Una questione centrale in USA (ma non solo)
lunedì 30 dicembre 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 30 dicembre 2019
E' ormai un bel pezzo che l'antisemitismo è divenuta una questione centrale nella politica americana, anche se nessuno ha voglia di accettare questo scandalo conoscitivo. Eppure se ne parla ormai ogni giorno anche nell'ambito della campagna presidenziale. Gli Stati Uniti la patria della mondializzazione spontanea, delle etnie e delle religioni che si mescolano in nome del sogno americano, la Terra che lontano dall'Europa infestata dal nazismo ne organizzò a caro prezzo la liberazione e che ha accolto e prodotto la migliore cultura ebraica contemporanea... non passa giorno senza episodi di feroce antisemitismo, compreso quello del 10 di dicembre a Jersey city dove un attacco a un piccolo supermarket kasher ha fatto 3 morti. Eppure adesso è proprio New York, campione del melting pot mondiale, che ha visto in pochi giorni ben quattro attacchi antisemiti sanguinari di cui l'ultimo sabato: uno sconosciuto di provenienza afroamericana è penetrato nella casa addetta a sinagoga del Rabbino Chaim Rottenberg nel quartiere di Monsey e ha pugnalato all'impazzata i cittadini ebrei newyorkesi. Erano riuniti in più di cento per accendere le candele di Chanucca, la grande festa delle luci cui è parallela quella cristiana del Natale.
In realtà i mesi passati parlano di una continua ripetizione di stilemi antisemiti (ricchi, prepotenti, violenti, razzisti… Gli ebrei spesso vengono ormai dipinti così sostenendo che si tratta di legittima critica allo Stato d'Israele) ormai assimilati nella narrazione comune sugli ebrei, sullo Stato di Israele, sulle sue supposte violenze e ingiustizie nei confronti dei palestinesi e basati sulla lieta, leggera, disinformata assunzione che il popolo ebraico dato che sostiene Israele, bollato dalle elite più ignoranti come imperialista, sia associato storicamente a ogni fenomeno di oppressione. Da qui, una specie di generale licenza al pregiudizio e alla maldicenza pronto poi a trasformarsi in violenza.
Persino Bernie Sanders, ebreo, uno dei candidati democratici alla presidenza, ha imperniato un suo discorso proprio su questo tema, sostenendo la necessità di criticare Israele come ogni altro potere oppressivo nei confronti delle donne, degli LGBTQ, degli immigrati... e ha anche detto che il tradizionale aiuto a Israele deve essere invece spostato per esempio verso la deplorevole situazione Palestinese. Nemmeno un accenno al loro finanziamento continuo del terrore, al regime autoritario che li governa, al rifiuto a ogni processo di pace. Gli fanno coro, in gruppo, un terzetto di neolette deputate, Ilhan Omar, Rashida Tllaib, Ocasio Cortez... Nessuna di loro naturalmente è responsabile di gesti antiebraici in forma diretta, o fisica, ma ciascuna di loro, come nel passato Farrakhan, il famoso capo della "Nation of Islam", che ha trascinato gran parte della sua gente a immaginare che ci sia un nesso fra l'oppressione degli afro americani e una supposta attitudine ebraica al dominio, cospargono la narrativa americana di suggerimenti sull'egoismo (legato al denaro) e la prepotenza ebraica.
La velenosità dell'atmosfera si è incrudelita da quando invece Donald Trump ha dimostrato tanta simpatia e affetto per Israele: questo naturalmente ha portato a gonfiare l'idea che dietro alle sue dimostrazioni di sostegno si nasconda l'antisemitismo di destra. Difficile davvero da dimostrare, date le sue mosse di sostegno a Israele e dato anche che sua figlia Ivanka è ebrea come il marito Kushner. D'altra parte esiste in America e si fa sanguinosamente vivo con i suoi attacchi terroristi il famoso "suprematismo bianco" di venefica memoria specie nella sua aggressione ai neri d'America, ma anche nel suo odio antiebraico.
E' una lotta dura, essenziale, da cui il primo a uscire ferito è l'idea stessa di lotta contro l'oppressione, cui l'Europa e gli USA sono fondamentalmente affezionati. Si tratta di battere il famoso, venefico "intersezionalismo". Israele e gli ebrei non c'entrano niente, sono solo il solito capro espiatorio dei sensi di colpa dell'Occidente.