Il Giornale
Ma Barack fa il duro soltanto a parole
Il Giornale, 6 gennaio 2010
Forse Obama comincia a realizzare che la sua speranza di ingraziarsi l’islam con un atteggiamento rispettoso fino alla sottomissione, che la sua rivoluzione culturale circa il ruolo degli Usa nel mondo, non placano il terrorismo islamico e non mitigano la sua ambizione di dominare il mondo.
Quand’è che sapremo dalle labbra del presidente degli Stati Uniti che il nemico che è deciso a combattere è la jihad, la guerra santa che in maniera multiforme, sottile ma organizzata e massiccia, schiera i suoi uomini sulla linea del fuoco degli attentati di New York, di Londra, di Madrid, di Bali, di Buenos Aires, di Mombasa, di Gerusalemme... lungo la frontiera più vasta e pervasiva della storia di ogni altra guerra? Non è un problema linguistico, ma di grande sostanza: senza identificare il nemico, non lo si può battere.
Il presidente Obama dopo l’attacco fallito al volo 253 di Natale, sembra scosso; ha risposto duramente alla sua ministra degli interni Janet Napolitano che non è vero affatto che «il sistema ha funzionato». Poi, ha ordinato di riorganizzare il sistema di sicurezza degli aeroporti; tanto si è reso conto di quanto fosse importante, unito ad altri, il segnale proveniente dal giovane terrorista nigeriano addestrato in Yemen, da chiudervi l’ambasciata. [...]
Ecco come si vive con la paura dei kamikaze
Il Giornale, 31 dicembre 2009
In un altro mondo, quello in cui il terrorismo è vita quotidiana, come accade in Israele, l’eventuale bomba si chiama semplicemente «hefez hashud», oggetto sospetto. Quando lo si scopre sotto l’apparenza di un pacco, di una valigia, di qualsiasi cosa, si avverte la polizia che viene con un piccolo robot a farla saltare. È un’unità molto occupata. Un «hefez hashud» non fa urlare di paura, non induce a fughe inconsulte, non spinge a investigare con occhi ansiosi dove sia il rifugio più vicino, mentre ti chiedi semmai come passare sopra la testa dell’anziana signora in piedi dietro di te. Dove il terrorismo delle bombe è uno slalom quotidiano, capita di fare tardi a un appuntamento. Sì, mi scusi tanto, c’era un «hefez hashud» sull’autostrada Tel Aviv-Gerusalemme. Sei fermo da un’oretta di fronte all’entrata di un ufficio, o di una scuola, di un grande magazzino dove hai lasciato un pacco e non puoi entrare finché non arriva il robot e danno il via libera? Pazienza, a volte capita, in una giornata puoi incontrarlo anche due volte. La radio annuncia con voce piatta durante le notizie sul traffico: «Rallentamenti sulla strada numero 6 per la presenza di un hefez hashud vicino a Bacha el Garbiya». Non lo dice mai durante le notizie. Ok, si sa, speriamo non ci siano altri contrattempi, altrimenti faccio tardi.
Cara Italia, dall'America ti dico: la vera follia è minimizzare
Il Giornale, 29 dicembre 2009
Non è come da noi, dove un paio di turisti sbattuti in ginocchio davanti all’integralismo islamico e alla minaccia sanguinaria di Al Qaida sono per l’opinione pubblica italiana un fatto collaterale al panettone; dove ci si seguita a interrogare da un paio di mesi se Mohammed Game, l’attentatore della caserma Perrucchetti armato di esplosivo e dell’ideologia islamista corroborata in Viale Jenner vada preso alla fine sul serio oppure no. Qui è diverso. Senza il bagno di sangue dell’11 settembre 2001 tutta quanta la mente americana sarebbe diversa.
Dopo il tentativo di tirare giù dal cielo di Natale sopra Detroit il 353 della Northwest è meglio non farsi ingannare dal candore della neve, nel freddo punteggiato di festoni colorati, di canti natalizi, di sorrisi generosamente distribuiti col Merry Christmas e il Happy New Year, di colorati, pervasivi regali. Obama è alle Hawaii, ma i segnali che non pensi ad altro che a Umar Farouk Abdulmutallab sono abbondanti: Obama tenne gran parte della sua campagna sulla promessa di restaurare il rispetto per i diritti individuali lasciandosi dietro le spalle l’era che Bush stesso aveva chiamato della «guerra contro il terrorismo»; insistette parecchio sulla scelta di conciliare sicurezza e libertà. Ben tre dei suoi discorsi hanno avuto per tema la sicurezza nazionale. [...]
