Fiamma Nirenstein Blog

VOGLIONO COLPIRE ANCHE NOI

giovedì 20 ottobre 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV FRA tutte le strade d’Israele, Dizengoff, a Tel Aviv, è la più completamente occidentale. Il sangue di quei venti morti che viaggiavano sull’autobus numero 5 carico sempre di vecchi ashkenaziti, di grassocce signore marocchine, di bambini con lo zaino che vanno a scuola, di giovanotti con l’orecchino venuti dal suburbio di Holon, non si è sparso sulle mura dai mille strati archeologici come sarebbe accaduto ad Acco, o su terre contese come nei Territori, o fra i santuari delle tre religioni come a Gerusalemme o a Hebron. Niente di tutto questo: quel sangue bagna il grande Shopping Center dove per quattro piani si inseguono firme americane ed europee di abiti, di calzature, gadget; dove si va a bere una birra all’Hard Rock Cafè o a mangiare la pizza Hut. Poco più in là sono sparsi i negozietti di sarto e di elettricista che espongono la foto di Rabin o di Peres, negozietti di vecchi ebrei immigrati dalla Germania degli Anni Venti, abbarbicati alla bottega buia che comprarono nella città che sempre è stata ebraica, mai araba, e soprattutto sempre la più culturalmente occidentale di Israele. L’orrore dell’attentato integralista si sparge sui cinema a più sale, sui chioschi di pop corn, sulle sale da gioco, sul ristorante indiano all’angolo della Kikar Dizengoff, un ristorante delle grandi occasioni. Il Muro del Pianto non è affatto più simbolico dell’autobus numero 5, ora orribilmente sventrato, che percorre tutta la lunghissima strada, il cuore, la vita pulsante di Tel Aviv, l’arteria più trafficata della città , la più ebraica e la più miscredente di Israele, la strada più infedele, più simile a una qualunque via di Roma, Torino o New York. Hamas dunque ha dichiarato una guerra ben più ampia di quella condotta fino ad oggi. È una guerra che, in primis, naturalmente, riguarda l’esistenza stessa dello Stato di Israele: da anni, da ben prima del processo di pace, anche se la Carta dell’Olp non cancellava l’obiettivo di spazzare via tutti gli ebrei dal continente asiatico, pure il conflitto si era ristretto, almeno sul terreno politico, ai Territori occupati, alla cessione della sovranità sul suolo ritenuto il nucleo del futuro Stato palestinese. E anche al Golan che la Siria considera il pegno della sua pace. Che Israele restare era ormai un amaro boccone che sembrava inghiottito per sempre da tutti i nemici di Israele, ed è stata anche la pri-ma base concettuale su cui si è costruita la pace. Ed è Tel Aviv il luogo deputato della legittimità ebraica; la casa di Ben Gurion nel viale vicino al mare lungo il quale il primo sindaco, appunto Dizengoff, galoppava su un cavallo bianco, alla polacca, non ha sostituito nessuna costruzione araba. Tel Aviv è nata ebraica e laica nello stesso tempo. Dunque, l’attacco all’autobus numero 5 ripropone l’idea di gettare tutti quanti gli ebrei in mare, e spiega che l’assunto fondamentale del processo di pace non è affatto accettato, né tanto meno lo è la sua dimensione territoriale. Per Hamas è ancora in ballo l’esistenza stessa di Israele. In secondo luogo, ma non meno importante, il significato internazionale dell’attentato di Dizengoff: si tratta, stavolta, di un attacco contro gli infedeli, contro tutti gli infedeli e la loro paccottiglia americana. Non è un attacco alla sola religione ebraica, ma contro tutte le religioni che consentono la laicizzazione (compreso l’Islam modernizzante e miscredente degli intellettuali) e che vengono ritenuti da Hamas un oltraggio alla vera religione, l’Islam che tiene alla lettera del Corano. Il resto rappresenta una piaga da cui sa-nare il mondo per istituire il Regno di Dio, ovvero lo Stato in cui regni la shariah, la legge islamica. L’attentato di Dizengoff dice che per i terroristi finanziati in gran parte dall’Iran, la pace in Medio Oriente non è solo uno sgarro politico, ma una vera e propria bestemmia rispetto ai comandamenti divini; e promette di ripulire il mondo intero (poiché sia l’universo ebraico che quello cristiano spingono verso la pace) dall’onta di una situazione internazionale che riabiliti in definitiva gli infedeli. Dizengoff dunque non è più , oggi, fra tutte quelle disperate lacrime di stupore e di resistenza civile alla violenza (mentre il governo israeliano fa muro contro le spinte ormai poderose dell’opposizione che grida la sua sfiducia e la sua rabbia) un pezzetto remoto del Medio Oriente: è una parte di noi, dell’Occidente che crede nel diritto, nei rapporti internazionali, nella forza della rappresentanza, nel dialogo con chi è diverso da noi. Se l’Occidente non comprende che questo attentato riguarda tutti quanti e non corre in aiuto della pace in Medio Oriente, ben altre guerre si preparano. Fiamma Nirenstein

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