netanyahu vola verso Washington per incontrarlo, prepara la cena, probabilmente per domani; invece, quando a marzo il primo ministro israeliano visitò il presidente USA, questi si alzò dalla loro gelida riunione alla Casa Bianca un minuto prima dell’ora del pasto, mettendo alla porta il collega mediorientale. E non aveva nessun altro a tavola ad aspettarlo se non la famigliola, come precisò allo stupito ospite. Fu uno scandalo, e soprattutto la prova di quanto gli Usa di Obama stessero prendendo le distanze da Israele. Adesso, alla vigilia del nuovo incontro, ci sono buone ragioni per immaginare che le cose andranno meglio, ma l’intrigo si è fatto molto più fitto e danza sempre sull’orlo del baratro.
Cosa c’è in gioco? Naturalmente il processo di pace con i palestinesi, cui Obama tiene assai per portarne a casa almeno una nella sua tormentata politica estera. Come primo punto all’ordine del giorno per Israele, per fare la pace le due parti perlomeno si devono sedere l’una di fronte all’altra e parlarsi direttamente, uscendo dall’impasse dovuta alla scelta dei palestinesi di comunicare attraverso l’inviato americano George Mitchell. È ridicolo, dice Israele, che questi compia una insensata spola fra Gerusalemme e Ramallah, attaccate l’una all’altra come sono e dopo che Bibi ha aperto i varchi di Gaza, ha sbloccato una quantità di check point, ha fatto il famoso «freezing» degli insediamenti dieci mesi fa. E l’ha anche detto: vogliamo due Stati per due popoli, ma parliamoci una buona volta. [...]
Riad apre il cielo ai jet di Israele contro l’Iran
Il Giornale, 13 giugno 2010
Fonti americane nel Golfo: l’Arabia Saudita è pronta a garantire un corridoio aereo verso Teheran in caso di attacco alle installazioni nucleari degli ayatollah. Anche Giordania ed Egitto preoccupate dei piani atomici di Ahmadinejad.
Nel compleanno delle sanguinose elezioni iraniane, il Times di Londra ha impacchettato un bel regalo per Mahmoud Ahmadinejad: è la notizia che l’Arabia Saudita avrebbe compiuto test significativi nel campo aeronautico e della difesa missilistica. Avrebbe sperimentato la disattivazione dei sistemi di scrambling, ovvero di messa in avaria di meccanismi utili a chi viola il suo spazio, e quella dei sistemi missilistici destinati a colpire qualsiasi velivolo si azzardi a sorvolare il regno sunnita. Lo scopo è evidente: consentire a Israele di utilizzare lo spazio aereo dell’Arabia Saudita, paese che non riconosce Israele, aprendo una scorciatoia verso il bombardamento delle strutture atomiche iraniane. Sarebbe stato anche previsto il rifornimento in volo dei jet. In caso di attacco israeliano alle installazioni nucleari iraniane, infatti, gli obiettivi distano circa 2.250 chilometri, un’immensità se non si accorcia la strada passando per il Nord dell’Arabia saudita. [...]
Ora la sinistra ci ripensa: basta fango su Israele
Il Giornale, 9 giugno 2010
Dopo le accuse rovesciate contro Gerusalemme, arriva il mea culpa di stampa e osservatori internazionali. Anche Henri-Lévy condanna la disinformazione. Reuters sotto accusa: sangue e coltelli via dalle foto
Israele è una discussione primaria nel mondo odierno, è il pomo della discordia, il pretesto preferito per attaccare l’Occidente, la migliore arma di legittimazione della vecchia bandiera sovietica totalitaria della pace a strisce, è il tarlo che rode l’anima degli ebrei di sinistra che adorano la loro legittimazione narcisistico-diasporica che li esime dalla poco elegante vicenda di essere un popolo, anzi, una nazione; e soprattutto è la questione che dà agli antisemiti la possibilità di esprimersi sotto copertura e alle maggioranze automatiche dell’Onu quella di farsi forti. È anche il migliore degli stendardi rossi da sventolare davanti al toro islamista, come hanno fatto da Istanbul Ahmadinejad, che di nuovo ha promesso di cancellare Israele, Bashar Assad dalla Siria ed Erdogan, il premier turco che sta costruendo una carriera islamista per il suo Paese sulla minaccia a Israele. [...]
