VIAGGIO SUI DUE VERSANTI DEL GRANDE SERPENTE Uomini e donne nelle spi re del Muro Come il recinto di sicurezza ha rovinato (e salvato) molte vite
domenica 11 luglio 2004 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
LA Corte dell’ Aja ha messo il dito su una piaga che certo non verrà sanata
dalla sua sentenza. Salah Dabbash, emergendo sudato e accaldato dal
paesaggio rurale che circonda Sur Baher, un villaggio a Sud-Est di
Gerusalemme, ne è l’ incarnazione. Il bulldozer ha spianato parecchi metri
del suo oliveto, gli israeliani hanno ripiantato senza complimenti i suoi
alberi più lontano e gli hanno cambiato la vita per il peggio. Infatti Salah
vive nella parte alta di Sur Baher, dentro i confini ufficiali di
Gerusalemme, ma due dei suoi sette fratelli, i suoi genitori, la sua terra e
i suoi olivi stanno dall’ altra parete di quello che finora non era un
confine; e quello che è più importante, Salah ha due mogli, di cui una al
quarto figlio che vive nel cuore della cittadina, a differenza del resto
della famiglia. La sua vita è sconvolta, come quella di decine di migliaia
di abitanti della periferia di Gerusalemme fino a Ramallah e a Betlemme;
questo è accaduto dopo 20mila attentati terroristici in questi anni di
Intifada e in particolare dopo 198 morti per terrorismo suicida e 1500
feriti solo a Gerusalemme.
Israele ha deciso di costruire un recinto di difesa che nella zona della
Città santa è lungo, quando sarà finito di costruire, 68 chilometri. E’ un
problema terribile per i palestinesi che vivono nell’ area, i residenti del
quartiere di Abu Dis (fra loro il primo ministro Abu Ala) vivono con un muro
di cemento che divide a metà la strada principale. Fra Qalandya, il
checkpoint più affollato che esista, e il sobborgo di Gerusalemme dove si
trova la Posta centrale, fervono progetti e lavori di separazione anche per
quel che riguarda l’ acqua e le altre infrastrutture; per i palestinesi
l’ idea di separare Ramallah da Gerusalemme è , dice inorridito il Membro del
Consiglio legislativo palestinese Khatem Abdel Qader, come mettere un muro
fra Gerusalemme e Tel Aviv. Eppure, da Ramallah sono usciti 81 attentati, e
anche se già cominciano i lavori di spostamento della barriera nei punti
indicati a fine giugno dai giudici della Corte suprema israeliana, sarà
difficile che la gente di Gerusalemme accetti che la capitale continui ad
essere « terreno di caccia» . Ne ha viste troppe.
Dice Tali, una gioielliera che fa parte di « Pace Adesso» e lavora proprio
nella Mid Rehov, la zona pedonale dove prima del muro c’ erano uno, due
attentati al giorno: « Io capisco i nostri vicini, la sofferenza di
accompagnare i propri bambini a un checkpoint per aspettare uno scuolabus
che ti porta di là da un confine, sotto il sole o la pioggia; l’ idea che i
tuoi campi, o peggio i tuoi genitori, sono dall’ altra parte della barriera e
hai bisogno del permesso per passare.. è orribile... Ma sapesse cos’ è per
noi mettere un bambino su un autobus e morire d’ ansia finchè non ti telefona
che è arrivato. Tanti amici hanno ricevuto altre telefonate... Adesso è
molto più difficile per i terroristi salire su quell’ autobus» .
Hani Amar, del villaggio di Mashka, ha dovuto cedere il suo cortile di casa
e rovinare il suo business di frutta e verdura per far posto a una strada su
cui passa la ronda militare; dall’ altra parte è stato costruito il recinto.
Hani viveva in quella casa con sua moglie Munira e 6 figli proprio al lato
dell’ autostrada, e in tempi migliori gli israeliani si fermavano a frotte da
lui per comperare. La sua casa è rimasta presa dentro una specie di recinto,
vicino a Elkana, un insediamento ebraico, e tagliata fuori dal villaggio.
Non è l’ unico caso di abitazioni in gabbia. E anche alcuni insediamenti
israeliani, come Ariel, non sono stati inseriti dentro Israele perché
altrimenti la cosa avrebbe una valenza politica inaccettabile per l’ opinione
pubblica internazionale, e vivono dentro un anello di filo spinato. « Infatti
i coloni - mi dice Shlomo Blass, uno dei loro leader - sono in linea di
massima molto contrari al recinto, che isola pericolosamente gran parte
degli israeliani che vivono in Cisgiordania, e crea la premessa territoriale
per lo Stato palestinese» .
D’ altra parte, in base a una delle molte petizioni dell’ Associazione per i
diritti civili, la Corte Suprema mercoledì scorso ha bloccato i lavori
proprio dalle parti della casa di Hani e Munira, ingiungendo all’ esercito di
non mettere in atto nessuno sgombero, proibendogli di sradicare alberi e di
eseguire l’ ordine di demolizione. La barriera seguita a cambiare strada in
seguito a decisioni del governo o dei giudici, a ingiunzioni, a consigli
dell’ esercito... E’ un serpente in continuo movimento che non evita i
problemi di Hani, ma nemmeno quelli di Tali.
La petizione per la zona di Elkana si indigna per il fatto che il muro
« strangolerà 11500 abitanti stringendoli da ogni parte, salvo che per un
piccolo passaggio a Nord» . Ma in quella zona da Jenin sono usciti attacchi
terroristici che hanno falcidiato 144 persone, da Tulkarem 44, da Qalkilya
28, da Nablus 87. Di questo paga il prezzo chi, come Salah Dabbash o Hani
Amar, si ritrova la vita bloccata.