VIAGGIO NELLA « CAPITALE» PALESTINESE IN UNA GIORNATA DECISIVA PER IL FUTURO DEL MEDIO ORIENTE GAZA Il partito delle bombe e quello della pace
martedì 17 giugno 2003 La Stampa 0 commenti
inviata a GAZA
SEMBRA la solita vecchia, terribile Gaza, ma forse non lo è , o lo è
un po’
meno di sempre: si annusa aria di tregua, la « hudna» si avvicina.
Sole a picco, il soldato al check-point con aria di commiserazione
vuol
sapere cosa ci vai a fare là dentro in una giornata così ; le strade
sanno di
eliminazione dei capi di Hamas, di funerali, di terroristi fermati
dagli
israeliani e di razzi Kassam sparati oltre la linea verde, di sangue
e di
disperazione. I bambini ci giocano in mezzo. Il rettilineo che dal
check-point di Erez porta dentro Gaza ha un nuovo ornamento da quando
una
settimana fa sono stati uccisi dai terroristi, proprio qui, quattro
soldati
israeliani: una ruota di settecento metri di filo spinato divide in
due la
strada, e alla fine c’ e’ un carro armato, che quando ti avvicini con
il taxi
palestinese preso di là dal check-point (dove si passa un controllo
di due
ore) ti punta le armi contro per paura che tu sia un terrorista
carico di
tritolo. Raed, al volante, si secca quando gli diciamo di rallentare:
preme
l’ acceleratore, la vita qui è un pugno di polvere bianca, siamo in
ritardo
di due ore per andare dallo sceicco Yassin in un giorno in cui il
capo di
Hamas è molto impegnato.
Perché questo è il giorno delle grandi decisioni: a Gaza, dopo un
complicato
balletto di riunioni fra Arafat e il responsabile della sicurezza
Dahlan (a
Ramallah), tra Dahlan e Hamas, tra gli israeliani e Dahlan, tra Abu
Mazen
appena tornato dalla Giordania e tutti quanti, gli egiziani, con la
loro
ideale mitria faraonica, si sono seduti, mentre arriviamo, di fronte
a 13
organizzazioni palestinesi e hanno visitato lo sceicco nel vicolo
dove si
trova la sua casupola. L’ altra riunione si è svolta in un hotel in
riva a
quel gran mare sprecato, blu e orlato di palme e campi profughi:
nessuno ha
tempo per divertirsi con lui fuorchè i pescatori. Il generale Mustafa
Abuheiri, l’ uomo che sarà il prossimo capo dell’ intelligence
egiziana,
ovvero, per parlar chiaro, il nemico numero uno dell’ integralismo
islamico
egiziano, il più radicato fin dagli Anni Sessanta, ha chiesto
soprattutto
agli uomini di Hamas di smetterla con gli attentati, senza metter
tempo in
mezzo, perché altrimenti accadrà a Gaza quello che è già accaduto
nella West
Bank. Gli israeliani distruggeranno l’ organizzazione, gli americani
saranno
furiosi, gli europei non se la sentiranno più di stare accanto ai
palestinesi. Dahlan allora dovrà anch’ egli usare le armi; e
ricordatevi,
deve avergli detto Abuheiri, l’ Autonomia dispone di più di ventimila
uomini
armati.
Nel vicolo della casa di Yassin, uomini di guardia e silenzio: lo
sceicco è
stanco della riunione, dorme. Si deve essere stancato molto nell’ aver
pronunciato, invece delle consuete esclamazioni e dichiarazioni di
odio
totalizzanti contro ebrei, americani, occidentali in genere, la
frase:
« Prenderemo in considerazione la hudna, la tregua, se gli israeliani
faranno
la loro parte» . Dormirà un paio d’ ore, fino al momento della
preghiera. Poi
pregherà a lungo. Insomma, arrivederci, lo sceicco parlare non vuole.
Hamas gode di un patrimonio di estremismo nutrito, in ciascuno degli
abitanti della Striscia, dagli attentati, mentre Abu Mazen è
considerato un
traditore. Ma dire di no alla hudna e spedire nuovi terroristi
suicidi a
dimostrare che gli ebrei devono sparire da tutta la Terra Santa, e
non solo
dalla West Bank, come ha detto Rantisi, significa che gli elicotteri
cominceranno di nuovo a cercare i mandanti, e magari stavolta il
primo, come
ha detto il ministro degli Esteri israeliano, potrebbe essere proprio
Ahmed
Yassin in persona. La sua casa è piena di ritratti di shahid, di
terroristi
suicidi. Tutte le strade lo sono, talvolta si tratta di giganteschi
arredi
urbani con foto due per due, con la barba, la fascia, il fucile. Ogni
tanto
passa una vecchia auto carica di non meno di venticinque bambini, sul
tetto,
nel bagagliaio aperto, sui sedili, e il guidatore porta il suo
prezioso
carico a riempirsi di polvere e di risate, finalmente un po’ di
divertimento
nella tragica Striscia, con le fogne a cielo aperto e tre quarti
delle
costruzioni rimaste a metà dal boom edilizio del tempo del processo
di pace.
Yassin non può essere svegliato, ma c’ è qualcuno che forse è più
importante
di lui oggi, ed è l’ ingegner Ismail Abu Shanab, che durante i meeting
siedeva alla destra dello sceicco e di fronte agli egiziani.
Intellettuale e
integralista, deciso fautore della « resistenza» , come lui la chiama,
siede
nella sua casa di Gaza in una grande stanza con divani e tappeti.