Il vero terrorismo sono le bugie contro Israele
Il Giornale, 3 giugno 2010
Davvero è uno choc, come ha detto Ban Ki Moon, come hanno detto i governi che scandalizzati hanno richiamato gli ambasciatori, la Turchia, la Svezia, la Grecia, la Giordania, è uno choc, oh sì, come ha detto Hillary Clinton e come anche Tony Blair ha dichiarato. È un orrore come ha detto il ministro degli Esteri dell’Unione Europea la signora Ashton… è un grande scandalo: ma non stiamo parlando della battaglia compiutasi, purtroppo con nove morti, fra gli attivisti armati della nave Marmara e le forze israeliane che cercavano di condurre il convoglio carico di beni e di personaggi non identificati a Ashdod per evitare che fossero consegnati a Hamas doni esplosivi adatti a continuare, fino a Tel Aviv, il lancio di seimila missili in territorio israeliano. No, il maggiore scandalo, il vero orrore è legato alla foga con la quale, da muro a muro, tutto il salotto internazionale si è affrettato a brandire lo stendardo antisraeliano senza nessuna cura per la verità, fregandosene dei video in cui si vede come i soldati che volevano ispezionare il contenuto del convoglio sono stati accolti a mazzate, coltellate, bombe a mano, spari; non importa alla Clinton o alla Ashton la verificata origine aggressiva e la dichiarata intenzione terrorista suicida delle organizzazioni filo-Hamas imbarcate sulla Marmara. [...]
The real terrorism is the lie against Israel
Il Giornale, 3 June 2010
It really is a shock, as said Ban Ki Moon, as said the governments who recalled their ambassadors, Turkey, Sweden, Greece, Jordan. It is a shock, oh yes, as said Hillary Clinton and as Tony Blair declared. It is a horror as the EU Foreign Minister Lady Ashton said... it is a big scandal: but we're not talking about the battle undertaken and which, unfortunately, caused nine deaths, between the armed activists of the Marmara ship and the Israeli forces, who tried to lead the convoy loaded with unidentified goods and people to Ashdod, so as to avoid handing over potential explosive to Hamas, letting it continuing the launch of six thousand missiles into Israeli territory, as far as Tel Aviv. [...]
Dieci morti per una verità capovolta
--- NOTA: Riceviamo una quantità di messaggi offensivi che non pubblichiamo in questa casa che è il nostro sito ----
Il Giornale, 1 giugno 2010
L’episodio di ieri notte, con i suoi morti e feriti sulla nave turca, ha qualcosa di diabolico. Perché diabolico è il rovesciamento, la bugia che si sta disegnando nell’opinione pubblica internazionale, come per la battaglia di Jenin, come per la morte di Mohamed Al Dura: la verità, salvo quella tragica e che dispiace assai, dei morti e dei feriti, ne esce capovolta, capovolte le responsabilità. Le condanne volano, e hanno tutte un carattere nominalista: chi era sulle navi si chiama «pacifista» o «civile», i soldati israeliani coloro che ne hanno sanguinosamente interrotto la strada verso una «missione di soccorso». Nessuno parla di organizzazioni filo Hamas, nessuno di provocazione: ed è quello che davvero veniva trasportato da quelle navi. Oltre naturalmente, all’essenza umana di chi ci spiace comunque di veder sparire. Ma non basta dichiararsi pacifista per esserlo. L’organizzazione turca IHH, protagonista della vicenda, è sempre stata filo terrorista, attivamente amica degli jihadisti e di Hamas, essa stessa legata ai Fratelli Musulmani, i suoi membri ricercati e arrestati e la sua sede chiusa dai turchi stessi per possesso di armi automatiche, esplosivo, azioni violente. [...]
