Via Lattes, per Wanda
Appello al sindaco Nardella di tante firme illustri per l’intitolazione di una strada. Le figlie: «L’Oltrarno era la sua passione». «Per lei Firenze era un miracolo, l’ha difesa dai nazisti»
Il Corriere Fiorentino, 3 giugno 2019
Guardiamo Firenze con gli occhi di Wanda Lattes: innanzitutto piazza Pitti. Durante la lotta di liberazione è lì che abitava Carlo Levi, mentre scriveva il suo capolavoro Cristo si è fermato a Eboli. Wanda aveva 20 anni quando si attaccò al suo campanello, a tarda sera. Aveva con sé la madre e la sorella bambina. I fascisti avevano appena arrestato suo padre e temendo che durante l’interrogatorio potessero estorcergli qualche informazione, le ragazze scapparono di gran furia. D’improvviso Wanda si ricorda di Levi, di quella casa dove era stata tempo prima. Bussa e chiede rifugio allo scrittore piemontese. Lui le fa salire, e le consegna la casa per alcuni giorni. Salvandole. È sempre in piazza Pitti che poco tempo prima Wanda Lattes, trafelata, era entrata in una sede segretissima dei partigiani. «Ci volle andare per trovare un modo di salvare il nonno — ricorda la figlia Fiamma Nirenstein — nonostante la paura di essere scoperta e di rivelare così il nascondiglio».
Poi, piazza del Carmine. Lì Wanda con la sua famiglia viene salvata dai rastrellamenti, grazie al sarto Paoletti, conosciuto pochi anni prima in vacanza a Pietrasanta. «Mio nonno scese giù da Bellosguardo col carretto pieno di materassi» racconta un’altra delle tre figlie, Simona Nirenstein. Da «una soffiata» erano venuti a sapere che «quella notte sarebbero arrivati i tedeschi» a portare via tutte le famiglie ebraiche. «Ogni volta che passavamo dal Carmine ci raccontava un aneddoto di quel periodo — prosegue Simona — il cecchino che le sparò in via delle Terme mentre correva in bicicletta, la gentilezza del sarto… Ogni angolo era intriso di un amore enorme. L’Oltrarno era la sua passione. Come il fiume, che voleva guardare da ogni punto di vista possibile». Simona si commuove: «Tutto l’Oltrarno è punteggiato di questi ricordi commoventi». E Susanna, la terza figlia, sospira: «Per lei Firenze era perfetta».
Potrebbero trovarla tra le vie di San Gervaso, da dove per sessant’anni ha osservato, criticato, pungolato la sua amata Firenze. O forse, appunto, in Oltrarno, dove le sue memorie di partigiana, prima ancora che di giornalista, affondano tra mille aneddoti e pericoli giocati sul filo di lana. Come la scegli una strada per Wanda Lattes? Come trasformi in realtà quella «Via Lattes» che era il titolo della sua rubrica sulle pagine del Corriere Fiorentino?
Un anno fa, oggi, ci lasciava questa straordinaria giornalista e scrittrice che ha attraversato da protagonista tutta la seconda parte del Novecento incarnando quel «senso della fiorentinità come carattere speciale, legata a un grande passato, ma mai passatista» per citare il ricordo che ne scrisse Franco Camarlinghi.
Ora, un anno dopo, l’idea è forte e presente: una strada per Wanda Lattes. Un centinaio di intellettuali e personalità cittadine hanno firmato l’appello al sindaco Dario Nardella perché «pensiamo che Firenze debba ricordarla in modo degno — si legge nella lettera dell’appello coordinato da Leonardo Tirabassi — ricambiando così l’amore che Wanda Lattes le ha appassionatamente dedicato per quasi un secolo, e che la memoria possa essere, soprattutto per le fiorentine, di esempio civile, sociale e culturale». Tra loro Cristina Acidini, padre Bernardo di San Miniato, il direttore del Polo Museale Stefano Casciu, il regista Giancarlo Cauteruccio, lo storico Zeffiro Ciuffoletti, il direttore del Museo Galileo Paolo Galluzzi, il presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani, l’ex ministro Antonio Paolucci, l’editore Daniel Vogelmann, il direttore del Corriere Fiorentino Paolo Ermini, e tanti altri.
Wanda Lattes era nata a Firenze nel 1922 da una famiglia ebraica di antiquari. Le leggi razziali hanno travolto e sconvolto la sua vita. E ne hanno fatto una combattente che per tutta la vita, durata 96 anni, non ha conosciuto pause dall’impegno, soprattutto nel campo della cultura e dell’arte. Per la bellezza di Firenze, la sua identità, forza, dignità, per il suo ruolo nel mondo. Durante tutta la sua lunga carriera di giornalista che dopo essere divenuta una delle firme di punta del Corriere della Sera, l’ha portata a partecipare alla fondazione del Corriere Fiorentino, dove ha lavorato fino alla fine.
La sua casa era «un oceano di libri». E così, racconta Fiamma, «sono anche le tre case di noi figlie. Ci sommergeva di libri». Due di loro hanno intrapreso la stessa carriera: «Ci ha comunicato la passione per la scrittura, la sincerità del racconto, l’aderenza alle notizie, a rifuggire la retorica. Con Oriana Fallaci da giovani andavano in questura in bicicletta insieme a cercare notizie. Ha sempre avuto un dono per questo mestiere, rileggeva anche i miei pezzi e mi diceva sempre di asciugare, tagliare». «Me la ricordo che avevo solo tre anni e la mamma aveva sempre così poco tempo, e chi ne ricorda il carattere sa, anche poca pazienza — aggiunge Susanna — Eppure, nonostante questo, per lei portarci ai musei era imprescindibile. Ricordo le sue dita che indicano i quadri, le parole con cui ci spiegava cosa, come guardare. Ricordo una volta io e lei agli Uffizi completamente vuoti, da sole, di fronte al Ritratto di Giovanni de’ Medici del Bronzino: per farmi capire l’emozione che dovevo sentire, mi indicò l’uccellino che il piccolo tiene in mano. Camminavano per la città e a noi bambine ci mostrava ogni volta un nuovo particolare da cogliere. Per lei, a Firenze, tutto era un miracolo. Ha lavorato tutta la vita per Firenze, amandola. L’ha difesa dai nazisti. Capirla e comunicarla è stata tutta la sua vita».