Soliti
ritratti di « martiri» . Mentre arrivavamo in taxi anche il guidatore
ci ha
mostrato una foto di uno shahid: « Mio fratello» . Abu Shanab ci offre
un
bicchiere di aranciata. Non si impegna: « Il problema principale per
cui per
ora non possiamo accettare nessuna tregua fino ad avere valutato e
discusso
a fondo - ci dice - è che la Road Map non si occupa abbastanza del
sangue
versato dai palestinesi, dei continui attacchi di questi giorni.
Dell’ occupazione assassina. La richiesta di interrompere la
resistenza può
essere semplicemente una trappola, le promesse di Sharon di ritirarsi
non
corrispondono alle sue reali intenzioni. Il cessate-il-fuoco sarà
accettato
solo in presenza di gesti credibili» .
Abu Shanab si sente personalmente in pericolo come Rantisi? Nella
vita,
dice, è sempre stato in pericolo, ci è abituato. E se ci si mette
anche la
polizia palestinese? Chi è più forte? Hamas o Dahlan? Abu Shanab
sembra non
potere soffrire Dahlan, però si astiene dall’ attaccare Abu Mazen, cui
invece
i suoi compagni dedicano filastrocche di fuoco: Dahlan per lui è un
corrotto, un profugo che si è arricchito e non si sa dove ha preso i
soldi.
Il popolo « è con Hamas in maggioranza, dall’ inizio dell’ Intifada» . E
tuttavia ci penseremo sopra a questa hudna, dice Abu Shanab, se ci
piace. Il
terrorismo? Conosco solo la resistenza. La responsabilità ? Di
Israele. Di
tutti gli ebrei? No, dei sionisti: se Rantisi ha detto degli ebrei,
sbaglia.
E anche degli americani, Bush è in mano ai sionisti, una lobby
potentissima
e dominante, ma c’ è un’ altra America... Rantisi e Yassin parlano in
altro
modo, è inutile che Abu Shanab neghi l’ esistenza di due anime: la
tocchiamo
con mano. Una vuole fermarsi, magari solo per rimettere in sesto
l’ organizzazione.
Le strade di Gaza sono tutte diritte, parallele o perpendicolari al
mare,
piene di bambini; i poliziotti di Dahlan li vediamo in questa
giornata di
tensione con le armi in pugno lungo i posti di blocco. All’ università
islamica le ragazze sono per lo più vestite con il velo bianco e
l’ abito
lungo grigio, ma ce ne sono alcune completamente coperte di stoffa
nera. Una
di loro, Amina, non crede alla hudna, però vorrebbe la pace, però è
d’ accordo col terrorismo suicida e ama e ammira i martiri. Ha
sofferto molto
in questi giorni, ha visto il sangue per le strade, gli israeliani si
meritano le bombe sugli autobus, Sharon è reponsabile di tutto.
« Tutti gli
ebrei, li odio tutti» , dice uno studente che quando gli si chiede se
ha una
storia personale da raccontare dice « tante, troppe, parenti amici,
morti,
feriti, miseria, disoccupazione...» .
Ma qui, davanti all’ entrata che si riempie di sofferenza e di odio,
ecco il
miracolo di Abdul Kader Karaja, professore di inglese, giacca e
cravatta,
capelli neri, una cinquantina d’ anni, pallido. Lui vuole la pace,
senza
mezzi termini: « E ci sono tanti come me. Si sentono solo le voci
degli
estremisti, ma oggi c’ è questa riunione con gli egiziani, stasera
viene Abu
Mazen. Tanti a Gaza, non si faccia incantare dai politici, sperano
che sia
un primo passo» . E racconta quello che almeno fino a qualche
settimana fa
non si diceva: « Fra i miei studenti ci sono molti ragazzi di Hamas,
ho avuto
anche degli aspiranti shahid che ho cercato di convincere con tutto
me
stesso a non imboccare la strada del terrorismo. In alcuni casi ci
sono
riuscito. Ma la maggioranza dei ragazzi è semplicemente convinta che
una
pala di elicottero non debba più essere il confine del nostro cielo
né i
cingoli dei carri armati i confini della nostra terra. Hanno paura,
hanno
speranza: scusi, posso mandare un messaggio a Sharon? Sharon, fai
qualcosa
di concreto. Di concreto!!!» .
Gli diciamo che abbiamo intervistato tanta gente affascinata da
Hamas, che
non è disposta a deporre l’ arma del terrorismo. E allora il professor
Karaja
fa una cosa speciale: ferma senza conoscerli i ragazzi che passano e
li
affronta come in un OK Corral. Cosa pensano? Sono pronti a rinunciare
al
terrore? Hanno paura? Cosa chiedono a Sharon? E Abu Mazen? Sono
pronti a
accettarlo. Sorpresa: uno Shahadi, e un Miso, e un Ahmad, e un Nadem
sono
d’ accordo col professore. A Gaza non succede tutti i giorni. E
dicono:
« Vogliamo muoverci per le strade in pace. Senza paura. Che i soldati
escano
fuori da qui, che ci diano il nostro Stato, che i governi si mettano
d’ accordo» . Il ragazzo che odia tutti li guarda stupefatto e
disgustato.
Riprendiamo la strada per il il check-point, una gran massa di
lavoratori
torna a casa superando i controlli piuttosto rapidamente, senza code.
Noi
andiamo nella direzione opposta, tristi per una scena vista poco
prima: un
asinello con un carico troppo pesante è stramazzato fra le stanghe
del
carretto. Il sole di Gaza non perdona, la morte è sempre dietro
l’ angolo, è
duro e lungo il lavoro per tenere lontano chi la ama.