Fiamma Nirenstein Blog

La guerra antisemita contro l'Occidente

7 ottobre 2023 Israele brucia

Jewish Lives Matter

Informazione Corretta, il nuovo video di Fiamma Nirenstein

Museo del popolo ebraico

Il portavoce di Hamas ucciso: così Israele combatte la propaganda

lunedì 1 settembre 2025 Il Giornale 0 commenti
Il portavoce di Hamas ucciso: così Israele combatte la propaganda

Missili, 007 e diplomazia. I sette fronti di Israele nella lotta per l'esistenza

sabato 30 agosto 2025 Il Giornale 0 commenti
Missili, 007 e diplomazia. I sette fronti di Israele nella lotta per l'esistenza

L'equivoco sui reporter militanti

martedì 26 agosto 2025 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 26 agosto 2025
 
L'esercito israeliano ha delle regole precise, che sono il contrario di quelle di Hamas e di chi adesso sta già condannando l'attacco all'ospedale Nasser. Se non è sicuro al cento per cento, non rilascia notizie e commenti. Anche per l'episodio di ieri. E così quelli "sicuri" vincono la partita, perché se si sa che i bambini non erano affamati ma malati, i feriti e i morti li aveva fatti Hamas e non l'Idf, il missile che ha ucciso davanti all'ospedale più di un anno fa era palestinese e non israeliano, non importa più. La salda narrazione antisemita ha fatto le sue vittime. Ma ci sono alcune cose che possiamo già sapere. Qualche settimana fa sono stati portati 12 sopravvissuti di un attacco di Hamas ai lavoratori della Ghf. Hamas li ha lasciati fuori dei cancelli fino a farli morire. Ancora: al quarto piano dell'ospedale un uomo con una macchina da presa e un asciugamano in testa per nasconderla forniva immagini a chi gli imponeva di filmare. Questi filmati sono utilissimi a identificare le mosse israeliane sul campo.
 
Gli ospedali dall'inizio della guerra per Hamas sono stati questo: una indispensabile retrovia sottoterra, negli uffici, nelle corsie, nell'uso delle ambulanze per trasportare i loro terroristi, il nascondiglio ideale per tenere gli ostaggi in cattività, e anche il luogo dove aver cura dei loro uomini, mescolati coi civili così da farne scudi umani, al solito. Quando si capirà questa semplice equazione, civile uguale a scudo umano per la jihad, giornalista uguale a militante pro Hamas? Parallele alle immagini dell'ospedale, quelle spaventose dell'eccidio a calci, punizioni, torture e spari di quattro, sempre "civili", che Hamas ha giustiziato per la strada ritenendoli traditori. Il nesso fra queste vicende è molto chiaro: i civili di Gaza, dei quali peraltro Sinwar disse parole più che chiare spiegando che la causa della jihad aveva bisogno di quanti più morti possibile. Israele sarà certo sincero su quello che è accaduto all'ospedale, se ha compiuto errori lo sapremo come è accaduto in tante circostanze difficili. Come ogni Paese democratico sa bene cos'è la responsabilità. Se sbaglia, si scusa. Per questo vale la pena ascoltare le sue verità, mentre Hamas ha solo la verità della vittoria della jihad come norma. È venuto il tempo di rendersene conto.
 
 

Lo Stato ebraico costretto a difendersi dalle minacce per non finire accerchiato

giovedì 21 agosto 2025 Il Giornale 0 commenti
 Lo Stato ebraico costretto a difendersi dalle minacce per non finire accerchiato

Il Principe Verde che rinnegò Hamas. "Vogliono sostituire ebrei e cristiani"

lunedì 18 agosto 2025 Il Giornale 2 commenti
Il Principe Verde che rinnegò Hamas.

Quella notte di vent'anni fa in cui Sharon sacrificò Gaza per una pace impossibile

venerdì 15 agosto 2025 Il Giornale 3 commenti
Quella notte di vent'anni fa in cui Sharon sacrificò Gaza per una pace impossibile

 

 

 

Il reporter di Sinwar, capo di un battaglione

martedì 12 agosto 2025 Il Giornale 1 commento
Il reporter di Sinwar, capo di un battaglione