Nella lunga notte di Israele si decide il destino di Shalit

Il Giornale, 22 dicembre 2009
Gerusalemme - Se questo non è un Paese perseguitato da una forma di odio e di terrorismo senza precedenti, allora nessuno lo è mai stato. Eppure nessuna organizzazione per i diritti umani, nessun governo si è affacciato per dire ai governanti di Israele che il dilemma che devono risolvere in queste ore è terribile, o a sostenerli nel più nobile e anche folle fra tutti gli antagonismi storici e filosofici, quello fra la vita e la morte, fra il bene e il male. Ieri un popolo intero intorno all’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyhau, circondato da sagome a grandezza naturale di Gilad Shalit, ostaggio di Hamas da più di tre anni, ha ingoiato le lacrime, diviso fra opinioni diverse. Il gabinetto del premier, formato da sei membri più Netanyahu, si è riunito per due giorni consecutivi e ieri ha rinnovato gli incontri ancora e ancora fino a tardi per la discussione definitiva su uno scambio che sembra metafisico e assurdo. Hamas vuole un numero esorbitante di assassini e di terroristi, intorno a mille, in cambio del ragazzo rapito lungo il confine di Gaza mentre era di ronda. I palestinesi di Hamas minacciano dicendo che la trattativa è finita e che i genitori di Gilad non lo vedranno mai più se Israele non accetterà di liberare una quantità di assassini che, come le statistiche degli scambi precedenti garantiscono, torneranno a uccidere nelle strade, sugli autobus, nei ristoranti di Israele. [...]
Teheran e Siria preparano la guerra contro Israele
Il Giornale, 14 dicembre 2009
Gerusalemme - Mentre i movimenti giovanili pacifisti pensano che il maggiore di tutti gli impegni sia quello di salvare la terra dai suoi guai ambientali, mentre tutti sollevano le sopracciglia perché Barack Obama ha pronunciato la parola «guerra» senza perdere i sensi, chi volesse occuparsi di salvare il mondo dovrebbe guardare al Medio Oriente. Perché qui si prepara un disastro per una vasta parte del mondo. L’Iran ha incrudelito ieri la linea dura in politica interna, mentre il miracolo delle piazze ancora formicolanti di desiderio di libertà si ripete. La proiezione è evidente nella politica egemonica di questo Paese che vuole dominare il mondo in nome dell’islam: l’Iran e la Siria hanno firmato un patto proprio ora che Teheran è investita da nuova pressione internazionale e cerca di ciurlare nel manico negando e accettando, accettando e negando, mentre tutti sanno che il suo scopo è solo quello di costruire la bomba atomica.
Questo patto firmato due giorni or sono dal ministro della Difesa iraniana Ahmad Vahidi e dalla sua controparte siriana Ali Habib Mahmud, è finalizzato ad affrontare «comuni nemici e sfide», ovvero, se non si capisse, Israele, che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha già destinato allo sterminio più volte. [...]
Caro Sgarbi, c'è l'incubo terrorismo dietro a tutti quei controlli

Il Giornale, 13 dicembre 2009
Quei giovani che controllano i passeggeri negli aeroporti sanno che la morte spesso è arrivata dagli insospettabili
Caro Vittorio,
all’aeroporto, lo so, chi soffre di più è chi come te ascolta leragioni di Israele e cerca sempre di portare un raggio di luce nel buiodel pregiudizio che purtroppo prevale quando si parla dello Statoebraico. Proprio come me, ho sofferto anche io tante volte, squadrata,interrogata, bloccata per ore da ragazzotti a volte sordi e insistenti,a volte persino arroganti e aggressivi. Mi sono detta spesso chedovevano essere ignoranti, addestrati male a riconoscere il delinquenteterrorista, che c’era qualcosa di personale in quel farmi pagare,innocente e anzi amichevole, il rischio che loro e le loro famigliecorrono ogni giorno, le discriminazioni cui sono soggetti a partiredalle gare sportive fino alle Università europee. A volte, sappilo, io,con tutti i miei libri e i miei articoli, sono finita seduta al pianosuperiore, scrutata, fotografata con qualche signora provenientedall’Europa orientale che cercava di entrare per lavorare in settoridisparati. Avevano ragione? Beh, alla fine sì, e tu lo sai. [...]
