UNA NUOVA SFIDA PER IL MONDO PROGRESSISTA ANTISEMITISMO Io, ebrea, e le ragioni dell'odio
martedì 4 novembre 2003 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
NEL 1967 ero una giovane comunista, come la maggior parte dei
ragazzi
italiani. Stufa del mio comportamento ribelle, la mia famiglia mi
mandò in
un kibbutz dell'alta Galilea, Neot Mordechai. Laggiù mi sentivo
piuttosto
contenta: il kibbutz dava ogni mese una certa somma di denaro per
sostenere
la lotta dei vietcong. Quando scoppiò la guerra dei Sei Giorni, Moshe
Dayan
parlò alla radio per darne l'annuncio. Chiesi ai miei compagni di
Neot
Mordechai che cosa volessero dire le sue parole. Mi risposero:
Shtuiot,
sciocchezze. Durante la guerra accompagnavo i bambini nei rifugi,
scavavo
trincee e mi addestravo in alcune semplici operazioni di autodifesa.
Continuavamo a lavorare nell'orto, ma eravamo svelti a identificare i
Mig e
i Mirage che si inseguivano nel cielo sopra le alture del Golan.
Quando tornai in Italia, i miei compagni di scuola non mi accolsero
bene:
alcuni mi guardarono come se non fossi più la stessa di prima, ma un
nemico,
una persona malvagia che presto sarebbe diventata un'imperialista. La
mia
vita stava per cambiare: allora non lo sapevo ancora, perché pensavo
semplicemente che Israele avesse giustamente vinto una guerra dopo
essere
stato assalito e aver subito un numero incredibile di provocazioni e
maltrattamenti. Ma presto mi accorsi che avevo perso l'innocenza
dell'ebreo
buono, di quell'ebreo speciale fatto secondo i loro desideri. Ora, in
quanto
ebrea, ero messa insieme con gli ebrei dello Stato di Israele e
lentamente,
ma inesorabilmente, venivo esclusa da tutta quella nobile schiera di
personaggi come Bob Dylan, Woody Allen, Isaac Bashevis Singer, Philip
Roth e
Sigmund Freud, che santificava il mio giudaismo agli occhi della
sinistra.
Ho cercato per molto tempo di riconquistare quella santificazione, e
la
sinistra ha cercato di ridarmela, perché gli ebrei e la sinistra
hanno
disperatamente bisogno gli uni dell'altra. Ma ora, dopo che l'odierno
antisemitismo ha calpestato qualsiasi buona intenzione, le cose si
sono
fatte chiare.
In tutti questi anni, anche persone che, come me, hanno firmato
petizioni
per il ritiro dell'esercito israeliano dal Libano, sono diventate dei
« fascisti inconsapevoli» , come mi ha scritto un lettore in una
lettera piena
di insulti. In un libro sono stata definita semplicemente « una donna
appassionata che si è innamorata di Israele, confondendo Gerusalemme
con
Firenze» . Un palestinese mi ha detto che, se io vedo le cose in modo
così
diverso dalla maggior parte della gente, significa che il mio
cervello non
funziona bene. Sono stata anche definita una persona crudele e
insensibile,
che nega i diritti umani e alla quale non importa nulla della vita
dei
bambini palestinesi. La ragione di questi e di molti altri insulti e
critiche mi è stata spiegata da uno scrittore israeliano molto
famoso. Un
paio di mesi fa, mentre stavamo parlando al telefono, mi ha detto:
« Sei
davvero diventata una persona di destra» . Cosa? Di destra? Io? Una
vecchia
femminista, attivista dei diritti umani, addirittura comunista in
gioventù ?
Soltanto perché ho raccontato il conflitto arabo-israeliano nel modo
più
accurato che potevo e perché talvolta mi sono identificata con un
Paese
continuamente attaccato dal terrorismo? È un fatto davvero
interessante.
Perché nel mondo contemporaneo, il mondo dei diritti umani, se una
persona
viene definita di destra, è stato compiuto il primo passo verso la
sua
delegittimazione.
