Armi mute dopo 50 giorni. Ma la guerra non si ferma
Il Giornale, 25 novembre 2023
Non sono stati sonni tranquilli quelli nella Striscia: nel buio profondo del silenzio delle armi, dopo la liberazione dei primi ostaggi, i soldati di Israele e i terroristi di Hamas seguitano a fronteggiarsi. È un intervallo in cui tutto può succedere, i soldati avvertiti di conservare la massima allerta, sono rimasti tutti ai loro posti dentro il nord e sud di Gaza; i terroristi preparano in segreto le loro prossime mosse, qualsiasi gesto cinico e perverso è possibile. È sempre la guerra fatale nata da una strage mai vista dal popolo ebraico dal tempo della Shoah, e adesso giocata sulla pelle dei sopravvissuti, specie i bimbi piccoli, la carta preferita di Sinwar. Inutile illudersi: la tregua non è in vista, solo un ‘ intervallo legato agli ostaggi, non si sa per quanti giorni oltre i quattro fissati. L’interruzione delle operazioni di guerra è per Hamas un guadagno che però segnala una sconfitta strategica: contro le aspettative di Sinwar, che si aspettava un’operazione limitata negli scopi e nel tempo come per le guerre precedenti, Israele ha cambiato volto.
La decisione è stata quella di combattere una guerra di sopravvivenza che non consenta mai più a Hamas di conservare il suo potere sul territorio e la gente di Gaza. Fino ad ora il nord, centro decisionale strategico, è stato circondato, Sheik Jilin, Shati, Beit Hanun, Rimal e parte di Zeitun e Jabalia sono state conquistate. Le unità che le dominavano sono state eliminate, e così buona parte della leadership intermedia. I dieci battaglioni nel nord non esistono più. È difficile contare quanti dei membri delle 140 compagnie composte ciascuna da 100 armati sono stati cancellati, ma il panorama urbano è un incredibile spettacolo di devastazione, i rifugi, le abitazioni e le armi sono a pezzi. La ragnatela di tunnel sotto gli ospedali così da garantire la protezione di scudi umani, la grande invenzione di Hamas è stata in gran parte scoperta, e sgomberati di armi e di uomini. Prima del cessate il fuoco l’esercito ha fatto saltare gli ingressi per impedire che gli uomini di Sinwar tentino di tornare a prendere possesso del nord e dei loro covi.
Hamas ha chiesto di tornare a nord alla massa sfollata a sud dopo che Tzahal aveva chiesto di lasciare le zone di guerra; ci sono stati dei tentativi di tornare a nord fermati dall’esercito che ha fatto due morti. Sinwar ha dunque accettato lo scambio costretto da una clamorosa sconfitta sul campo, costretto anche a vedere indietreggiare gli amici che si aspettava intervenissero, dall’Iran agli Hezbollah a Assad fino agli iracheni che insistono solo nel bombardare le basi americane. Adesso Hamas cercherà di prolungare il silenzio e il divieto di sorveglianza aerea manipolando con la vita degli ostaggi il calendario e l’opinione pubblica israeliana e mondiale. Spera di riorganizzarsi e di spingere l’opinione pubblica internazionale sulla strada della tregua che consentirebbe all’organizzazione jihadista più pericolosa del mondo di restare in possesso di Gaza. Sinwar giocherà qualsiasi carta che serva a legittimare l’idea che occorre una tregua: ci saranno pesanti provocazioni per esporre Israele alla disapprovazione pacifista, azioni cosmetiche come quella di liberare 12 tailandesi, un regalo agli egiziani che sponsorizzano l’evento. Ma Israele, pure nell’indicibile emozione del successo, per niente scontato, nel mettere i cittadini al primo posto, specie i bambini sa che la maggioranza deve ancora tornare, e che i soldati restano per ora sulla sabbia di Gaza, finché Hamas non sia sconfitto.