Il Giornale, 12 agosto 2025

I giornalisti che insistono sul fatto che Anas al Sharif, sia una vittima dell’aggressività dell’esercito israeliano, che fosse anzi un professionista che praticava con coscienza e passione il dovere di informare e che ha avuto il merito di mostrare al mondo come stanno veramente le cose a Gaza, cioè un inferno creato dalla crudeltà di Israele, e non dalla schiavitù nazista in cui la popolazione affamata e usata come scudo umano da Hamas, non fa un servizio alla professione. E mente. Anzi, ribadisce il sospetto che si accetti di aver visto Gaza attraverso uno schermo nero di odio antisemita, di un’interpretazione dei fatti di cui nella fattispecie, al Sharif era un rappresentante politico, pratico, armato, molto attivo. Leggiamo cosa ha scritto sul 7 di ottobre: entusiasta durante le stragi, gli stupri, ancora fra bambini scannati e donne stuprate ha scritto: “Nove ore e gli eroi ancora conquistano il Paese (Israele invasa, ndr) uccidendo e catturando… oh Dio! Dio! Quanto sei grande!”.

Sì, questo era il reporter al Sharif, che certo raccontava quello che vedeva attraverso questi occhiali, quelli della strage e del terrorismo non solo narrato, ma condiviso anche nella pratica. Prima di colpirlo l’IDF ha raccolto una quantità di documenti, nomi, fatti, stipendi: al Sharif era il comandante del battaglione missilistico di Hamas a Jabaliah orientale, era responsabile degli attacchi contro i civili israeliani, e l’esercito. I missili da Gaza sulla gente innocente dei kibbutz e della costa sono stati un’attività terroristica di primo piano, e Anas doveva esser molto bravo se lo mostrano intrinseco al movimento i vari selfie affettuosi con Sinwar e Khalil al Hayya, e anche un vero bacio del mostruoso capo che ha concepito l’eccidio del 7 ottobre e ha eliminato con le sue mani i suoi antagonisti. Pur di uccidere gli ebrei ha disegnato senza pietà il sacrificio del suo popolo, e Anas sembra nelle foto un virgulto preferito, un leader giovane che infatti ha partecipato, come per altro altri giornalisti scoperti sul fatto, anche all’incursione stragista del 7 ottobre. Una nukba, né più né meno. Una sua foto intrisa di emozione partecipativa lo mostra in quel giorno mentre esulta coi suoi colleghi di Hamas che prendono un carro armato, in pieno scontro. Come giornalista si può considerare un faro per i tanti che durante tutta la guerra di Gaza l’hanno intessuta di odio per criminalizzare Israele, hanno esaltato i dati unilaterali e fasulli forniti dai palestinesi, hanno indotto i miti di carestia causata da Israele, e non da Hamas che rubava le tonnellate di aiuti, e hanno introdotto il concetto di genocidio, il più orribile fra i rovesciamenti della verità caricati su Israele, nel tentativo di ridisegnarlo nel ruolo di aggressore cancellando il 7 ottobre.

Se quello di al Sharif era giornalismo, allora Israele ha colpito un giornalista. Ed è triste pensare che le sue esternazioni fossero seguite da 564mila followers su X e 1milione e 6mila su Instagram. Folle enormi, milioni esposti ai pensieri del discepolo e soldato del macellaio nazista Sinwar ora piangono la morte e accusano Israele di aver ucciso un giornalista. Questo è divenuto il giornalismo oggi?   

 

Netanyahu lancia l’operazione verità. "Liberiamo Gaza piena di terroristi"

lunedì 11 agosto 2025 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 11 agosto 2025

 

Tutti sanno che Netanyahu non ama parlare coi giornalisti: ma lo ha fatto. Ha incontrato ieri la stampa estera, anche quella che lo attacca anzi lo addenta dal punto di vista politico e umano da anni, quella che ha attribuito a Israele i peggiori crimini di guerra e genocidio. Il Primo Ministro israeliano è sceso in campo dunque sull’ottavo fronte col suo perfetto inglese e la sua famosa verve comunicativa; chiaro che la scelta era di cercare personalmente di scuotere l’opinione pubblica dalla valanga di menzogne che è diventata un autentico fronte di guerra, e che si è rinnovata con fuochi d’artificio all’annuncio di allargare la guerra a Gaza, chiamandolo “occupazione”.