Ogni ebreo nato dopo l'Olocausto impara subito un messaggio molto
chiaro: il
male, per gli ebrei, è quasi sempre giunto dalla destra, in
particolare
dalla Chiesa, almeno per una buona parte della sua storia, e,
naturalmente,
dal nazismo e dal fascismo. L'Olocausto ha fatto ricadere il male
sulla
destra. E poiché gli ebrei sono il simbolo vivente di quanto possa
essere
malvagia la destra, legittimano la sinistra con la loro stessa
semplice
esistenza. Allo stesso tempo, la sinistra ha concesso la propria
benedizione
agli ebrei quali vittime par excellence, alleati sempre fedeli nella
lotta
per i diritti dei deboli contro i più forti. Quale ricompensa per il
sostegno offertogli, come la possibilità di pubblicare libri e girare
film,
nonché per la reputazione di artisti, intellettuali e giudici morali
che gli
veniva riconosciuta, gli ebrei, persino durante le persecuzioni
antisemite
dell'Unione Sovietica, hanno dato alla sinistra il proprio appoggio
morale,
invitandola a unirsi a loro nel pianto di fronte ai monumenti
dell'Olocausto. Oggi il gioco è inequivocabilmente finito. La
sinistra si è
dimostrata la vera culla dell'attuale antisemitismo. Quando parlo di
antisemitismo, non mi riferisco alle legittime critiche rivolte
contro lo
Stato di Israele, bensì all'antisemitismo puro e semplice, talvolta
accompagnato anche da critiche: criminalizzazione, stereotipi e
menzogne
specifiche o generiche, che da menzogne sugli ebrei (cospiratori,
assetati
di sangue, dominatori del mondo) hanno ampliato il loro raggio e sono
diventate menzogne su Israele (Stato cospiratore e sfrenatamente
violento),
in modo addirittura brutale soprattutto a partire dalla seconda
Intifada,
nel settembre del 2000, e assumendo una ferocia sempre maggiore
dall'inizio
dell'operazione Chomat Magen, « Muro difensivo» , quando l'esercito
israeliano
è rientrato nelle città palestinesi per rispondere agli attacchi
terroristici.
L'idea fondamentale dell'antisemitismo, oggi come sempre, è che gli
ebrei
abbiano un animo perverso che li rende diversi e inadatti, in quanto
popolo
moralmente inferiore, a diventare membri regolari della famiglia
umana. Ora
questa ideologia dell'Untermensch si è estesa a Israele in quanto
Stato
ebraico: un'entità straniera, separata, diversa, fondamentalmente
malvagia,
la cui esistenza nazionale viene lentamente ma inesorabilmente
svuotata di
significato e privata di giustificazione. Israele, proprio come il
classico
ebreo cattivo, non ha, secondo l'antisemitismo contemporaneo, diritto
di
nascita, ma è macchiato da un « peccato originale» commesso contro i
palestinesi. La sua eroica storia è stata rovesciata e trasformata in
una
storia di arroganza.
Sulle prime pagine dei giornali europei abbiamo visto vignette che,
ripetendo i classici stereotipi antisemiti, mostrano Sharon mentre
divora
bambini palestinesi e i soldati israeliani impegnati a minacciare
culle di
piccoli Gesù . Tutto questo nuovo antisemitismo, che si è
materializzato
sotto forma di una violenza fisica senza precedenti contro persone e
simboli
ebraici, nasce nel seno di organizzazioni che si dedicano
ufficialmente alla
salvaguardia dei diritti umani, e ha raggiunto il proprio apice nel
summit
delle Nazioni Unite tenuto recentemente a Durban, quando
l'antisemitismo è
ufficialmente diventato lo stendardo della nuova religione secolare
del
nostro tempo, la religione dei diritti umani, facendo così di Israele
e
degli ebrei il suo nemico dichiarato. Ma gli ebrei e in generale la
comunità
internazionale sono stati presi del tutto di sorpresa e non hanno
denunciato
la nuova ondata di antisemitismo. Nessuno si scandalizza se Israele
viene
ogni giorno accusato, senza alcun motivo, di eccessiva violenza, di
atrocità
e di crudeltà . Ognuno è tormentato e turbato per la necessità di
sferrare
dolorosi attacchi contro i covi dei terroristi, spesso nascosti in
mezzo a
famiglie e bambini. Tuttavia, ogni Paese ha il diritto di difendersi.
Nel
corso della storia, soltanto agli ebrei è stato negato questo
diritto, e
così avviene ancora oggi.