Posticipi, rilanci e dubbi. È l'ultima tortura jihadista
Il Giornale, 24 novembre 2023
In arabo, dice Harold Rhode che ha lavorato molti anni al Pentagono come esperto del mondo islamico, si chiama “shamatah”, un concetto che esprime lo speciale piacere che deriva dal vedere un altro essere umano soffrire. Hamas ne sa qualcosa, il suo gioco non conosce limiti: dopo il pogrom del 7 di ottobre che aveva lo scopo preciso di gettare in uno stato di shock e lutto mai conosciuto prima lo Stato Ebraico, adesso pizzica con sadismo tutte le corde di una società occidentale che è forte militarmente, ma molto fragile nella sua concezione degli affetti e nella sua aspirazione alla pace. Ama la vita quanto Hamas ama la morte, come dicono loro stessi. Il gioco psicologico è durissimo. Israele in queste ore vive un’altra fase di attesa come quella che nelle ore della sera di mercoledì, a tarda notte ha portato alle lacrime ogni famiglia in agonica attesa degli ostaggi, da quelle dei bambini di pochi mesi a quelle dei vecchi nonni. Adesso, mentre l’ironia della storia lo travestiva da diplomatico dai modi cortesi, il portavoce del Qatar, mallevadore dell’accordo e migliore amico di Hamas, di fronte alle famiglie che aspettano i loro cari e a tutta Israele, ha disegnato il nuovo momento della liberazione di 13 dei suoi, donne e bambini, dice Hamas, contro lo stesso numero moltiplicato per tre di detenuti palestinesi, per quattro giorni. Il vecchio accordo, si è detto, forse è saltato perché Hamas ha rifiutato a Israele che la Croce Rossa possa visitare tutti gli ostaggi.
Ma l’uomo con la Kefia ben stirata ha anche consegnato un messaggio molto chiaro: dopo i 4 giorni stabiliti, ha detto, se vorrete andremo avanti fino a un cessate il fuoco definitivo. Il sottinteso: così Hamas resterà a Gaza, e non verrà distrutto. Queste alternative disegnano per Israele grandi difficoltà, drammatiche scelte. Su oggi, Israele è cauta, contratta: alle 7 col cessate il fuoco, dopo i camion pieni di benzina e di generi vari al nord e al sud della Striscia, si aspettano i bambini a Rafiah. Ma sarà poi vero? Tutto andrà come stabilito? Alle 4 verranno consegnati i cittadini? I loro nomi, noti da molte ore, pure per prudenza restano segreti. Qualcuno teme addirittura che Hamas abbia dato una lista fasulla e che il precedente stop sia stato programmato. Potrebbe esserci un nuovo inciampo fatale in programma. Tutte le famiglie, anche quelle non in lista, hanno ricevuto un messaggio che dice quale sia la loro sorte, e prega di non credere alle fake news. Il gioco dei nomi ha tormentato il paese con sussurri e grida. Dopo i 50 prigionieri, forse gli scambi continueranno: ma la guerra non verrà fermata, solo interrotta, ripete la leadership israeliana.
Nessuno desidera fermare l’esercito: tuttavia i soldati adesso resteranno nella Striscia per un tempo imprevisto, potranno rompere la tregua solo in immediato pericolo di vita, e saranno molto più fragili di fronte alla possibilità, che come ha fatto durante altre tregue, Hamas approfitti per tentare di colpire, rapire, fare esplodere la situazione se gli conviene, sempre fidando sugli ostaggi nelle sue mani come elemento di deterrenza. Da una parte quindi Israele è preoccupato di dovere contenere le trappole di Hamas, e dall’altra di non cadere in una tregua indefinita. Israele sa che deve concludere la guerra con l’eliminazione di Hamas. Sa che anche Biden spingerà per ottenere una situazione di pace. Sa che l’Europa lo farà. Non capiscono che sono in pericolo se, dall’Iran a Hamas, agli Houthi agli Hezbollah, non si ristabilisce una situazione di deterrenza contro il terrorismo che parte da Gaza.
The Rome-Jerusalem Summit's 10 Principles for Combating Global Antisemitism
SAVE THE DATE Convegno "Rome-Jerusalem Emergency Summit on Global Antisemitism"
Oggi lo scambio fatale. L'angoscia e la speranza
Il Giornale, 23 novembre 2023
Hai caldo? Hai freddo? Hai sete? Vieni da me, tranquillo, sei in mano sicure, sono israeliano, ti posso prendere in braccio? Posso abbracciarti? Queste frasi, con altre istruzioni, sono scritte su un foglio da imparare a mente, consegnate ai soldati che oggi riceveranno i bambini e le donne dopo 48 giorni di prigionia nelle mani di Hamas. Ambulanze, assistenti sociali, ospedali, psicologi, elicotteri, macchine della croce rossa, soldati sul campo che dovranno accogliendo la tregua badare a che non serva per ulteriori agguati, tutto si prepara all’evento. Fino al porto sicuro dell’incontro con la famiglia. È un’agonia illuminata dalla speranza per chi torna e per chi li accoglie. Ma quanta ansia. I parenti del gruppo che verrà liberato sono stati avvisati un’ora prima del pubblico. Ma è anche per loro, i fortunati, la domanda se davvero Hamas ha intenzione e persino, come ha avvertito furbescamente, la possibilità di consegnare le persone in lista.