 

Il fronte avverso ha avuto grandi successi, le fonti solo palestinesi, difficili oggi da smantellare: come ha detto Jibril Rajub, segretario generale di Fatah, “la guerra del 7 di ottobre è diventato l’Olocausto palestinese, la nostra carta vincente”; o come ha suggerito Ghazi Hamad, leader di Hamas: “Tutto il mondo è ormai contro Israele, chi l’avrebbe mai detto che Israele sarebbe stata accusata di genocidio e pulizia etnica?”. Netanyahu, ha parlato con tono teso ma convinto, sincero. Sullo sfondo, la tempesta in patria: Smotrich che comunica la sua perdita di fiducia nel Primo Ministro e minaccia le dimissioni, e, ferita emotiva molto seria, i familiari dei rapiti infuriati, che chiedono uno sciopero generale domenica. Netanyahu si è confrontato con la lettura del comportamento di Israele come guerrafondaio, crudele opponendo la decisione inappellabile di destrutturare Hamas e recuperare gli ostaggi. Ha contestato dunque la fame come arma di guerra, l’intenzione di distruggere un intero popolo, il numero di morti, la scelta di fare una guerra per la perfidia dell’intero popolo ebraico. Le sue parole hanno condannato le piazze antisemite (una cinquantina di manifestazioni ieri in Grecia! Meta adorata dagli israeliani, vicini di casa) e le istituzioni internazionali (l’ONU e l’UE in funzione antiamericana, vecchi amici coma la Germania) che ora non trovano niente di meglio della bandiera stracciata dello Stato palestinese. Netanyahu sa bene che mentre parlava sullo sfondo rulla il tamburo che lo accusa personalmente, sempre, di opportunismo politico, di corruzione, persino di un po' di fascismo. Israele è in una jungla in cui deve avventurarsi adesso da solo, cercando una simpatia troppo costosa per l’opportunismo di tanti.

 

Netanyahu ha cercato di farsi capire: “Contrariamente a quel che dite, questa è la via più rapida per por fine alla guerra” ha ripetuto, spiegando che Gaza è sotto controllo per il 75 per cento e come Hamas sia in possesso soltanto di Gaza City e dei Mawasi, i campi centrali. Là si concentrerà l’azione, ma prima si farà in modo che la gente se ne possa andare in zone salvaguardate. Il Primo Ministro ha insistito sull’impegno di Israele ha distribuire aiuto, sul fatto che ha fatto entrare 2 milioni di tonnellate di cibo con una politica che è l’esatto contrario dell’affamare la gente. E poi ha spiegato come Hamas abbia sequestrato con la forza gli aiuti, come le Nazioni Unite non abbiano distribuito il cibo e ora si cerchi di rimediare. Netanyahu ha promesso velocità, mesi di guerra possono portare a molte perdite di soldati e alla morte dei rapiti; si è sforzato di descrivere un futuro di sicurezza, non di occupazione, con un potere civile fatto dal mondo arabo, ma certo non da Fatah e Hamas, che insegnano ai bambini a uccidere gli ebrei e a distruggere lo Stato d’Israele. “I palestinesi non hanno mai desiderato un loro stato che gli abbiamo offerto dal 1948, cercano solo di distruggere Israele”. Le famiglie dei rapiti vorrebbero che Bibi lasciasse perdere tutto per uno scambio che tuttavia Hamas non promette. Niente di buono può derivarne. Non avreste lasciato i nazisti a Berlino ha detto. Il teatro in cui pensa, la sua fiducia nella vittoria sembra derivare da una visione più vasta, da un disegno in cui all’Iran e agli hezbollah e a Hamas sconfitti si aggiungano, con l’aiuto degli USA, le forze del grande motore della violenza sullo sfondo. Netanyahu vuole completare la liberazione di Gaza nonostante la possibile rottura nel suo governo e nonostante il movimento per i rapiti che è il cuore di Israele. Witkoff tratta ancora per i rapiti, le riserve richiamate per novembre sono centinaia di migliaia… si capisce che Bibi gioca su un campo largo, scommette su un mondo diverso, dove il trauma del 7 di ottobre si curi con un intervento apicale.

L' Europa contro Israele fa il gioco di Hamas

domenica 10 agosto 2025 Il Giornale 1 commento
L' Europa contro Israele fa il gioco di Hamas

Il Giornale, 10 agosto 2025

Certo, la tentazione pavloviana di accettare la chiamata populista della parola “pace”, di saltare indietro scandalizzati di fronte alla “occupazione” (anche se è poi è diventata “controllo territoriale” ridotto nello spazio), di infischiarsene dei fatti a fronte del consenso e del bon ton europeo è grande. Anche se il biasimo verso Israele significa ignorare i fatti, o fingere di ignorarli: battere un’organizzazione terroristica pericolosa per la vita di Israele e del mondo intero, con le sue alleanze e la sua determinazione a combattere l’Occidente, mentre cerchiamo di salvare i rapiti torturati nelle loro mani. È difficile, rischioso, ma che fare altrimenti? Di questo non si sente eco, non c’è discussione sulla sostanza, non si parla di come una democrazia può vincere il terrore islamista, e invece si rafforza di fatto la strategia di diniego di Hamas, si disegna un muro di sostegno che promette più terrorismo, morte dei rapiti, crescita dell’antisemitismo. L’ha detto molto chiaramente Rubio, il segretario di Stato americano: quando Israele era sull’orlo di recuperare gli ostaggi, Hamas ha chiuso con un “no” le svariate trattative, le proposte di Witkoff (10 ostaggi) e di Netanyahu (tutti gli ostaggi), dopo che Macron ha reso linea politica internazionale proposto all’ONU uno Stato palestinese che lo ha rifornito di nuovo del consenso di cui aveva bisogno.