Dear Sgarbi, the nightmare of terrorism is behind all those checks
Vittorio Sgarbi is an important Italian art critic, former Member of Parliament and at present mayor of Salemi, a wonderful Sicilian town. He is also a sincere friend of Israel. Recently, invited for a Festival in Jerusalem, on his way back to Italy he was kept at length at Ben Gurion Airport by the security, as often happens. Yesterday he wrote an article on "Il Giornale" titled: "Treated like an enemy. I'll never come back to Jerusalem". I replied to this article with an open letter published on "Il Giornale" on the same day. Here it is:
Il Giornale, December 13, 2009
Dear Vittorio,
I know, the people who suffer the most are those who – like you – listen to the reasons of Israel and always try to bring a ray of light in the darkness of prejudice that prevails when talking about the Jewish state. Just like me. I too suffered many times when I was looked up and down, questioned, blocked for hours by young officials who sometimes were deaf and insistent and sometimes even arrogant and aggressive. I often said to myself that they were uneducated, ill trained to identify terrorists, that they had something against me, an innocent and even friendly individual who had to pay for the risk they and their families run every day, for the discriminations they have to endure, from sports activities to European Universities. You should know that sometimes I ended up sitting on the upper floor with all my books and articles, looked up and down, photographed together with some ladies coming from Eastern Europe who tried to enter the country to work in all sorts of fields. Were they right? Well in the end yes, they were, and you know that. [...]
Un’Europa così non può mediare con Israele
Il Giornale, 11 dicembre 2009
E così l’ha avuta la Svezia la sua risoluzione votata dai ministri degli Esteri europei che pomposamente prevede la divisione di Gerusalemme in due parti e l’istituzione di uno Stato palestinese per il quale, addirittura «non si riconosce nessun cambiamento rispetto ai confini del ’67» a meno che non sia riconosciuto dalle due parti. Peccato che fra le due parti quella palestinese seguiti a rifiutare di sedersi a un tavolo e parlare. Questo, mentre Netanyahu ha bloccato la costruzione in qualsiasi parte del West Bank di ogni costruzione, spaccando così il suo Paese appunto sull’altare di un ritorno al colloquio: infatti è una decisione assai difficile se si pensa, e nessuno ci pensa mai in Europa, che il West Bank per tutte le guerre contro Israele, da quella del ’48 in avanti è stato il retroterra strategico essenziale. [...]
A Europe with this stance cannot mediate with Israel
Il Giornale, December 11 2009
And so Sweden got its resolution passed by the European ForeignMinisters: a bombastic document that - out of the blue – envisagessplitting Jerusalem in two parts and creating a Palestinian State with«no change at all with respect to the 1967 borders” unless the twoparties recognize such change. Now, unfortunately, of the two parties,the Palestinians are those still opposing sitting around a table totalk. Therefore the basic condition does not exists and this, even fora child, would be a fundamental requirement before venturing tovaticinate about one of the thorniest issues in the world. This is happening while Netanyahu has stopped any settlement in anypart of the West Bank, thus splitting its Country on the altar of theresumption of talks: in fact, it is indeed a very difficult decision ifwe think – and nobody in Europe ever thinks about it - that the WestBank has been the essential strategic background – the bunker, theshelter, the hideout – for all the wars waged by terrorists and armiesagainst Israel since the 1948. [...]
Ma la religione non c’entra: i minareti sono simboli politici
Il Giornale, 3 dicembre 2009
Per parlare della decisione svizzera di bandire i minareti, innanzitutto avvertirò che nei miei anni come corrispondente da Gerusalemme ogni notte, alle 4, ben prima del gallo, dalla valle sotto casa mia ho dovuto subire il canto del muezzin da una vicina moschea, e non lontano da lui, l’eco di molte altre voci simili. Mai, tuttavia, ho pensato che quel muezzin dovesse star zitto. Nel suo villaggio non canta per farsi sentire anche da me, ma per chiamare i suoi alla preghiera. Questa è libertà religiosa, e Gerusalemme la dà a tutti.
Pensare che laggiù cercasse di affermare un messaggio politico oltre che religioso significherebbe andare oltre ciò che è legittimo per una persona democratica, liberale, rispettosa della cultura, della religione altrui. Di fatto l’islamofobia, salvo per alcuni casi patologici, è un’invenzione dell’Onu quando nel 2004 il segretario Kofi Annan la definì ufficialmente causa della frustrazione di molti musulmani, senza dedicare una parola alla jihad che allora impazzava e ad altri immensi problemi. Infatti nella sua maggioranza l’Islam ufficiale, nei suoi luoghi d’origine e all’estero, non ha accettato la dichiarazione universale dei diritti umani, contrapponendovisi con altre come la Dichiarazione del Cairo che afferma «ognuno ha diritto a sostenere ciò che è giusto, e a mettere in guardia contro ciò che è sbagliato e malvagio in conformità con la Sharia islamica». [...]
