A Gerusalemme

Dati: 216 pp, 18 euro
Editore: Rizzoli
Aprendo questo link è possibile leggere le prime pagine del libro:
http://rcslibri.corriere.it/rizzoli/pdf/Nirenstein.pdf
Vi proponiamo alcune delle recenzioni pubblicate recentemente.
"Per le strade di Gerusalemme, la città che dà coraggio"
Libero, 4 febbraio 2012 di Paolo Bianchi
È un libro al contempo bello e terribile questo A Gerusalemme (Rizzoli, pp. 214, euro 18), soprattutto perché è scritto da una giornalista come Fiamma Nirenstein, figlia di uno dei primi «ebrei pionieri», giunto nel nascente Stato di Israele dalla Polonia nel 1936, e da molti anni commentatrice delle vicende del Vicino Oriente per i quotidiani La StampaeIl Giornale. Il volume che ha confezionato con minuziosa cura storica, cronachistica e autobiografica è un addentrarsi tra le pieghe oscure della città santa per eccellenza, capitale dei tre monoteismi, ebraismo, cristianesimo e islamismo e cuore pulsante di una ventina di loro derivazioni. Se il primo approccio turistico è sempre quello con la Città Vecchia, e specialmente con la porta di Giaffa, la più frequentata delle sette (ne esistono anche altre quattro, ma chiuse o murate), se le prime occhiate possono quasi far pensare a un variegato parco a tema, anzi a «un luna park turistico e commerciale», il rischio è quello di «imbrancarsi mentalmente con le truppe appena scese dai pullman». La realtà è ben più complessa, drammatica diciamo pure. Quei cumuli di pietre gialle e rosate celano confini invalicabili, circondano territori rivendicati a partire da tremila anni fa. Il Quartiere Musulmano arriva fino alla Spianata del Tempio, a fianco del Quartiere Ebraico. Accanto alla Tomba di Davide c’è anche la sala dell’ultima cena di Gesù e, a fianco, una moschea. Perché «tutto è vero, guai a metterlo in discussione, e tutto è falso, basta chiedere agli archeologi. Molto a Gerusalemme è fatto così. Ma sul vero e sul falso resta sempre aperta la finestra della fantasia e di una fede che mostra i denti». Conoscere la storia di Gerusalemme significa addentrarsi in un gomitolo aggrovigliato di verità e di supposizioni. Ma la mescolanza e la sovrapposizione, per quanto suggestive, hanno anche significati non del tutto rassicuranti. Nel luglio 2000, alla presenza di Bill Clinton, Arafat sostenne placidamente che a Gerusalemme non era mai esistitoun Tempiodi Salomone, cioè un Tempio degli Ebrei. Un esempio di negazionismo raccapricciante. E nel marzo dello stesso anno, quando Giovanni Paolo II aveva appena cominciato a parlare alla folla, il richiamo del muezzin si levò fortissimo a coprire la sua voce. C’è la Gerusalemme delle divisioni eterne e dell’eterna violenza. «Affacciarsi sul futuro è molto difficile», spiega Nirenstein, «ormai la questione di Gerusalemme è una delle più irrisolvibili del mondo, e lo dimostrano molti episodi degli anni recenti: ogni processo di pace discute la questione di Gerusalemme solo per trovarla impossibile». Eppure, che gli ebrei non demordano è specificato in una frase che non lascia spazio a dubbi. Proclama l’autrice: «Che errore hanno fatto con me i terroristi islamici: se volevano convincermi ad andarmene, hanno invece reso più bello il volto di questa città, mi hanno affondato nei secoli indietro, mi hanno fatto conoscere re Davide».