Anche Hamas ha chiesto uno Stato palestinese dopo che l’ha fatto Macron e ha anche rivendicato il 7 di ottobre come ragione della sua vittoria sull’opinione pubblica. Non c’è in Europa chi non condanni senza ragionarne il progetto di allargare il fronte a Gaza City: un altro tassello al biasimo contro il Primo Ministro israeliano, che porta sempre con sé, sui giornali e nei partiti, un bottino di consenso. Si è voluto dire che anche l’America dissente citando J.D. Vance, e non è vero: il vicepresidente americano sostiene il punto di vista israeliano, ammette solo che ci sia qualche “parere diverso”. Punto. Sul piano mentre lo si condanna si sa poco, non si cita, non se ne suggerisce alternativa né per recuperare i rapiti, né per battere Hamas, i due scopi dichiarati e indispensabili per i quali non c’è alternativa dato il rifiuto di Hamas, appunto, a ogni accordo. Ma cedendo ai consigli moderati di Eyal Zamir, che teme come parte dell’opinione pubblica israeliana, logicamente, per la vita dei soldati e dei rapiti, l’ingresso dell’esercito è ridotto a Gaza City, e sarà preparato (questo si sa per ora) con un mese fuori della città e poi comprende un mese nella città allo scopo di sgomberare i cittadini per separarli da Hamas e ricostruire una struttura urbana vuota dal loro dominio, mentre si interromperà per questo l’impresa bellica dentro la città. Lo sgombero porterà intanto la popolazione in zone umanitarie dotate di 16 nuovi centri forniti dagli USA che lavoreranno 24 ore su 24 all’aiuto. Due mesi sono tanti: Hamas ha tempo di ripensare al suo rifiuto e riaprire la strada a qualche trattativa, dato che la minaccia di sottrazione di una porzione di territorio è per l’Ummah islamica molto più grave di quella della perdita di vite umane.

Netanyahu lascia aperta la possibilità di riaprire una trattativa, e nel suo programma non ha parlato di nuovo di “tutti” i rapiti. Interessante: Smotrich, obiettivo favorito della stampa internazionale come prova delle tendenze antidemocratiche e anche opportuniste di Netanyahu, giovedì scorso ha votato contro il programma, sostenendo che non si deve interrompere la guerra per nessuna ragione. L’Europa lo sa questo? Che Netanyahu, sempre accusato di giocare per la sua durata, va diritto per la sua strada, cioè rimuovere Hamas e recuperare i rapiti? E perché non è su questo, invece che sulla parola “occupare” che non esiste nel programma, che l’Europa, compresa l’Italia, non si pronuncia? E non dice nulla nemmeno sulla nuova idea del Primo Ministro israeliano di affidare il futuro della striscia   a una coalizione araba di cui ci si può fidare? Anche questo non va bene, se lo fa Israele? Lasciamo da parte Gutierrez che al solito parla di “dangerous escalation”, l’ONU non conta più nella discussione la sua vulnerabilità e il suo ruolo nella disinformazione è proverbiale.

Ma la Germania che alla vigilia dell’anniversario del 7 di ottobre, il giorno che ha visto più assassinati ebrei dal tempo Shoah, dichiara l’embargo delle armi a Israele, suona come una bestemmia che duole troppo ascoltare e che troppo porta gli odiatori degli ebrei a unirsi a Hamas in tutte le piazze del mondo. Questo è ciò che può davvero rendere difficile, più della guerra che è sempre terribile, ritrovare vivi quei ragazzi ischeletriti nelle gallerie.      