E poi: in che condizioni arriveranno i prigionieri, i bambini piccolissimi? Saranno malati, scheletriti come lo era Gilad Shalit? Vorranno subito la mamma benché la mamma sia stata uccisa, ed essi lo ignorano? Quanto può esser concesso a un’organizzazione terrorista come Hamas di torturare il popolo di Israele? Eppure nelle ore in cui si preparava per oggi lo scambio della prima tranche dei 50 ostaggi, bambini e donne nelle mani di Hamas con tre volte tanti terroristi, donne e giovani, si è assistito all’ennesima tortura contro Israele, stavolta non fisica come il 7 di ottobre, ma psicologica: i genitori in piazza a Tel Aviv, negli alberghi dove vivono oggi i profughi della strage, hanno aspettato insieme per vedere se il nome dei loro cari è nella lista degli ebrei destinati allo scambio.
Verso le 5,30 dal Qatar è arrivato l’annuncio che Hamas avrebbe fornito la lista di tutti e 50 gli ostaggi da restituire tramite corridoi sicuri, trasportati dalla Croce Rossa. Una mamma disperata intervistata ha espresso quello che passava per la mente dei parenti in queste ore: “Mio figlio ha 25 anni, di certo verrà escluso dalla lista, ma credetemi, mio figlio è ancora un bambino anche lui, è il mio bambino”. La tragedia biblica della scelta di questi primi esseri umani che oggi saranno scambiati mentre si svolgono i quattro giorni di tregua previsti, è piena di imprevisti: Sinwar può tendere trappole di ogni genere pur di fare una strage di soldati, sarebbe la sua gloria. Ma in queste ore Israele si prepara a fare uscire dalle due carceri maschili per terroristi, Megiddo e Ofer, e da quello femminile, Ramon, tre prigionieri per ogni liberato israeliano, fino nella prima tranche di 150, divisi in quattro giorni. Sono 300 terroristi che hanno le caratteristiche richieste: non hanno ucciso, sono una ottantina almeno, ma hanno tentato di uccidere; molti saranno liberati non a Gaza, ma a casa loro, nel West Bank, a pochi metri dalle persone cui hanno sparato.
Ma Israele ha dato la sua parola: non li arresterà finché non violeranno di nuovo la legge. Tutti tuttavia ricordano che fra i più di mille liberati in cambio di Gilad Shalit, c’era anche Sinwar: giurò che avrebbe liberato tutti i terroristi nelle prigioni. Sinwar qui ottiene anche il tempo di cui ha bisogno per le armi, gli uomini, i nascondigli sotterranei; per sei ore al giorno i droni non potranno volare. L’intenzione di Sinwar è allungare la tregua con altri ostaggi a prezzo più alto via via quando si tratterà dei soldati. Israele ha adesso il compito che Netanyahu ha chiarito nell’annunciare che il carattere democratico e umanitario di Israele impone di non lasciare indietro nessun cittadino, per un bambino poi si paga qualsiasi prezzo: e tuttavia, appena concluso lo scambio tornerà alla guerra, alla distruzione di Hamas. La decisione è quella di passare dal nord della Striscia al sud, dove la rete delle gallerie e la fuga della gente dal nord ha assemblato la prossima sfida.
Israele accetta lo scambio che strappa i bambini a Hamas
Il Giornale, 22 novembre 2023
Il popolo d’Israele adesso può finalmente aspettare a casa la piccola Avigail Idan, tre anni e mezzo: la vede già, nell’immaginazione, con gli altri bambini, fuori delle rovine di Gaza. Cammina verso ciò che le è rimasto in questo mondo ma non sono i suoi genitori: davanti ai suoi occhi, quel sette di ottobre sono stati trucidati da Hamas. Tuttavia forse verrà a casa, e sarà abbracciata. Donne e bambini, secondo l’accordo, saranno 50 contro 150 palestinesi: gli israeliani saranno in gruppi di dieci-dodici distribuiti su 4 giorni di tregua, in cui Hamas riceverà in cambio i suoi donne e ragazzi in prigione (giovani terroristi, in sostanza), benzina, cibo, e soprattutto tempo per riorganizzarsi, fuggire, sistemare i missili e gli esplosivi. Gli ostaggi saranno l’ombra di ciò che erano, stupefatti, malati, stanchi, forse per sempre feriti nel corpo e nella mente, specie i più piccini. Non è chiaro se i figli e le mamme saranno insieme quando escono dalle mani di Hamas, 210 dicono loro, e 30 in quelle della Jihad Islam. Già Sinwar intorbida le acque fa sapere che di alcuni non si sa dove siano, chissà dove sono andarti a finire. Nel buio delle gallerie? Presso qualche banda di criminali complici della strage per divertimento e proventi?