“Davar acher – A Gerusalemme con Fiamma Nirenstein”
Moked, 5 febbraio 2012 di Ugo Volli
Ho letto tutto d'un fiato il nuovo libro di Fiamma Nirenstein, "A Gerusalemme" (Rizzoli, pp.215, €18). E' un testo assai più emozionante e più coinvolgente della maggior parte delle cose che si scrivono sulla storia, l'archeologia e la politica di Gerusalemme, perché contiene sì frammenti di tutti questi argomenti, ma è anche è soprattutto una love story, la storia dell'amore di una donna fiorentina per una città mediorientale carica di storia e di conflitti. Quest'amore non è geloso, non esclude nessuno, racconta di vicini arabi ambigui, di capi palestinesi che odiano Israele, di intellettuali scettici e politici affettuosi. Parla di luoghi, di case, di wadi, di negozi, di spese, di motorini, di caffè, della difficoltà di un figlio e di una grande festa di matrimonio. Racconta con angoscia e partecipazione gli anni delle stragi, in cui non c'era giorno senza che i terroristi facessero saltare in aria un autobus o un luogo di ritrovo. Spiega il terrore del ritardo di un figlio, la doppia faccia di commessi simpatici che si rivelano sostenitori del terrore. Esplora i sotterranei del Monte del Tempio, descrive le vecchie case palestinesi, parla della ginnastica e del caffé al tempo delle stragi e delle colazioni dei giornalisti inviati a Gerusalemme. Racconta abbondantemente e con amore della sua famiglia, ricorda il terribile sconcerto del padre di fronte alla Shoà, le partite di pallone del figlio, la forza del marito. E' insomma un diario intimo e pubblico, costruito per frammenti, per associazioni, per emozioni. Un bel libro.
Ma soprattutto è un documento del rapporto profondo, vero, non più libresco dopo millenni, che lo stato di Israele ha permesso agli ebrei di istituire con Gerusalemme e Eretz Israel, quello che ci porta appena possiamo prendere un aereo e ad inventarsi cose da fare nel piccolo stato ebraico: parenti, amici, lavoro, ricorrenze religiose, vacanze, non importa. L'importante è andarci, o stare lì, come Nirenstein, trasferirvisi come hanno fatto tanti ebrei italiani. Il rapporto che Fiamma Nirenstein disegna nel libro e pratica nella vita, e tanti altri come lei, è un legame d'amore, fisico, concreto, perfino sensuale con Eretz Israel. Una curiosità, una necessità, una consuetudine, un attaccamento a tratti disperato, ma sempre pieno di speranza.
Questo non capiscono, o capiscono fin troppo bene, quelli che la detestano e la criticano, quelli anche di origini ebraiche che applaudono alle vignette che la ritraggono secondo i canoni dell'ideologia nazista col pretesto dell'infame lotta politica italiana, tutta segnata da partigianerie e piccinerie, da viltà e finti moralismi. Fiamma Nirenstein non è solo una grande giornalista, non è solo un esempio di successo dell'impegno civile dell'ebraismo italiano, ma anche la figura del rapporto autentico, emotivo, intimo, passionale con Israele, della condivisione del suo destino storico. Il suo libro parla di questo, ancor più che della città di Gerusalemme. Farsene penetrare, condividere questa passione, pagina dopo pagina, è un piacere e un atto di partecipazione intellettuale e politico cui è bello abbandonarsi.
“Ritorno al Muro del Pianto dove iniziò Gerusalemme”
Corriere della Sera, 5 febbraio 2012 di Pierluigi Battista
Gerusalemme è un luogo dello spirito, ma è anche una città viva e turbolenta. Una foresta di simboli, e anche un intrico di strade, palazzi, ristoranti, mercati sovraffollati. Città sovraccarica di memorie antiche, illuminata dalla fede (anzi, dalle fedi), ma anche groviglio modernissimo di urbanistiche audaci e arcaiche insieme. È la Gerusalemme cantata e celebrata da Fiamma Nirenstein in un libro che è un omaggio d'amore, un manifesto politico, una descrizione particolareggiatissima di volti, contraddizioni, parole, usanze e linguaggi di una città unica. Di una città speciale, trattata dalla Nirenstein con una sensibilità anch'essa speciale, mai neutrale e asettica: la sensibilità di una donna ebrea, italiana, con un passato politico di sinistra oggi rivisitato e arricchito con nuovi punti di vista.
