Il no della Livni a Netanyahu
Il Giornale, 23 febbraio 2009
Incontro all’Hotel Inbal nel pomeriggio gerosolimitano, una specie di convegno sull’uscio di casa, niente pompa e circostanze come quando si va al King David. La situazione infatti è fluida, incerta. Bibi Netanyahu, incaricato da Shimon Peres di formare il governo, ha offerto a Tzipi Livni (che di seggi ne ha 28, mentre lui 27, ma anche la possibilità accertata di formare un governo di destra) piena partnership, stesso numero di ministeri fondamentali. E lei, durissima, ha spiegato ai giornalisti fuori della porta che, se Kadima venisse bloccata sulla strada della pace da un governo con Netanyahu, che senso avrebbe farne parte? Meglio restare all’opposizione, ripete, del resto ve lo avevo già annunciato. E fa vedere le lettere e i telegrammi di centinaia di membri del partito, sindaci, leader, che le chiedono di andare all’opposizione. Dunque, tutto concluso? Non si può ancora dire.
Guardiamo bene lo sfondo. Netanyahu non ha nessun desiderio di formare un governo di destra. Nel '96, quando era primo ministro, ha già pagato prezzi altissimi ai settler che non lo lascerebbero fare il minimo sgombero, alle famiglie delle vittime del terrorismo che chiedono senza tregua severità e sicurezza, si ricorda bene che quando era al governo a detronizzarlo furono le trappole interne e le proteste di piazza della destra che lo odiava per aver ceduto Hevron ad Arafat e per avere firmato con lui accordi a Wye Plantation. Si ricorda anche che quando Sharon decise per lo sgombero di Gaza, è stata la destra a trattarlo da traditore e vigliacco fino alla scissione del Likud, senza pietà. Bibi sa che, come diceva Sharon, “ma she roim mi khan lo roim mi sham”, quello che si vede da qua non si vede da là e che anche se l’Iran ha completato il programma di costruzione della bomba, Hezbollah spara dal Libano, Hamas giura la distruzione di Israele, pure il terreno della trattativa non può essere chiuso.
Ieri sembrava tutto contento di apparire insieme a Joe Lieberman, senatore americano democratico, e di affermare insieme che il governo israeliano ha gli stessi intenti di pace di quello di Obama. Bibi sospetta fortemente che la Livni non voglia entrare nella sua ombra, e che non ce la farà a convincerla, ma fino all’ultimo farà qualsiasi proposta perché sia Tzipi a portarne la responsabilità e la stampa e la tv cominciano ad appoggiarlo: Tzipi, non esagerare col tuo ego, tenta, la situazione è grave, porta il tuo contributo di esperienza internazionale e di rapporto con i palestinesi a Netanyahu, il Paese ne ha bisogno, scrivono gli editorialisti.
E che cosa pensa la Livni? Anche ieri Tzipi ha ripetuto il suo mantra. Se entriamo in un governo con Bibi, dice, addio alle prospettive di continuazione dei colloqui con Abu Ala iniziati al tempo della preparazione di Annapolis. Certo, allora Hamas non era ancora così forte, forse parlare di due stati per due popoli invece che di due stati per tre popoli, incluso quello di Gaza, appariva più realistico. Ma io mi sono impegnata nella Road Map, sulla via di Annapolis, e ora che è arrivato in zona un mediatore come George Mitchell a nome di un presidente determinato alla pace come Obama, non voglio perdere l’occasione di fare la mia parte in questa nuova fase e di fare passi avanti nel processo di pace.
Così pensa Tzipi Livni, convinta che Netanyahu non verrà mai con lei sul terreno di Annapolis, dato che definisce la fase attuale dello scontro soprattutto in base al pericolo iraniano e che con i palestinesi vuole rapporti soprattutto economici finché non abbiano costruito strutture affidabili di governo democratico. Una disputa definitva e insuperabile? Bibi farà di tutto per rassicurare Kadima. E in queste ore, molti degli uomini più importanti di Kadima, come Shaul Mofaz, ex capo di Stato maggiore e ministro della difesa, Dalia Ytzick, presidente della Knesset, Haim Ramon, anima di sinistra del partito, spingono tutti insieme a entrare in casa Netanyahu senza paura e senza troppi sogni in testa. Sono tempi duri ripetono, samo in pericolo, chi spiegherà alla gente perché non ci stiamo quando Bibi ci offrirà di contare moltissimo e quindi anche di stabilire in parte la linea politica? Dunque, chiedono in coro a Livni, vuoi che si dica che hai sacrificato tutto al tuo desiderio di vedere il prossimo governo crollare presto, così da diventare il prossimo primo ministro? Tzipi, ci pensa in queste ore.
Quando si parla di Medioriente, bisogna sempre avere cura delle parole che uno esprime, dato che il tema è molto delicato. Io sono convinto che questo è il momento peggiore per israeliani e palestinesi di continuare a parlare di colloqui di pace quando il popolo palestinese non è unito e quindi che non può decidere insieme. La presidenza Obama dovrebbe impegnarsi per assicurare ai palestinesi la riunificazione del loro popolo sotto un'unica bandiera, che non è quella verde di Hamas, prima di forzare le parti ad una pace finta. Purtroppo le elezioni israeliane, dal mio punto di vista, non hanno portato una stabilità all'interno della politica israeliana (credo non sia mai stata così divisa) e non hanno portato alla formazione di un governo di centrodestra. Netanyahu è si di destra, quindi che condivide valori molto forti per la società israeliana, ma è stato anche un uomo "imperativo" che si è categoricamente opposto al ritiro dalla Striscia di Gaza, ritiro iniziato da un leader come Sharon, il quale ha saputo fare una scelta molto coraggiosa, sfidando una terribile opposizione interna al suo partito, il quale poi si è diviso, ed anche all'interno della società israeliana. Se la si vede da una certa prospettiva, la vittoria del Likud (anche se ha un seggio in meno alla Knesset), è il fallimento del progetto di Sharon, il quale si è dovuto addirittura smarcare dalla sua stessa coalizione per realizzare il ritiro dei coloni nel 2005. Certo, siccome la situazione politica estera intorno ad Israele non è così gratificante, la Livni deve ragionare attentamente prima di dire un NO categorico al Likud. L'Iran è sempre più una minaccia alla sopravvivvenza stessa di Israele, Hezbollah costituisce un ostacolo a colloqui col Libano(al punto che si è già ipotizzata un'offensiva preventiva dell'esercito israeliano per eliminarlo) e Hamas, anche dopo l'operazione Piombo Fuso è sempre in agguato. In definitiva: non sarebbe poi cosi negativo vedere un esecutivo di unità nazionale.