But religion has nothing to do with it: minarets are political symbols
Il Giornale, December 3, 2009
As to
the decision by Switzerland to ban minarets, I would like first of
all to say that, in my years as a correspondent from Jerusalem, I had
to bear the Muezzin’s call from a nearby mosque every night at 4 a.m.,
much before the cock crow. And nor far away from him came many other
similar voices. However, I never thought that the Muezzin had to be
silent. In his village, he does not sing to be heard also from me, but
to call his followers to pray. This is religious freedom and Jerusalem
gives it to everybody. Thinking that, down there, he was trying to
convey a political message in addition to a religious one, would mean to
go well beyond what is legitimate for a person who is democratic,
liberal and respectful of other people’s culture and religion.
Actually, except for some pathological cases, Islamophobia is an
invention of the U.N. Indeed, in 2004, the U.N. Secretary General Kofi
Annan officially defined it as the cause of frustration for many
Muslims, without mentioning the rampant jihad and other huge problems.
In fact, in most countries of origin and abroad, the official Islam has
not accepted the universal declaration of human rights. But it has
responded with other initiatives such as the Cairo Declaration, which
states that “anyone has the right to support what is right and to warn
against what is wrong and evil in line with the Islamic Sharia”. [...]
L’Europa vuol dividere Gerusalemme in due per regalarla agli arabi
Il Giornale, 2 dicembre 2009
La proposta della Svezia, presidente Ue: «Una città, due capitali». Ma così si riconosce lo Stato palestinese. E si scatena la guerra.
RISCHI - Difficile pensare a una gestione liberale di quei luoghi da parte di chi adotta la sharia.
Dato che la sua presidenza della Unione Europea durerà fino al primo di gennaio, la Svezia fa di tutto per portare a casa più in fretta possibile qualche risultato eclatante, spingendo l’Ue verso inusitate sponde di palestinismo. Carl Bildt ministro degli esteri svedese, lo stesso che si rifiutò di dissociarsi dall’articolo del quotidiano Aftonbladet per il quale i soldati israeliani uccidono i palestinesi per commerciare nei loro organi, adesso ha preparato un documento svelato ieri dal giornale israeliano Ha’aretz. Sarà presentato la prossima settimana all’incontro dei ministri degli esteri dei 27 paesi dell’Ue: l’Unione Europea vi si pronuncia perché Gerusalemme sia divisa in due, insieme capitale israeliana e capitale palestinese.
Ecco come si risolve all’Europea una delle questioni più delicate del mondo: un documento, una spina per Israele, un piacere ai palestinesi, e niente di fatto. Pare che la Germania, l’Italia, e la Spagna non vogliano starci, e invece la Francia e l’Inghilterra sì. Il solito stile che ha portato l’Europa fuori di ogni rilevanza politica in Medio Oriente. Qui, è solo l’avventata conclusione di una trattativa ancora non iniziata e mille volte abortita. [...]
Un rapito vale mille criminali?
Il Giornale, 26 novembre 2009
Per assistere alla più espressiva parabola della condizione di Israele nel Medio Oriente, si può guardare in questi giorni al peggiore fra tutti gli affari possibili: lo scambio di un ragazzo innocente, un caporale dell’esercito israeliano che doveva aver sparato ben pochi colpi se non nel corso delle esercitazioni, tenuto in crudele segregazione dal giorno del rapimento nel giugno 2006, contro un branco gigantesco di delinquenti, 1400 prigionieri palestinesi condannati nei più rigorosi processi che sistema giudiziario possa garantire. Fra loro, almeno un centinaio di ergastolani, assassini seriali, killer volontari di donne e bambini.
Queste sono le ore in cui si decidono gli ultimi nomi, e Israele cerca di evitare che escano liberi i più fanatici assassini, quelli che probabilmente torneranno a uccidere. Ma Israele è soggetta a due forze straordinarie: la totale devozione alla vita che nasce dal dovere di sopravvivere e di salvare i ragazzi per i loro genitori; e dall’altra parte, il cinismo di un mondo che da sempre lo spinge a considerare naturale rinunciare, abbandonare, come se dovesse farsi perdonare. [...]
A kidnapped soldier worth a thousand criminals?
Il Giornale, November 26, 2009
On these days, to exemplify the parable of Israel's condition in the Middle East, you can look to the worst of all deals : the exchange of 1 innocent boy, an unexperienced Israeli army corporal, still held in cruel segregation from the day of the kidnapping in June 2006 by a gang of thugs, with 1400 Palestinian prisoners condemned by the most rigorous processes that can be ensured by justice. Among them, at least a hundred life convicts, murderers, serial killers of women and children.
Now is the time when definitive names are decided, while Israel is trying not to free the most fanatical murderers, those who probably will return to kill. But Israel is subject to two special extraordinary forces: total devotion to life and will of survival, saving the children for their parents and on the other hand, the cynicism of a world that always pushes Israel to consider giving up, as if it needed to make amends... [...]