VISTO DAL MEDIORIENTE SÌ ALLA GUERRA Contro il terrorismo si deve c ombattere
giovedì 6 aprile 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
DOPO tre anni, quelli che erano a favore e quelli che erano contro la
guerra in Iraq non si sono messi affatto d’ accordo. E quel breve momento nel
gennaio 2005, quando otto milioni di iracheni rischiarono la vita per andare
a votare, in cui sembrò che fosse ormai chiaro che anche un popolo musulmano
sofferente, decimato dal peggiore dei regimi dittatoriali può con tutte le
sue forze anelare alla democrazia. Dopo quel breve momento, dicevamo, ha
prevalso di nuovo l’ immagine insanguinata e catastrofale di un’ Iraq diviso e
condannato da una cupa profezia di fallimento. Anche il fatto che
l’ attentato alla moschea di Samarra non abbia provocato una guerra civile,
come tutti erano certi che sarebbe successo, non ha prodotto buon senso. E
che in Medio Oriente si sia aperta una discussione mai vista prima sulla
democrazia, con concrete riforme, elezioni, rivoluzioni, non aiuta. Come se
a parlare fossero solo gli scoppi delle bombe terroriste.
Ma soprattutto, quanto più si è lontani dalla percezione di cos’ è il terrore
oggi tanto più si è contro l’ azione americana e degli alleati in Iraq.
L’ Iraq è parte di una guerra in cui i terroristi non sono affatto dei poveri
occupati da ricchi dominatori, ma membri di un esercito mondiale dalle
convinzioni invincibili, fortissimi nell’ idea che la vittoria sia
inevitabile, ordinata da Dio, eroica, e che l’ arma del terrorismo suicida
sia (e hanno ragione) micidiale. Gli USA hanno tentato una strada dopo le
Twin Towers per battere un nemico che Bush ha individuato come potentissimo,
distruttivo anche del nostro sistema di valori. L’ Iraq è stata una guerra
sperimentale e quindi carica di errori, ma ricca di significati così
innovativi che chi ha voluto, l’ ha letta alla rovescia, specie nel suo
aspetto morale. Questo è il punto di partenza per capire l’ operazione
americana e anche i suoi limiti.
Ma, prima di tutto: non c’ è nessuna alternativa oltre a quella di seguitare
ad aiutare gli iracheni che vogliono costruire la democrazia contro il
terrorismo. Esploderebbe il disprezzo, l’ eccitazione pomperebbe il
jihadismo, la rivoluzione culturale costituita dalla messa in circolazione
nel Medio Oriente dell’ idea di democrazia apparirebbe pura vanità creando
rappresaglie, la Libia tornerebbe alle armi di distruzioni di massa, il
Libano ricadrebbe nelle mani della Siria, la Siria ricucirebbe le falle
apertesi nel suo sistema, Ahmadinejad danzerebbe intorno alla sua nuova
forza nucleare... per non parlare della gioia (operativa) di Hamas, degli
Hezbollah, di Al Qaeda. Se si dicesse « abbiamo sbagliato» e facessimo le
valige, allora sì che il mondo islamico salterebbe per aria, aprendo senza
remissione lo scontro sciita-sunnita, inaugurando una nuova fase di caccia
ai democratici e alle minoranze, galvanizzandosi in Europa.
La condanna della guerra si basa anche sulle immagini insanguinate che
escludono una vasta parte della realtà . Giustamente non ignoriamo le code
dei giovani che vanno ad arruolarsi negli apparati di sicurezza e saltano
per aria. Ma alzi una mano chi sa che da luglio al gennaio scorso le forze
armate irachene hanno aggiunto alle loro truppe 22 nuovi battaglioni, che
5500 nuovi poliziotti e 2000 agenti speciali sono stati istruiti e
equipaggiati, che 20 delle basi operanti della coalizione sono passati
all’ esercito iracheno. Le forze irachene hanno reso sicure zone prima
ritenute impraticabili; città come Najaf, Mosul, Tal Afra e persino Falluja,
scrive su News Week Farid Zakarja, sono molto più sicure oggi di un anno fa.
Non sappiamo neppure che nonostante tutti gli sforzi dei terroristi, il
reddito pro capite si è raddoppiato dal 2003 ed è del 30 per cento più alto
di quanto fosse durante la guerra, e che nel 2006 ci si aspetta che cresca
de 16,8 per cento. Ci sono cinque volte le auto che c’ erano al tempo di
Saddam, cinque volte i telefoni, e 32 volte le connessioni in Internet. Non
c’ erano tv o media independenti: ora abbiamo 44 tv commerciali, 72
radiostazioni, e più di 100 giornali. Sono nate 3 mila 404 scuole, 304
costruzioni di fognature e acqua, 257 stazioni di polizia e vigili del
fuoco, 149 ambulatori pubblici e ospedali. Ma questi fatti riguardano un
mondo di poveri, di gente che nel nostro snobismo occidentale percepiamo
come aliena alla democrazia. Preferiamo, invece, scontrarci con gli
archetipi che amiamo odiare, quelli che uniscono la famiglia intellettuale
europea contro l’ imperialismo, per l’ autodeterminazine. Bush tuttavia decise
per la guerra sulla scorta di informazioni certificate dall’ ONU e di un voto
del Consiglio di Sicurezza che unanimente passava la risoluzione 1441. Essa
chiamava Saddam a disarmare o a « fronteggiare le peggiori conseguenze» .
Le armi di distruzione di massa che non si sono trovate non furono una bugia
per iniziare la guerra, le scoprì l’ ONU: e ora esce di nuovo, dai documenti
iracheni appena consegnati al pubblico che esistono contratti di acquisto
per vari materiali chimici. A tutt’ oggi nessuno può negare che il
trattamento usato dagli USA a Saddam abbia tagliato la proliferazioni delle
armi di distruzione di massa e abbia tagliato i fondi al terrorismo. E la
possibilità che le boccette di botulinus o di antrace siano state trasferite
per tempo, è sempre valida.
Chi in Medio Oriente ha osservato con regolarità l’ eccidio terrorista di
tanti innocenti, chi conosce il mondo dei terroristi, li ascolta, li vede,
sa di quanti mezzi e di quanta fede dispongono, sa che ci troviamo di fronte
a una guerra in cui non c’ è che un’ opzione: combattere. La guerra terrorista
tre anni fa si dispiegava già da più di 40 anni, sempre più ricca di vittime
e spietata verso i civili. Prima delle Twin Towers c’ erano già state
migliaia di vittime in tutto il mondo, sugli aerei, nei luoghi di ritrovo e
di preghiera di mezzo mondo dakke Filippine a Israele. Chi oggi combatte
questa guerra non intende dominare il mondo e al contrario mostra speranza e
rispetto per l’ umanità . Fuggire porterebbe conseguenze enormi.