Un punto di vista esplicitamente dichiarato. Nelle pagine del libro si respira l'emozione per la scoperta di storie e personaggi che sono emanazione di un genius loci unico e irripetibile, la pietà e l'orrore per le vite stroncate da un terrorismo che si prefigge di uccidere o mutilare (leggere la descrizione dei micidiali ordigni esplosivi portati dai terroristi suicidi per accertarsene) quante più persone possibile, quanti più civili possibile, quanti più ebrei possibile. Si respira anche il rispetto per le religioni che a Gerusalemme trovano i loro santuari, la convinzione che solo la convivenza tra fedi diverse può salvare una città in cui i luoghi sacri dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islamismo si trovano in un rapporto esplosivo di vicinanza e di prossimità. Non è una convinzione puramente retorica. E il racconto della Nirenstein, che non si compiace di una memoria indulgente e superficialmente ecumenica, non fa a meno di ricordare che dalla nascita dello Stato di Israele fino al 1967 il Muro del Pianto, sotto il controllo giordano, era un luogo precluso agli ebrei, con i simboli dell'ebraismo degradati a discarica, irraggiungibili per chi voleva accostarsi ai simboli della religione dei padri, pregare, commuoversi, ritrovare se stessi. Come in qualunque religione.
La Nirenstein spiega anche molto dettagliatamente, e con un atteggiamento giustamente scandalizzato per la mole di menzogne che circolano negli ambienti più vulnerabili di un antisemitismo torvo e aggressivo, come si sia diffuso in questi anni una forma perniciosa di «negazionismo» sulla natura di Gerusalemme. Galvanizzata da dichiarazioni di Arafat, declamate con un'inclinazione ossessiva per la propaganda e la manipolazione storica, la campagna anti-israeliana ha infatti martellato duramente sull'immagine di una totale estraneità di Gerusalemme dall'ebraismo. Per rafforzare l'immagine degli ebrei usurpatori e colonialisti, perfidamente intenti a prendersi terre che non sono mai state loro, la propaganda anti-Israele ha lanciato un'offensiva para-archeologica per dimostrare che gli ebrei non hanno mai messo piede a Gerusalemme, mai hanno costruito il Tempio e ricostruito quello distrutto. La campagna negazionista viene ricostruita, dettaglio dopo dettaglio, da questo libro di Fiamma Nirenstein. Il suo amore per Gerusalemme ne risulta rafforzato, come reazione sacrosanta a una bugia colossale che pure si addobba di argomenti pseudo-scientifici.
Per questo, parlare di Gerusalemme non è più possibile come se si volessero indicare ai turisti i luoghi più significativi della città, tracciare la mappa dei palazzi più rilevanti, dei quartieri più eccentrici e «pittoreschi». Non è questo l'intento di questo libro, dove pure sono presenti scorci di vita curiosi, pluralità di comportamenti, di modi di vestire, di mangiare, di parlare che indicano un'incomprimibile diversificazione non riducibile a uniformità o unidimensionalità politica o religiosa. L'intenzione è quella di stabilire una linea di continuità tra la vita pulsante della contemporaneità di Gerusalemme e l'intensità di una memoria in cui si depositano secoli e millenni di storia.
Una storia da cui, ovviamente, l'ebraismo non può essere escluso per decreto di una fazione politica, che tra l'altro non si è mai segnalata per la protezione dei liberi studi storici svincolati dalle urgenze della propaganda. Una storia ricca e densa, piena di tensioni, di una città più volte ferita e martoriata da un antagonismo che non riesce a decantarsi se non in una pace stabile, per lo meno in una tregua benefica e risanatrice. Gerusalemme santa, ma anche colpita da una maledizione che sembra non liberarla mai da conflitti feroci e irriducibili.
Un motivo di più per amare e onorare una città speciale, qualcosa di molto più importante di una normale meta turistica.