Affidati a famiglie adesso al sud? Ogni possibilità sarà una buona ragione per rimandare, imbrogliare, approfittare, Sinwar costruisce qui una storia infinita di promesse e imbrogli, per spezzare il morale di Israele e guadagnare tempo. Mentre Israele pensa uno ad uno ai volti dei propri cari, e già si contorce su chi sì e chi no, Sinwar già fa circolare un altro numero, 80 ostaggi, e quindi altri da scambiare dopo i 50 previsti per prolungare la tregua di giorno in giorno. Il suo calcolo prevede che lo scontro fra le famiglie dei rapiti su cui si tratta e quelli, come i soldati, che Hamas terrà fuori, metta Israele in uno stato di rottura e di pena fino a una crisi interna, capace di investire anche l’esercito, i ragazzi che combattono fianco a fianco sulla sabbia di Gaza. Il loro lavoro quotidiano è già costato 70 vite del fior fiore della gioventù israeliana, dopo la strage di più di 300 soldati nell’ambito dei 1400 uccisi il 7 ottobre: ma la loro determinazione a vincere insieme, ha travolto Hamas molto oltre le aspettative di Sinwar.
Il piano era infliggere a Israele un colpo letale e riceverne in cambio soltanto una delle consuete sventole, un’operazione come quelle precedenti che avrebbe lasciato in piedi il regime dell’organizzazione terrorista peggiore dell’Isis. Non è andata così: la decisione strategica di Israele è stata quella di combattere fino in fondo una guerra indispensabile a sopravvivere. La comprensione dell’aut aut che un vicino come Hamas pone allo Stato Ebraico, la minaccia letale ha portato a occupare il nord della Striscia, scoperchiando e distruggendo il cuore della forza di Hamas, le gallerie sotto gli ospedali, gestendo con capacità la delicata operazione anche di fronte alle proteste internazionali, mentre Hamas faceva della gente un gigantesco scudo umano e Israele dimostrava che gli Ospedali erano la fortezza di Hamas. Hamas non se l’aspettava: l’Iran, il suo patron, ha dichiarato che con quella guerra non ha niente a che fare scioccato dall’accerchiamento degli amici in cui ha investito buona parte del suo sogno di distruggere Israele. Adesso, se Hamas immagina che dopo l’interruzione eventualmente prolungata fino a che ci saranno altri ostaggi da scambiare col tempo per rimettere in sesto i lanciamissili, Israele mollerà la presa e magari si avvierà a un cessate il fuoco definitivo. Non avverrà. Hamas non capisce Israele, lo immagina occidentale, morbido, spaccato.
Dice che è innamorato della vita quanto gli shahid amano la morte: è vero. Ma sottovaluta la nuova unità, nata con lo Stato d’Israele e molto forte dopo il 7 di ottobre: la determinazione a combattere per la vita del popolo ebraico tante volte messa in forse dalle persecuzioni e dall’antisemitismo è totale. La guerra si interromperà forse giovedì per far tornare Avigail, ma durerà fino a quando SInwar non sarà sconfitto.
Ore drammatiche per la sorte degli ostaggi
Il Giornale, 18 novembre 2023
Ancora non c’è una decisione sullo scambio, il gabinetto di guerra in Israele si interroga sulla sua realtà, sui rischi e i vantaggi: un patto con Hamas non è una stretta di mano fra gentiluomini, specie se garantito dal Qatar. Ma l’esasperazione è alle stelle. “Voi chiedete pazienza, dopo 42 giorni noi non ne abbiamo più! Viviamo in un incubo, avete la responsabilità del ritorno dei nostri cari. Decidete per una parte, per tutti, decidete qualcosa che ci riporti a casa i nostri cari!”. È stata una delle esclamazioni furiose raccolte ieri dal ministro Miki Zoar in visita ai parenti degli ostaggi nelle mani di Hamas.
Dalle ceneri rosse di sangue dei kibbutz, mentre il plotone 12 del battaglione Golani dentro Gaza occupava, dopo aver perduto dall’inizio della guerra 72 dei suoi, lo spiazzo da cui erano partiti l’8 ottobre i terroristi, sull’autostrada che porta da Tel Aviv a Gerusalemme si svolgeva un altro capitolo fondamentale, basilare, della guerra: quello per riavere a casa i 239 ostaggi rapiti da Hamas.
