Viaggio negli insediamenti che rinnovano il modello di vita comu nitaria ed economica nato con Israele I kibbutz del buon cittadino
giovedì 8 giugno 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
KIBBUTZ RAVID
LA collina è coperta di ginestre e caprifoglio, e il nuovo kibbutz
Ravid,
piccolissimo, povero, abitato soltanto da cinquanta giovani fra i 25
e i 35
anni sembra un monumento alla memoria della Bella Israele dei tempi
di Ben
Gurion. Ma guai se lo dici ai ragazzi che ti vengono incontro: « Noi
siamo
l’ avvenire del kibbutz. Guardi, quella là in basso è la lavanderia.
In
qualsiasi kibbutz ha una gestione, un direttore. Da noi questo
servizio
collettivo, come molti altri, è stato eliminato. Ognuno si lava i
suoi panni
perche resti più tempo per la vita privata e per lo studio. Lo stesso
con il
cibo: cuciniamo insieme in modo molto semplice quando ci va,
altrimenti
nessuno è un cuoco istituzionale» .
In effetti Ravid è un’ invenzione che potrebbe rivivificare il
movimento dei
kibbutz da tempo in difficoltà , perché invece di produrre mele e uva,
Ravid
produce educazione e studio. Questo modello, insieme a quello della
fuga
verso una vita semplice nella natura e nel silenzio e nella ricerca
di
valori forti di solidarietà e responsabilità per l’ uomo moderno,
potrebbe
salvare il kibbutz, che come entità industriale o agricola non è
riuscito a
tenere. « La Nostra idea è educativa a vasto raggio. Costruiamo un
buon
cittadino, un bravo essere umano. E per farlo ci applichiamo a una
rilettura
del passato che non sia né stupidamente mitica, ma neppure
inutilmente
distruttiva» .
Keren, 25 anni proveniente dal kibbutz Metzuba ha i capelli lisci a
frangetta, è magra e compatta, ha un fisico e un abbigliamento da
centometrista. « Eravamo molto amici di Rabin - racconta - quando la
destra
lo aspettava con quelle sue manifestazioni d’ odio sotto casa o
durante le
apparizioni pubbliche, c’ eravamo sempre anche noi a aspettarlo,
all’ altro
angolo, per sostenerlo e fargli sentire che i giovani erano con lui.
Ci
salutava e si fermava a chiacchierare. Poi, ci invitò ad andare con
lui a
una riunione al Cairo, e anche a casa sua a Gerusalemme» .
Ofer Lanir, 31 anni, di Kfar Rupin, un altro kibbutz, è biondo e
abbronzato,
si occupa soprattutto di musei, è un ufficiale nelle Riserve, spiega
la
ratio ideologica del kibbutz: « Siamo arrivati qui 6 anni fa in
quindici e
oggi siamo cinquanta: quando finì il nostro servizio nel Nahal,
quella parte
dell’ esercito che ha intenti anche sociali e educativi, e decidemmo
che
volevamo restare insieme per fare qualcosa di buono. Prima pensammo
al
deserto del Negev, ma non trovammo un posto adatto. Poi approdammo su
questo
cucuzzolo, cinque baracche con vista su una montagna che era stata
abbandonata dai suoi abitanti precedenti. Perché questo era già un
kibbutz:
ci erano rimasti in otto e adesso abitano in un posto più comodo. I
rovi
erano così alti che non si entrava nelle case. Sacchi a pelo,
machete, e la
consolazione della vista più bella di Israele» . In vetta c’ è un tondo
sormontato da un cucuzzolo di pietre mangiate dai secoli che sembra
fosse
l’ altare su cui venivano compiti sacrifici animali. « Magari anche
umani -
ride Azi Rahim, 30 anni, occhialini da intellettuale nato nella città
moderna di Herzlia -. Laggiù in fondo il Lago Kinneret, il Golan qui
a
destra, la cita di Safed più lontana, il villaggio arabo di
Mrrar...» .
Come va con gli arabi delle vicinanze? I rapporti sono ottimi,
naturalmente.
Anzi, ci sono un sacco di iniziative culturali in comune, compreso un
raro
corso sull’ Olocausto. Eppure il mito di fondazione del kibbutz Ravid
è
dolorosamente contradditorio, e riguarda uno dei romanzieri russi
inseguiti
dai pogrom antisemiti che trovò la sua via verso l’ yishuv ebraico in
Palestina. « Josef Chaim Brenner, che nacque in Ucraina nel 1881,
socialista»
racconta Azi « era un tipo fantastico: andò a Londra in esilio dopo
essere
stato in prigione per attività rivoluzionarie» . E là , subito prima di
venire
in Israele dove insieme a gruppi di giovani lavorava la terra e
studiava,
fondò il giornale Ha Meorer, « La sveglia» , anzi « colui che
risveglia» .
