UNA STRATEGIA CHE SI DIPANA DA DECENNI VERSO L’ ABBRACCIO DEI TRE MO NOTEISMI Una trama paziente fra fede e politica Gesti straordinari e comprom essi pragmatici per il Papa
lunedì 7 maggio 2001 La Stampa 0 commenti
SE il Papa fosse più giovane» confidò alla cronista una figura
eminente
molto vicina a Giovanni Paolo II durante il suo primo viaggio in
Medio
Oriente, dal 21 al 26 marzo dell'anno scorso, « influenzerebbe
profondamente
anche l'andamento della questione più difficile che c'è oggi al
mondo,
quella del rapporto fra Occidente e Islam» . Non era troppo vecchio,
il Papa,
per provare anche questa. Eccolo che in una galleria di barbe e di
copricapo, fra volti severi oppure compiaciuti, Giovanni Paolo II si
avventura sempre più dolente e stanco nel ventre profondo del mondo
musulmano, delle sue gerarchie religiose e anche delle sue
imprescindibili
(è la dottrina che ne fa precetto) gerarchie politiche.
Il Papa iniziò il viaggio fra i monoteismi nella Sinagoga di Roma,
dove,
brandendo le armi contro l'antisemitismo teologico, chiamò gli ebrei
« fratelli maggiori» e abbracciò il rabbino Toaff. Una complessa
diplomazia
interna alla gerarchia ecclesiastica lo portò dalla decisa riforma
(avviata
da Giovanni XXIII) di una liturgia antisemita che colpevolizzava gli
ebrei,
vedendoli come « deicidi» , fino al riconoscimento dello Stato
d'Israele.
Fino, più tardi, al viaggio a Gerusalemme che il Nunzio apostolico,
Monsignor Sambi, preparò con estrema abilità , riuscendo a rendere
compatibili le esigenze israeliane con quelle palestinesi: una visita
ai
Grandi Rabbini, un biglietto di preghiera nel Muro del Pianto; ma
anche,
d'altra parte, un incontro col Gran Muftì , una visita al campo
profughi di
Deheishe, una messa (interrotta dal muezzin di Betlemme) accanto a
Arafat.
Su tutto, la richiesta di scuse agli ebrei per le responsabilità dei
cristiani nelle persecuzioni antisemite.
Il Papa ebbe un grande successo: la questione ebraica per la Chiesa
ebbe un
avanzamento tale che Giovanni Paolo ha pensato di poter passare
direttamente
alla questione dell'Islam, con cui il confronto è drammatico, fatto
anche di
grandi incomprensioni laddove in Medio e Lontano Oriente sussistono
persecuzioni e discriminazioni anticristiane.
La bellezza della Moschea di Damasco, i soffici tappeti, le parole di
benvenuto, sono stati il dono di un grande lavoro della diplomazia
vaticana
per questo prometeico desiderio del Papa di affrontare l'Islam, di
cercare
di farci amicizia e insieme di imporre la forza della cristianità
alla pari
con una religione che si considera il compimento delle religioni
monoteistiche. E poiché l'Islam non opta, come il cristianesimo e
l'ebraismo, per la separazione fra Stato e Chiesa, la forza della
politica
di Bashar Assad e della sua leadership intensamente basata nel
conflitto
mediorientale richiede sacrifici: i discorsi nel linguaggio durissimo
dei
politici arabi hanno sempre uno sfondo politico in cui le barbe degli
imam e
del Muftì svaniscono sullo sfondo, e resta il conflitto
mediorientale;
l'unità dei tre monoteismi si sfalda per creare un ponte privilegiato
Islam-Cristianità . Da cui gli ebrei vengono esclusi con parole che,
nel caso
di Assad, certo il Papa non avrebbe voluto sentire.
Ciò non toglie che la mano tesa del Papa all'Islam in tempi duri
risulti
alla fine il messaggio più potente della sua visita, forse più dei
messaggi
antisraeliani dei leader e anche del Muftì , che non ha chiamato gli
israeliani per nome, ma li ha denominati « i sionisti» . Il Papa di
nuovo non
ha raccolto. L'odierna visita di Quneitra, che nel ‘ 73 gli
israeliani, dopo
una guerra in cui fu la Siria ad attaccare, lasciarono in base alla
risoluzione 242 dell'Onu, potrebbe rinfocolare la parte politica
dell'incontro.