Seimila persone stanno da giorni compiendo una via dolorosa, una marcia che da un urlo per rivedere i nipotini, i figli, i coniugi e i nonni prigionieri diventa esasperazione politica e si concretizza nella richiesta dei partecipanti, di accogliere qualsiasi proposta, non importa se limitata, incerta, non interessa se riferita solo a un gruppo di età o di qualsiasi altro genere… l’importante è rompere il silenzio: dopo 42 giorni di agonia i parenti dei rapiti, e con loro tutto il Paese, vogliono che qualcosa di questa insopportabile situazione si muova.
Ma in questo abilmente Hamas ha posto un’altra enorme carica esplosiva per il futuro di Israele. La proposta di Hamas negli ultimi due giorni si è stabilizzata su 50 ostaggi, donne bambini e donne anziane (si dice) contro 150 prigionieri delle carceri israeliane, donne terroriste e cosiddetti bambini, che sono in realtà giovani terroristi. Punto centrale dello scambio anche la tregua, che Hamas vuole pari a cinque giorni, e per ora starebbe a tre giorni da parte israeliana. Inoltre un’altra richiesta vorrebbe che durante la riconsegna, non si sa in quante rate, e dove, e a chi, Israele rinunciasse a qualsiasi sorveglianza che scopra le postazioni di Hamas, i suoi nascondigli segreti.
Ci sono molti dilemmi nella proposta di Hamas, e Sinwar sa bene di stare semplicemente tentando di interrompere le operazioni militari che stanno distruggendo il suo potere. Per farlo chissà quante trappole ha messo sulla eventuale restituzione degli ostaggi, per esempio una rateizzazione infinita, gestita da lui. Ma per Israele il recupero degli ostaggi è una componente fondamentale della guerra in corso.
Non si sa quanto sia direttamente legato a questa situazione, ma ieri con decisione molto drammatica, si è deciso di consegnare a Gaza 1300 litri di gasolio. Il gabinetto non è concorde su questo. È tutta energia che lungi dall’essere utilizzata per i cittadini, dato che a Hamas della crisi umanitaria non importa niente, servirà per rimettere in sesto le gallerie tana di Hamas e altri strumenti strategici della sua organizzazione.
Il governo sostiene che si tratta di una decisione che non danneggerà le operazioni di guerra, dovuta alla necessità di non danneggiare i cittadini innocenti, di rispondere alle richieste internazionale. Il consigliere strategico di Netanyahu, Tzachi Hanegbi, dice che la guerra continua finché non siano eliminati tutti i responsabili dell’aggressione a Israele. L’ingresso della benzina è stato criticato anche da ministri molto vicini a Netanyahu, può danneggiare il morale dei soldati che combattono in condizioni difficili: ma Israele risponde incoraggiandoli a combattere e nega anche per ora ci sia un accordo. Aggiunge però che un eventuale interruzione del fuoco, sarebbe breve, molto breve.
Ma le famiglie sono disperate: insistono che un accordo ne porterà un altro. E una delle domande più drammatiche che lungo la strada sono state fatte a Zoar, è se le due rapite che sono state ritrovate morte, non siano state forse uccise da fuoco amico. Questo contraddirebbe quanto ha ripetuto anche ieri Tzachi Hanegbi a nome del governo: la guerra, portata ha detto, senza ledere i malati e i medici e agendo perché i cittadini sgomberino dalle zone di guerra verso il sud, aiuta a salvare i rapiti. Anzi quanto più è decisa tanto più possiamo sperare nella loro salvezza. Tutti punti di dubbio, di rottura, di angoscia, in un Paese che più di tutto in questo momento ha bisogno di unità, e i cui ragazzi combattono ogni giorno.
Hamas attacca, obiettivo Gerusalemme
Il Giornale, 17 novembre 2023
Doveva essere un altro attacco atroce, sullo stile del 7 di ottobre, questa era certo l’ispirazione; Hamas aveva programmato una grande giornata di terrore in tutta Gerusalemme. Sulla strada delle gallerie, che si innesta dal Gush Etzion in città tre terroristi armati di fucile hanno ucciso un soldato di vent’anni che ha difeso gli astanti col suo corpo, e ferito altre cinque persone. La strada proviene da Hebron, da Betlemme, si innesta su molte località palestinesi. Quando i soldati al check point hanno fermato la Skoda bianca mascherata con una targa gialla, vistisi smascherati sono saltati fuori e hanno sparato facendo 6 feriti. Una guardia di 20 anni Avraham Tutena è rimasta a terra; mentre ancora si dava la caccia ai tre terroristi, una ragazza di 25 anni, Talia Diker, paramedico dell’esercito, è uscita dalla sua auto avventurandosi per tentare la respirazione artificiale. Ma il gesto generoso è stato vano. Tutena è morto poco all’ospedale.