Ten deaths for an inverted truth
Il Giornale, 1 June 2010
With its deaths and wounded, last night’s episode on the Turkish ship, has diabolical elements. What is diabolical is the reversal, the lie that is being designed by International public opinion, as in the battle in Jenin and like the death of Mohamad Al Dura: the truth, apart from being tragic and regretful, has been inverted, flipping responsibility. Condemnations fly, and they all have a nominal character: who was on the ship is called “pacifist” or “civil” while the Israeli soldiers are depicted as having bloodily interrupted their path of a “rescue mission.” No one speaks about organizations that are pro-Hamas, none about provocations, which is really what was being transported by those ships. Besides of course the human essence that we are sad to see disappearing. [...]
La cricca delle coop che boicotta Israele
Il Giornale, 25 maggio 2010
È uscito da poco un libro che spiace non sia stato ancora tradotto in italiano: si chiama "The Israeli Test" e l’autore, George Gilder, sofisticato economista che gode di fama internazionale, spiega che il mondo deve a Israele in termini di scienza dell’agricoltura, medicina, software, una prodigiosa, inverosimile quantità di gratitudine. Il mondo sarebbe molto peggiore senza l’aiuto di questo piccolo Paese impegnato nella sua quotidiana lotta di sopravvivenza. C’è chi lo capisce, ed ha così superato l’Israeli test. Ma molti di più invece, poiché ottusi dall’ideologia, non sono in grado di superare l’esame: è il caso delle Coop, il consorzio nazionale delle cooperative di consumatori, e della Conad che piamente hanno ieri piegato la fronte sotto le pressioni di un gruppo di Ong e associazioni varie che hanno chiesto loro di boicottare i prodotti israeliani agricoli importati dalla società Agrexco, perché lo 0,4% di questi prodotti, non contrassegnato col marchio dei lebbrosi come nei sogni delle Ong, potrebbe invece provenire dai Territori della Giudea e della Samaria. [...]
The gang of cooperatives that boycott Israel
Il Giornale, 25 May 2010
There is a recently published book, that I'm sorry has not yet been translated into Italian, entitled “The Israel Test” and the author, George Gilder, a distinguished economist who enjoys international fame, explains that the world owes Israel an unbelievable amount of gratitude in terms of science, agriculture, medicine and software. The world would be much worse without the help of this small country engaged in its daily struggle for survival. Some understand this, and have thus passed the Israel Test. That said, many others because of their obtuse ideology are not able to pass the test: this is the case of Coop – Italy's National Consortium of Consumer Cooperatives, and Conad* (Italian retail brands which operate two of the largest supermarket chains in Italy, ndr), who dutifully folded under pressure by a group of NGOs and other associations, named "Stop Agrexco", who have asked them to boycott Israeli products imported by the company Agrexco (Israel's foremost agricultural exporter, ndr), because 0.4% of these products are not marked with the seal of leprosy as in the dreams of NGOS, as they might come from the territories of Judea and Samaria. [...]
La flotta turca verso Gaza aiuta l’Iran
Il Giornale, 22 maggio 2010
Stavolta Israele ha proprio diritto di dire «mamma li turchi». Dieci vascelli turchi vogliono raggiungere la settimana prossima la costa di Gaza per portare quello che essi chiamano aiuto umanitario. In realtà, portano un gesto di solidarietà e legittimazione a Hamas, che domina Gaza con violenza integralista nei confronti della propria gente e di Israele, che ha giurato di distruggere. A Gaza chiamano il prossimo avvento della flottiglia «l’Intifada delle navi». La Turchia è l’unico Paese che assiste l’organizzazione delle navi. La prepara la IHH (Fondazione di Soccorso umanitario turco): il premier Recep Tayyp Erdogan ha incontrato gli organizzatori e ha reso pubblico il suo «sostegno per rompere l’assedio di Gaza». Sulle navi viaggeranno membri del governo turco, artisti, giornalisti: tutto quello che serve a rendere la spedizione intoccabile. [...]