Non sarà un’occupazione, lo scopo è eliminare Hamas. Il potere a Paesi arabi fidati

venerdì 8 agosto 2025 Il Giornale 0 commenti
Non sarà un’occupazione, lo scopo è eliminare Hamas. Il potere a Paesi arabi fidati

Il Giornale, 08 agosto 2025

Il primo ministro israeliano poco prima della riunione di gabinetto di ieri l’ha detto a un gruppo di giornalisti, evento rarissimo, ma in molti l’avevano già capito: non si tratterà di un’occupazione fatta per restare a Gaza, Israele entrerà e consegnerà il potere al momento giusto a responsabili internazionali, un gruppo di stati arabi, di cui ci si può fidare. Tuttavia sarà un cambio strategico importante, in cui si resterà solo laddove sia necessario per garantire la sicurezza contro il terrorismo.
 
La riunione di ieri ha affrontato una delle scelte più spinose per il Paese, per i soldati, per la reazione internazionale dopo 672 giorni di guerra... È stancante, ci vuole tanto coraggio per una nuova fase della guerra, questo è un Paese iperdemocratico, in cui la discussione ferve frenetica e ferisce; i soldati non sono tanti; i feriti sono decine di migliaia e anche i depressi, e le famiglie orbate; l’economia paga lo stress; l’antisemitismo attanaglia il Paese da dentro e da fuori. Ma la vita viene prima: quella dei rapiti, quella del Paese. I soldati seguitano a combattere al fronte per tutti, solidali come fratelli, esperti in arti belliche senza pari, e sanno che è proprio per tutti, e non gli importa nulla delle differenze politiche. La discussione durata giorni ha messo insieme senza contrasti finali, le opinioni di Netanyahu, deciso a entrare, e quella di Eyal Zamir, il capo di stato maggiore che insisteva per limitarsi a circondare i luoghi ancora non battuti per il timore per la vita dei rapiti. Adesso la decisione di entrare mentre fronteggia la dura realtà: Hamas dice no alla restituzione degli ostaggi, non c’è più tempo per quelle creature ischeletrite, Israele non può lasciare che Hamas seguiti a torturarli a morte, e che permanga con i suoi crimini e i suoi progetti di distruzione nella Striscia di Gaza.
 
L’ha spiegato in due parole Marco Rubio, segretario di Stato americano: «Non è possibile dopo il 7 ottobre, se Hamas non viene vinto lo farà di nuovo». L’America cerca una strada che porti alla conclusione del conflitto ma sceglie, a differenza dell’Europa, di farlo a fianco di Israele. La convergenza si intravede nelle decisioni: intanto forse si spera nella possibilità che la minaccia incombente sul territorio possa spinge l’islamismo di Hamas a cedere magari all’accordo Witkoff. Il piano punta solo su Gaza City, un milione di abitanti, una caotica intersezione di terrorismo col suo largo scudo umano, il luogo più simbolico. Certo vi si trova qualche rapito. Si sarebbe deciso di evacuare gli abitanti per muoverli verso grandi infrastrutture umanitarie, campi, ospedali che devono essere preparati in settimane di lavoro. Giorni in cui Israele cesserebbe dalla guerra per favorire gli spostamenti e dividere la popolazione civile dalle strutture sotterranee e dai nascondigli di Hamas cercando di salvaguardarla. L’aiuto americano secondo l’ambasciatore Huckabee verrà portato a 16 centri di aiuto nuovi, che distribuirebbe cibo 24 ore su 24.
 
L’aiuto diffuso e la presa di Gaza dovrebbero segnare la grande svolta. Sono passati vent’anni da quando Israele sgomberò Gaza sperando che un embrione di stato palestinese, con aiuti internazionali, infrastrutture per l’agricoltura e per l’industria, sarebbe diventato un vicino con cui costruire un rapporto di pace. Hamas cominciò col distruggere le serre dei pomodori pachino e prese a scavare le gallerie per la sua grande guerra e del terrore, senza intervalli: così è stato fino al 7 ottobre quando l’odio ha preso le fattezze del macello e dei rapimenti di massa. È chiaro che fermare l’orrore è non solo nell’interesse della vita di Israele, ma di tutto l’Occidente. Tuttavia l’Europa oggi, nel mezzo di una presuntuosa campagna per uno stato palestinese senza caratteristiche politiche, senza confini, senza leader, senza garanzie, che ha appunto motivato Hamas a rifiutare l’ennesima profferta di scambio per i rapiti, non sa fare di meglio che minacciare di nuovo Israele chiedendole di fermarsi, mentre un esercito che ha già perso mille uomini, che ha saputo battere Hezbollah e Iran, combatte per i rapiti. L'Europa potrebbe invece rivolgere a Hamas un appello perché si arrenda e consegni le sue vittime, forse così dimostrerebbe di tenere davvero alla pace.

 

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.