Nel portabagagli dei terroristi si scoprivano mitra, asce, divise israeliane, caricatori sufficienti per una grande strage a Gerusalemme bloccata solo dalla determinazione dei soldati. Secondo il classico martirologio degli shahid, insieme alle armi c’era una riserva di datteri e latte. I terroristi venivano da Hebron, la capitale del terrorismo di Hamas nell’Autorità Palestinese, e uno dei tre, Abdel al-Qadr al-Qawasmi, era il figlio di un famoso capo della stessa organizzazione che aveva fatto centinaia di morti in Israele durante la seconda Intifada, Abdallah al-Qawasmi, eliminato nel 2003. Un’azione carica di simboli per dire alla gente d’Israele: stiamo arrivando anche da voi. La novità consiste non nella ovvia rivendicazione di Hamas, collaterale all’azione di Gaza, ma nel mucchio di armi che denuncia un’ambizione larga e di lunga durata, e nella provenienza geografica.
Infatti Jenin è stata la casa madre degli attacchi che si sono succeduti uno dietro l’altro negli ultimi tre anni, non un’equa distribuzione fra Hamas, Jihad Islamica, Brigate di al-Aqsa, e la nuova “Lion Den”, la fossa dei leoni. Solo nell’ultimo mese ci sono stati quattro attentati letali, e prima, lungo il 2021, ‘22, ‘23, l’assedio nelle strade, nei caffe, alle fermate degli autobus ha fatto decine di morti…impossibile elencarli tutti, solo qualche esempio tre morti a Beersheba nel mall, (marzo ‘21), 4 per le strade di Bnei Berak (sempre marzo), tre a Tel Aviv al caffè (aprile ‘22) 7 a Neve Yakov (nel gennaio 23) 3 a Ramot, 2 a Hawara… molti spezzano il cuore come la mamma con due figlie il 7 aprile di quest’anno nella valle del Giordano, l’uccisione del nostro turista italiano nel giugno, l’assassinio di due fratellini di sei e otto anni nel febbraio alla fermata dell’autobus … Il terrorismo del West Bank, è pericoloso come quello di Hamas a Gaza, perché il regista è lo stesso: l’Iran e Khamenei. La sua strategia gli fa affermare che “la chiave della crescita della resistenza che metterà Israele in ginocchio è l’West Bank”. Hossein Salami, il capo delle Guardie rivoluzionarie ha lodato l’”esercito” palestinese dell’West bank, e certo lo seguita a rimpinzare di armi, come Hamas e la Jihad Islamica.
Anche tre residenti di Est Gerusalemme arrestati ieri probabilmente fanno parte del disegno. Dal 2005, ultime votazioni, Abu Mazen non ha mai più voluto andare alle urne: gli sarebbe servito solo a misurare la sua debolezza di fronte al vincitore, Hamas. Così, ha cercato di batterlo nel modo più sbagliato, con la concorrenza: invece di rendere solida la sua alleanza militare con Israele l’ha indebolita con una cultura dell’odio che alleva giovani Shahid pronti a passare a Hamas, e ha continuato a conferire ai terroristi stipendi per 170milioni di dollari l’anno. Teheran si è data cura di riempire l’West Bank di armi di tutti i generi, fucili automatici, missili con cui ormai si spara anche dentro la linea verde, droni. Sono queste le armi ritrovate dentro l’auto che doveva dare il via a un altro eccidio. Quando il presidente Biden, in buona fede, parla di “due Stati per due popoli” dovrebbe spiegare chi è l’interlocutore.
Le famiglie degli ostaggi fra speranza e ansia per la difficile trattativa
Il Giornale, 16 novembre 2023
Nel corso della serata di ieri, la proposta di Hamas si è fatta insistente: fra i 50 e i 100 rapiti da Israele, bambini e mamme e forse nonne, contro un numero per ora imprecisato di prigionieri nelle carceri di Gerusalemme. Si tratta comunque di terroriste donne e di ragazzi terroristi in carcere. Di donne ce ne sono, dietro le sbarre, 194, di ragazzi sotto i 16 anni 12, sopra i 16, 156. Difficilmente Israele potrà rifiutare una proposta che tocca il cuore di Israele e di tutto il mondo, e su cui Biden ha insistito anche ultimamente chiedendo di impegnarsi.
Ma ci sta pensando e chi sa se le difficoltà saranno superabili: è una trattativa che richiede una enorme attenzione alle trappole, ai giochi di Hamas, alla perfidia di Sinwar che solo due giorni fa ha lasciato scoprire che una ragazza, Noah Marziano rapita, era stata uccisa. Hamas vuole certo tenere coperte le sue carte, i segreti di dove nasconde gli ostaggi, e quindi può avere chiesto che non usino mezzi di ricognizione, come i droni, durante le operazioni di consegna e altri mezzi di sorveglianza.
