YITZHAK CONTINUA A NON RIPOSARE IN PACE
venerdì 5 novembre 1999 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
GERUSALEMME 
SEMBRAVA, sin dalla celebrazione al Parlamento nella ricorrenza 
ebraica 
avvenuta circa un mese fa, che questo quarto anniversario 
dell’ assassinio di 
Rabin dovesse essere un’ occasione triste come sempre, ma 
politicamente meno 
eccitata: il processo di pace è di nuovo in piedi, la sinistra al 
governo 
dimostra che l’ assassino non ha vinto, anche l’ opposizione del Likud 
ha 
perduto le unghie, dando segni di desiderare un clima di 
riconciliazione in 
un Paese troppo a lungo spaccato. E invece, la tensione è salita in 
modo 
quasi fatale nelle ore antecedenti la grande manifestazione di Kikar 
Rabin, 
piazza Rabin, quella che si può considerare la vera commemorazione 
del 
popolo di sinistra. Barak parteciperà oppure no?, parlerà in piazza o 
si 
farà rinchiudere in casa dalla polizia segreta dell’ Interno, lo Shin 
Bet?, 
la gente ha cominciato a chiedersi freneticamente. Perché gli uomini 
con gli 
occhiali scuri, quelle muraglie di muscoli e di dedizione che fanno 
da scudo 
umano al primo ministro, hanno proibito a Barak di presentarsi in 
carne e 
ossa davanti al più significativo bagno di folla del fronte della 
pace. 
Barak si è interrogato ore e ore sul da farsi, perché disobbedire 
allo Shin 
Bet significa delegittimarlo ulteriormente in un momento difficile: 
infatti 
nei mesi scorsi ha già subito il colpo della proibizione per legge 
alle 
« moderate pressioni fisiche» a un prigioniero. Probabilmente, si 
dice, i 
Servizi hanno chiesto a Barak di non comparire davanti al pubblico a 
causa 
di specifici avvertimenti. Quindi un problema serio. Ma la 
proibizione, e 
forse ancor più l’ invito a presentarsi dentro una scatola trasparente 
a 
prova di proiettile (Barak ha risposto polemicamente: « Non sono mica 
il 
Papa!» ), hanno fatto scoppiare una polemica del genere preferito in 
Israele, 
quella sulla democrazia: da noi, ha scritto per esempio il 
commentatore di 
« Haaretz» Yoel Marcus, appena eletto un primo ministro diventa subito 
ostaggio di un’ organizzazione che lo costringe ad apparire in 
pubblico 
sempre circondato da una selva impenetrabile di corpi; lo circonda, 
come un 
imperatore, persino mentre cammina dentro la Camera, sospetta di 
tutto e di 
tutti, persino dei suoi più intimi amici e quasi della famiglia. Dopo 
tutto, 
insistono i commentatori, nonostante una storia di continui assassini 
politici, i presidenti americani seguitano ad apparire in pubblico; e 
de 
Gaulle aveva l’ abitudine di saltare giù all’ improvviso dalla sua 
limousine e 
mescolarsi alla folla nonostante fosse un obiettivo dichiarato dei 
terroristi. 
Non paghi di questa discussione, gli israeliani, al ritorno da Oslo 
della 
loro delegazione, hanno inaugurato un nuovo dibattito, peraltro ormai 
su 
ogni bocca, sulla vedova di Rabin, Leah: hanno detto i giornali che 
più che 
come un’ ospite, a Oslo Leah si è comportata come la padrona di casa. 
Nahum 
Barnea, il più famoso fra i commentatori israeliani, ha scritto: « Con 
le sue 
amicizie e la sua determinazione Leah ha portato a Oslo un gruppo (il 
presidente americano, quello russo, i leader europei, gli arabi, gli 
israeliani...) che in genere si muove compatto soltanto per un 
funerale 
regale» . E la gente in Israele ha notato come la signora Rabin si sia 
intestardita a spiegare che Bat Hen Shahak, la fanciulla i cui versi 
sono 
stati letti durante la commemorazione, fosse stata a sua volta 
assassinata 
in un attentato. Questo nonostante gli organizzatori della cerimonia 
le 
avessero chiesto di non mettere in difficoltà Arafat. Poi, tornata in 
patria, non paga, Leah si è associata alla richiesta dei figli di 
riaprire 
l’ inchiesta sull’ assassinio. Ancora, a quanto pare, Yitzhak non 
riposa in 
pace. 
            