Il Tempo, 12 febbraio 2012 di Gennaro Malgieri
Una dichiarazione d'amore «A Gerusalemme», città unica di Crocevia spirituale, scrigno di religioni che hanno prodotto civiltà, luce riflessa di divine epifanie, luogo di raccolta di popoli diversi uniti nella venerazione dell'unico Dio. Non è semplicemente una città. È piuttosto l'incantato approdo di millenarie storie umane e sovrumane che confondendosi, mescolandosi, contaminandosi si sono esposte alla meraviglia del mondo. Si può non amare una terra percorsa da soffi ancestrali di vitalità feconde che è divenuta nel tempo la città per antonomasia, l'agorà delle religioni e delle culture? Gerusalemme è l'inizio e la fine. Essa ha partorito la Redenzione e la Grazia che, sia pure declinate in maniera differente dai cercatori di Dio, sono gli elementi che fanno riconoscere una estesa comunità di credenti come discendenti dallo stesso spirito di fratellanza per l'origine e lo sviluppo della loro vicenda storica. Non è possibile trovare ragioni più profonde a giustificazione dell'amore per Gerusalemme. Se non le radici irrorate dal sentimento filiale che lega in maniera speciale chi ha avuto ed ha materialmente a che fare con essa. E Fiamma Nirenstein, appassionata figlia italiana, fiorentina ed in parte polacca di Gerusalemme, al culmine di un percorso amoroso, prima che civile e culturale, ha deciso di testimoniarlo a suo modo il legame profondo con la capitale della Terra Santa per antonomasia. In un libro appassionato, scritto con l'inchiostro del cuore e la trepidazione di un animo in pena, «A Gerusalemme» (Rizzoli, pp.214, euro 18,00), la brillante scrittrice condensa il suo canto d'amore alla città che non muore, che resiste orgogliosamente, che sfida con la sua storia i suoi più implacabili nemici, che s'intesta la singolarità dello splendore divino tra le macerie del tribalismo politico e vive la sua irregolare dimensione multietnica, multireligiosa, multiculturale con la naturalezza che le deriva dalla sua mitica origine regale e pastorale insieme, quasi a simboleggiare il legame tra i popoli e l'autoritá che nasce dal dettato divino: Mosé e Davide, profeti guardiani di armenti che si fanno condottieri per volere di Colui che li comanda all'osservanza ed alla diffusione dei precetti del diritto naturale. I templi di Gerusalemme custodiscono le tracce dello spirito che ha camminato tra gli uomini e oggi si è di fronte all'esigenza di preservarle a testimonianza di un'alleanza che nessuna ragione diplomatica politica dovrebbe proporsi di sciogliere. La vagheggiata divisione di Gerusalemme è una bestemmia. Ed è blasfemo chi soltanto l'immagine, un criminale chi la persegue. L'antica casa del primo e unico Dio, come dice la Nirenstein, è impensabile che subisca l'oltraggio dello smembramento per assecondare un fatuo, se non irrealistico, processo di pace. Ma con chi dovrebbe fare pace Gerusalemme? Essa è la pace. Lo testimoniano gli arabi, i cristiani e gli ebrei che ci vivono; lo cantano le pietre antiche e moderne che non recano i segni di rivendicazioni impossibili; lo dimostra la sua capacità di trasformarsi nonostante le tragedie o forse proprio in virtù delle stesse assunte come prove da offrire ad un mondo che non la comprende. La cordialità - il moto più evidente del cuore - si fa vita vissuta nelle strade della vecchia città: «Un calore elettrico ti attrae verso il tuo proprio nemico, vuoi tendere i palmi delle mani e scaldarti, finché la realtà prende il sopravvento», annota la scrittrice. E va oltre, si perde consapevolmente tra i simboli del passato e vi scorge i percorsi del tempo nuovo: la Gerusalemme che fu e resta e quella che avanza e si afferma. Con i suoi scrittori, intellettuali, artisti, gente variopinta dall'innato istinto creativo. Con le sue architetture moderne che non stridono con quelle arcaiche. Con i salmi ebraici, i canti cristiani e i richiami dei muezzin. Con le famiglie che si sentono più che in qualsiasi altro posto al mondo, partecipi di una comunità. Per tutto questo e molto altro ancora, «proteggere Gerusalemme significa tenerla aperta per le fedi ebraica, cristiana e musulmana alla pari», scrive la Nirenstein, per cui chi «predica la divisione» non pensa al bene della città che dal 1967 è fiorita. Forse è tempo di una nuova primavera. Gerusalemme ne ha vissute tante strappandole al destino che non le ha risparmiato i morsi. È dunque indispensabile che si faccia strada la consapevolezza tra le genti, che la Città del Dio unico è di tutti ed in essa riposa lo spirito incarnato. A Gerusalemme si compie, mentre noi siamo distratti, «l'idea che l'uomo debba vivere moralmente» e che il suo compito sia quello di camminare con determinazione verso la meta «del bene che Dio gli ha messo dentro». Così venne stabilito quando il mondo emetteva i primi vagiti e il tempo era innocente.