Scriveva: « E’ giunta l’ ora di metter fine alla dipendenza ebraica dai
non
ebrei.. Lo Spirito ebraico? Vento e pula.. Il suo grande retaggio?
Chiacchiere e fumo.. Solo quando avremo imparato il segreto della
fatica e
mandato a memoria l’ inno di chi vive sul proprio suolo, allora avremo
meritato il titolo di Uomo.. Abbiamo Peccato perché non abbiamo
vissuto la
vita del lavoratore: non c’ è riscatto senza lavoro» .
Una posizione cinica, iconoclasta, che qualsiasi religioso troverebbe
orribile, ma che piace moltissimo a Keren e Azi. Eppure dopo essere
stato
« la sveglia» di tanti giovani, Brenner è morto nel 1921 in un attacco
arabo
alla sua comune di intellettuali lavoratori di Jaffa. E questo
conflitto con
gli arabi non è un tormento continuo per chi voglia costruire un
« uomo
buono» ? « Si tratta di vivere quello che Herzl chiamava "lutto
obbligatorio"
- dicono - due popoli che si scontrano, ma contro la loro volontà .
Ygal
Allon e Rabin erano militari che volevano vincere, ma pensavano tutto
il
tempo a fare la pace. Non puoi evitare lo scontro, ma devi saperne
vivere il
dolore, vincere senza abdicare alla giustizia» .
La fabbrica di cultura di Ravid esporta lezioini, corsi e gruppi di
lavoro
in 100 scuole d’ Israele. Lavora sostanzialmente in tre campi:
intervento
culturale in posti socialmente difficili, città del sud o di
sviluppo,
luoghi ad alto tasso di disoccupazione dove i giovani immigrati
etiopi e
russi vivono a rischio. Costituiscono gruppi di 25 ragazzini nelle
scuole
medie e ci lavorano un anno intero. L’ anno scorso ne hanno realizzati
40,
per studiare i problemi dell’ economia, delle zone svantaggiate, l’ uso
del
computer. Alla fine dei corsi, in genere, i ragazzi si organizzano
per
proseguire lo studio da soli.
Un secondo campo di intervento è lo studio della storia
dell’ Olocausto, del
tutto rivisitato. Non si tratta più di spedire a Auschwitz gruppi di
giovani
visitatori impreparati, portati a sviluppare un senso di persecuzione
che
può divenire aggressiva. I giovani maestri di Ravid insegnano il tema
a un
gruppo, per un anno intero. Non si limitano a condannare e a
recriminare:
studiano la storia e la cultura europea del tempo, cercano di capire
le
ragione di uno sterminio, l’ odio del diverso, l’ antisemitismo e anche
il
popolo tedesco. Alla fine del corso, vanno in viaggio in Polonia con
gli
stessi ragazzi cui hanno insegnato tutto l’ anno.
Infine, per una terza sezione di intervento, battono con i giovani
tutti i
musei d’ Israele e, in tempi di nuovi storici, si dedicano a
riscoprire che
cosa sono veramente le fratture, gli scontri di questa Terra. « Tutto
l’ eroismo che ci è stato tramandato - dice Ofer -, ci è arrivato in
forma
astratta, sappiamo della capacità di combattenti dei nostri padri, e
non
sappiamo l’ innesto fra la loro disperata battaglia e la vita
quotidiana. Dal
passato impariamo che nel sionismo ci sono cose ancora valide e cose
che non
servono più . Io a Kfar Rupin pensavo che sarei rimasto un
agricoltore.
Invece ho scoperto che la terra non è più importante delle idee. I
kibbutz
erano importanti come insediamenti di difesa e di produzione. Ora
sono
importanti come esempio di solidarietà in una società individualista.
Un
tempo eravamo concentrati sulla costruzione d’ Israele: l’ anno scorso
siamo
partiti per organizzare un centro di assistenza ai bambini albanesi.
Lavoriamo molto con la gioventù araba. Leggiamo Freud, Shakespeare,
Dostoevskij. Le nostre camere sono colorate e piene di manifesti. E
soprattutto godiamo del grande lusso di essere aperti a tutto, anche
all’ idea di imborghesirci quando saremo vecchi. Brenner, non poteva» .