Vuole potersi muovere senza impedimenti fra il nord e il sud di Gaza, e quindi in pratica usare tutte le vie di fuga e di riorganizzazione. Le famiglie dei rapiti fremono. Noa Ofek vorrebbe andare dentro Gaza a prendere i suoi cari, è uno dei sogni nati nel dolore: “Tutto il gruppo di famiglie dei rapiti vorrebbe marciare là dentro, e riportarli a casa tutti insieme: è questa la nostra richiesta, tutti e subito, a ogni costo… sono 40 giorni senza i bambini, le mamme, i nonni, l’amore della nostra vita… non sappiamo se sono vivi o morti, al buio delle gallerie, dentro case e rifugi introvabili… mangiano? Dormono? I malati, i vecchi, hanno le medicine? E i bambini, che ne è di loro?”.
La sorte ha messo insieme un esercito dolente di familiari e amici che attraversa a piedi Israele, vecchi e passeggini, fino all’ufficio del primo ministro. La prima proposta era stata 50 contro 50 più tre giorni di tregua. Ma è vero? È un bluff? Un tentativo di spaccare Israele? Le famiglie hanno sempre detto che pretendono l’unità, che sarebbe sbagliato accettare offerte parziali, per i passaporti stranieri o per un gruppo specifico mentre un altro resta abbandonato nelle mani dei barbari.
Ma Sinwar non accetterà mai di scambiare in blocco il suo maggiore scudo umano, la sua assicurazione sulla vita. Noa, un’insegnate per bambini con problemi, ha tre persone nelle grinfie dei terroristi, suo cugino Ravid la cui ultima bambina di 5 mesi, Alma, è salva con la mamma perché ha saputo tacere 6 ore mentre i terroristi assediavano il nascondiglio; e un’altra cugina più lontana, Oron, rapita insieme alle due bambine, Aviv di 4 anni, Raz di 2. “Ha descritto al telefono minuto per minuto, chiedendo aiuto, l’assedio, i terroristi in casa, il momento in cui l’hanno afferrata, caricata con le bambine su un camion… Abbiamo ritrovato nei film dei terroristi il momento spaventoso, mentre col corpo protegge una delle due bambine. Suo marito Gadi, ha localizzato il telefono e ha visto che la portavano dentro Gaza”.
Adesso, dopo 41 giorni di lontananza e silenzio rotto da ipotesi vane, ieri è stata una giornata di voci: le povere famiglie delle 239 persone innocenti, neonati, bambini piccoli, nonni, madri padri e fratelli, e persino di una creatura nata in prigionia di cui si sa solo questo, che la madre ha partorito, si interrogano sui possibili 70-80 ostaggi contro i prigionieri. Quali? Si tratterebbe di donne e bambini contro donne in carcere e “bambini”, di fatto giovani terroristi nelle carceri israeliane.
Si tratta di capire se la proposta è vera, e se Hamas manterrebbe la promessa? Avverrebbe in una volta? A fasi di ricatto successivo? Chi si considera “bambini? Chi garantirebbe il passaggio da Hamas a Israele? Dall’accerchiamento dell’ospedale di al-Shifa sotto il quale si trovano il quartier generale di Hamas, l’offerta si è spostata da 50 a circa 100 ostaggi. Sinwar gioca la trappola mediorientale dell’astuzia, ma Israele stavolta gioca duro.
“Noi sappiamo che senza la restituzione dei nostri cari, non ci sarà vittoria vera -dice Noa- A volte sono così stupefatta che ci sia chi nelle piazze d’Europa, osa associare l’idea di libertà con un’organizzazione che infligge anche ai suoi un regime feroce”.
Come fa a sopportare la sofferenza di questa tortura?
“Mi impongo dei pensieri quieti: per esempio, le bambine in casa di una donna palestinese che vede come sono belle e dolci, e prende cura di loro. La notte è difficile. Di giorno, siamo occupatissimi: May, una cugina di 24 anni, ha organizzato tutta la famiglia. Adesso marciamo verso Gerusalemme”.
