UNA SCELTA DIFFICILE E RISCHIOSA IN NOME DI UN IDEALE DI CONVIVENZA: « MI MANCA LA MAMMA E LA JUVENTUS» Dagli agi italiani alle asprezze della guerra Chi sono i nostri connazionali che hanno deciso di vivere in Israel e
lunedì 4 marzo 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E' una scelta così lontana dai valori del consumo e della comodità
tipici
del nostro tempo, dalla culla in cui vive l'Italia quella di un
ragazzo
ebreo italiano che decide di vivere in Israele; è così diverso essere
ragazzi che rischiano ogni giorno di saltare per aria su una bomba
mentre
potrebbero passeggiare per Roma o per Modena, che vanno a fare un
servizio
militare che dura di norma (ma per i nuovi immigrati c'è un po' di
sconto)
36 mesi e che sottopone a fatiche e rischi inenarrabili, che lasciano
la
sicurezza e la mollezza della vita quotidiana della borghesia in
Italia,
l'ottimo cibo, la libertà totale di andare ovunque quasi senza
pericolo di
attentati, la mamma; e si sbattono, magari senza sapere la lingua, in
un
Paese sempre a rischio, in cui si mangia in maniera molto
approssimativa,
che non conosce gli oggetti firmati, che vive in appartamenti molto
diversi
dai nostri, che non conosce i viaggetti del week end. E per premio,
che ti
dà il privilegio di mettere la propria vita in gioco a un posto di
blocco
fino a perderla, come ha fatto ieri durante il suo servizio nelle
riserve, a
26 anni, Johai Di Porto.
Perché lo si fa? In genere la comunità italiana in Israele, e fatta
di
famiglie intellettuali, borghesi, da professionisti che restano
sempre
attaccati al loro modo sofisticato, mezzo laico e mezzo
tradizionalista, di
essere ebrei e borghesi italiani. Shulim Vogelmann 23 anni col suo
forte
accento fiorentino, è figlio di Daniel e di Vanna, ambedue impegnati
nella
piccola ma prestigiosa casa editrice di famiglia, la Giuntina che
produce
libri di soggetto ebraico. Shulim, ventitre anni, alto, gli occhi
azzurri,
l'accento di casa sua, alla conclusione dell'Università in Israele,
ha
deciso per il servizio militare e quindi anche per la cittadinanza
israeliana, e spiega il suo come un sionismo intellettuale: « Sono
venuto per
curiosità : visto che sono ebreo e c'è finalmente uno stato degli
ebrei
costruito dagli ebrei, sono venuto a verificare . Era un bel periodo,
c'era
il processo di pace, molto rapidamente mi sono fatto tanti amici, ho
imparato l'ebraico, ho trovato una casa dove vivere con gli amici. Le
comodità non mi sono mai mancate, neppure dopo che la vita è
diventata dura,
perché è scoppiata l'Intifada. Io avevo finito l'università , ero
pronto per
un master a Firenze. Ma sono rimasto, invece, per non abbandonare il
gruppo
di ottimi amici con cui condivido cose che fanno profondamente parte
di me,
della mia storia più profonda. Con la tua gente si crea un rapporto
molto
più intenso, profondo, un dialogo molto più diretto: ecco,
improvvisamente
ho trovato gli amici con cui potevo parlare, a cui avevo domande da
fare e
risposte da dare..Si, sono profondamente italiano, ho studiato con
passione
la storia del Risorgimento e la sento mia. Non sono religioso, anche
se amo
la tradizione ebraica: per trovare me stesso, la mia identità , la mia
cultura ho dovuto venire in Israele e anche decidere di fare il
militare» .
Shulim è di sinistra: « Penso che dobbiamo separarci quanto più
rapidamente e
smantellare subito gli insediamenti isolati, nella speranza di
smantellarli
tutti, dopo che abbia fine il terrorismo, con un accordo che
garantisca pace
a Israele. E non mi importa delle ingiuste interpretazioni da parte
dei miei
amici italiani, della stampa, di ciò che accade qui: ora mi sento più
forte,
ho un diverso coraggio delle mie ragioni, mi sento letteralmente più
difeso
di quando ero un ebreo diasporico, fragile, solo: anche se identifico
molto
chiaramente gli elementi di pregiudizio e talora anche di malvagità
della
propaganda antisraeliana» . Che manca a Shulim più di tutto? « La
Fiorentina» ,
ride. Michele Crema, un economista di 25 anni, di Modena, che ha
fatto il
servizio militare, è nipote di Arrigo Levi. « Non è una questione di
scelta,
ma di ciò che è giusto. E poi, da ebreo religoso, non avrei poutto
resistere
più di tanto ai salumi di casa. Scherzo, si capisce. Solo per
autentica
passione, per idealismo, si viene a stare qui, se no sei matto: non
certo
per la qualità della vita! Appena arrivato nel 95 andai in kibbutz,
diritto
dalla mia bella casa di Modena dove avevo lasciato la mia mamma e
tante
belle cose: eravamo tre in una stanza, con altri due ragazzi italiani
come
me, vita dura anche nei campi oltre che nello studio. Io lo ricordo
come un
approdo molto bello. Poi l'esercito: sono stato a Hevron, in Libano,
per tre
giorni interi senza mai dormire cercammo tre terroristi, notte e
giorno.Li
prendemmo, ma fu una terribile avventura. A Hevron ho preso le
pietre: non
che pensassi che fosse giusto restare là , però non volevo certamente
che gli
ebrei ne fossero cacciati con un pogrom, come nel 1929. La tironut (i
primi
mesi) sono stati molto duri: le marce di 50 chilometri, le corse
sotto il
sole del deserto: ma i tuoi compagni sono amici per la vita e per la
morte,
sai che non ti abbandonano non ti deludono mai, la gente più diversa
sta
vicino a te. Morire? Ci pensi, sta nel conto dell'avventura di
difendere
questo Paese» .
Jonatahn Pacifici romano di 25 anni, che conosceva il giovane Di
Porto
ucciso ieri conferma: « Era logico che prima o poi qualcuno che fosse
parte
della comunità italiana fosse ucciso. Siamo eguali a tutti gli altri,
e per
un ebreo questo è un privilegio così grande che contempla ancora il
prezzo
della vita. E per noi è semplicemente naturale stare qui: siamo solo
tornati
a casa. Io , poi, a quattro anni, nel 1980, fui ferito in tutto il
corpo
dall'attentato alla Sinagoga di Roma. Per me credo che fosse naturale
la
strada verso Israele. Poi sono passato molto vicino all'attentato del
mercato di Mahanei Yehuda, a Gerusalemme; adesso lavoro tutte le
mattine in
uno dei due grattacieli delle torri Asrieli,a Tel Aviv, 37esimo
piano.
Dicono che sia l'obiettivo più ambito dal terrorismo internazionale.
Cosa mi
manca dell'Italia? La Roma, come a Shulim la Fiorentina» . Allora,
anche
Michele si butta: « Diciamolo, a me la Juve, e anche la mamma» .