Chomsky attacca Israele ma fa l’amico dei dittatori
Il Giornale, 19 maggio 2010
Ok, sia che l’ordine provenisse dall’alto o che si sia dato troppo da fare uno di quei giovanotti che al confine di Israele stanno sempre spasmodicamente attenti a chi entra (magari questo era uno studente che aveva letto i libri del professore), sarebbe stato meglio che il professore del Mit (Massachusetts Institute of Technology) Noam Chomsky fosse andato a tenere la sua conferenza a Bir Zeit, Ramallah. Chi lo avesse ascoltato lo avrebbe pleonasticamente applaudito con frenesia quando avesse detto che Israele è uno stato di apartheid, una colonia americana, sostanzialmente nazista, e avrebbe battuto le mani ancora più forte quando avesse sostenuto che Hamas è un’organizzazione non solo legittima, ma anche indispensabile per la pace in Medio Oriente.
Chomsky lo dice, lo scrive, lo ripete senza sosta, e quindi impedirgli, domenica, di avviarsi attraverso Israele sulla strada per Ramallah (Netanyahu nega, per la cronaca, di averlo mai ordinato) gli ha solo consentito di ripetere al mondo che Israele è un Paese totalitario e razzista - anzi, stalinista - e di avere una grande eco in tutto il mondo. [...]
Il tramonto veloce dell’Onu sotto gli occhi delle democrazie inermi
Il Giornale, 16 maggio 2010
Quand’è che l’implausibile comportamento dell’Onu renderà impraticabile la sua stessa esistenza nella forma attuale? È il caso di chiederselo di nuovo, a così pochi giorni dall’immissione dell’Iran nel Csw, la Commission for the Status of Women, ovvero il suo maggiore organismo per la condizione femminile, perché siamo di fronte a un altro evento incredibile, se non nella logica «onusiana». Infatti lo Hrc, il Consiglio per i diritti umani, ha felicemente accettato che ne siano parte a gestire i temi del diritto di ogni uomo alla libertà e alla giustizia la Libia, l’Angola, la Malesia, il Qatar, l’Uganda. Non sarebbe stato impossibile impedire l’ennesimo paradosso, se l’opposizione avesse avuto meno di 97 voti, ovvero anche un voto meno della maggioranza dei membri dell’Assemblea. Ma l’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oic) ha il 70 per cento dei voti nei gruppi africano e asiatico e insieme ai Paesi non allineati che ancora esistono nonostante la supposta fine della Guerra Fredda raggiungono facili vittorie e in pratica determinano tutta la politica del Consiglio dei Diritti umani. [...]
La beffa Onu: «La minaccia viene da Israele»
Il Giornale, 8 maggio 2010
Avrebbe dovuto essere il momento critico in cui tutti gli occhi si sarebbero fissati sull’obiettivo di far cessare l’Iran dalla preparazione della bomba atomica, in cui l’Iran sarebbe stato affrontato in modo decisivo, e invece è stata una memorabile, paradossale settimana di successi per Ahmadinejad, invitato a New York in occasione della Conferenza per la revisione del trattato di non proliferazione nucleare dell’Onu (Npt). All’apertura in pompa magna già si è svolto uno stravagante testa a testa alla pari, che certo Ahmadinejad sognava, fra il presidente iraniano e Hillary Clinton. Il presidente iraniano sdottoreggiava minacciosamente sui gravi rischi che il mondo corre a causa degli Usa e di Israele, e ha sfidato di nuovo tutti sul nucleare: «Anche se le sanzioni non saranno benvenute, non le temiamo e la nazione iraniana non se ne lascerà fermare». Insomma, seguiterà con l’atomica. Perché non dovrebbe? Dagli eventi e dalle voci sulle possibili decisioni del Consiglio di Sicurezza, sembra che l’Iran potrà seguitare ad arricchire il suo uranio senza troppi impicci. [...]