Fra i soldati ventenni dopo settimane di lotta. "Combattiamo anche per i palestinesi, mai più terrorismo"
Il Giornale, 15 novembre 2023
La base di Zikim sulla riva del mare, confina con uno dei kibbutz straziati da Hamas. Il traffico continuo di tank, Namer (tigri), veicoli corazzati, di scavatrici che scoprono le gallerie dei terroristi, ruggisce sulla sabbia di gaza. È un via vai di ragazzi dall’aria intensa, l’apparente confusione è un succedersi di operazioni. I paracadutisti che incontriamo per primi finalmente bevono una bibita: ieri hanno fatto la doccia e mangiato dopo nove giorni nella Striscia dormendo qualche ora per terra e mangiando noccioline, conquistando posizioni ormai su tutti i giornali del mondo: le gallerie piene di armi, gli asili zeppi di missili, il Parlamento, la polizia di Hamas. Israele avanza, dagli ospedali ormai si assiste a sgomberi verso il sud dopo che è stato chiaro che Israele non avrebbe accettato che restassero in funzione come rifugio della leadership di Sinwar: “Non ho avuto tempo di telefonare alla famiglia. Lo so dovrei” -ride Shon, 24 anni- “Siamo riserve, ma perfettamente allenati. Ero a Tel Aviv, lavoro nelle start-up”. Ma… via di corsa, appena ha chiamato il comandante. Abbiamo subito combattuto nei kibbutz invasi. È indicibile quello che hanno fatto ai bambini e alle famiglie… cosa sento? Che non permetteremo che accada mai più. “A Gaza, spero, ci sono anche persone normali. Siamo qui per liberare anche loro” Erwin è tornato dall’India: “Ovvio, con orgoglio: si sa che si può morire, ma lo scopo è più grande di noi. Non c’è scelta, non subiremo un attacco come quello del 7 ottobre”. È con amore pratico e diretto per “la patria”, moledet, per la casa, la famiglia, tutti valori che in Europa sono difficili persino da pronunciare. Adesso nella parte nord di Gaza l’IDF ha catturato le basi più importanti del governo di Hamas a Sheick Ijlin e a Rimal dopo dure battaglie e consentendo corridoi umanitari verso il sud. I soldati uccisi dall’inizio della guerra sono 46, un prezzo che si aggiunge a quello degli 1400 assassinati dei 239 rapiti e dei più di 300 uccisi il 7 ottobre.
La determinazione dei soldati ha al centro la distruzione del gioiello della difesa di Hamas, le gallerie sotterranee. Quelle connesse con l’ospedale Rantisi rivela al mondo l’uso delle strutture umanitarie come scudo e retroterra, esce fuori dalle fondamenta una stanza con una delle motociclette del ratto, biberon e diapers, oggetti probabili dei rapiti, e una lista dei sorveglianti. Parlamento, governo, centrale di polizia, tutto è nelle mani di Israele. Ne è fiero all’ospedale Ichilov, ferito in battaglia Daniel 21 anni, pianista per l’esercito, tiratore scelto e infermiere: “Mi sono ritrovato nudo dopo il colpo che mi ha preso alla schiena e alla testa. Accanto a me il mio migliore amico sanguinava. Stordito, ho sentito urlare ‘infermiere, infermiere’, ma l’infermiere ero io, lui sanguinava, l’abbiamo salvato, ora è accanto a me qui all’ospedale. Ho danni a un orecchio, alla testa, sono bruciato sul braccio e sul corpo... ma muoio dalla voglia di tornare dalla mia unità. Io mi fido del mio lavoro di infermiere, c’è bisogno di me. Siamo un corpo unico: condividiamo il sacco a pelo e l’ultimo panino”. Alla base, appena rientrato, un paracadutista di 30 anni Shahar racconta: “Il 7 ci hanno mandato nei kibbutz direttamente, appena arrivati a Be’eri, a Alumim, abbiamo sbattuto la faccia nel sangue, i morti per terra, gli orrori e un numero enorme di terroristi.
Ho perduto là un mio amico carissimo, il cui corpo è stato ritrovato solo dopo una settimana. Entrare a Gaza a combattere è la cosa più naturale. Sono stato ferito alla schiena e alla testa. Ma ho chiesto di tornare prima possibile: i miei nonni erano sopravvissuti della Shoah, mio padre ha combattuto nella Guerra del Kippur. Never again e adesso, è il mio turno. So che a un ragazzo italiano può sembrare strano. Ma farebbe lo stesso se la sua casa, la sua ragazza, fossero a 10 chilometri da qui: se ci mostrassimo deboli, Hamas cercherà di farci di nuovo a pezzi, nei kibbutz non si potrebbe tornare a casa. Mi fa rabbia che nel mondo non si tenga per noi: facciamo di tutto per salvare la popolazione civile, Hamas la usa come scuso umano. Mia madre porta la gente di Gaza all’ospedale in Israele. Offriamo incubatrici agli ospedali che nascondono i leader terroristi… che altro ci si aspetta da noi?”.