Questo nuovo antisemitismo ha un volto che, come quello di Medusa,
pietrifica chiunque lo osservi. La gente non vuole ammetterlo e
neppure
nominarlo perché in questo modo si svela sia l'identità dei suoi
sostenitori
sia il suo vero obiettivo. Persino gli stessi ebrei non vogliono
chiamare un
antisemita con il suo vero nome, temendo di frantumare vecchie
alleanze.
Perché la sinistra ha una propria idea molto precisa su cosa debba
essere un
ebreo, e se questi non segue le sue direttive, viene immediatamente
rimproverato: come osi essere un ebreo diverso da come ti ho
ordinato?
Combattere il terrorismo? Eleggere Sharon? Ma sei pazzo? E qui la
risposta
degli ebrei e degli israeliani è sempre la stessa: siamo ancora molto
timidi, molto desiderosi del vostro affetto. Perciò , invece di
pretendere
che Israele sia riconosciuta una nazione come tutte le altre e che
gli ebrei
diventino cittadini di pari gradi in tutto il mondo, preferiamo stare
al
vostro fianco, persino quando tirate fuori centinaia e centinaia di
affermazioni antisemite. Preferiamo restare vicini a voi davanti a un
monumento eretto in memoria dell'Olocausto, ascoltandovi deprecare il
vecchio antisemitismo, mentre accusate Israele, e perciò gli ebrei,
di
essere dei killer razzisti.
Come giornalista, non posso passare sotto silenzio il grande aiuto
dato dai
mass media a questo nuovo antisemitismo. Fin dall'inizio
dell'Intifada noi,
giornalisti combattenti per la libertà cresciuti nei campi del Che
Guevara e
dei fedayin, abbiamo dato del conflitto israelo-palestinese un
resoconto che
è senza dubbio il più sbilanciato e prevenuto che si sia mai visto in
tutta
la storia del giornalismo. Ecco i principali fattori che rendono
distorta
l'informazione sull'Intifada:
1) Mancanza di profondità storica nell'attribuzione delle
responsabilità del
suo scoppio: in altre parole, l'incapacità di raccontare in modo
adeguato la
storia dell'offerta israeliana per uno Stato palestinese e del
rifiuto di
Arafat che, in sostanza, non è altro che il rifiuto di accettare
l'esistenza
di Israele come Stato ebraico, e si inserisce nella scia di ormai
quasi
settant'anni di rifiuti arabi alla ripartizione del territorio di
Israele
tra arabi ed ebrei, come consigliato dagli inglesi nel 1936, deciso
dalle
Nazioni Unite nel 1947 e sempre accettato dai rappresentanti ebrei.
2) Incapacità , fin dai primi scontri ai check point, di stabilire la
responsabilità delle prime morti in conseguenza del fatto che, a
differenza
della prima Intifada, nella seconda l'esercito israeliano ha dovuto
affrontare combattenti armati nascosti in mezzo a una folla disarmata.
3) Incapacità di riconoscere l'enorme influenza delle pressioni
culturali
esercitate sui palestinesi, a partire dal sistematico indottrinamento
condotto dalle scuole e dai mass media palestinesi, con lo scopo di
denigrare gli ebrei e gli israeliani e di idealizzare i più brutali
atti
terroristici.
4) La piatta descrizione della morte dei bambini palestinesi senza
soffermarsi in alcun modo sulle circostanze in cui è avvenuta.
L'equiparazione tra le vittime civili israeliane e palestinesi, come
se il
terrorismo e la guerra che lo combatte fossero la stessa cosa, e come
se le
uccisioni mirate equivalessero a una deplorevole e triste conseguenza
di un
nuovo e difficile genere di lotta.
5) L'uso delle fonti palestinesi per verificare la realtà dei fatti,
come se
le fonti palestinesi fossero le più affidabili. Sto pensando a Jenin,
ai
resoconti non confermati di episodi che sono passati sulla carta
stampata o
alla televisione come verità assoluta. Al contrario, le fonti
israeliane,
che sono molto spesso affidabili per la presenza nel Paese di un
giornalismo
aggressivo, libero e aperto, nonché per l'altrettanto determinata
battaglia
contro le politiche del governo cambattuta dai partiti d'opposizione,
dagli
obiettori di coscienza, dai commentatori televisivi e dai
giornalisti, sono
considerate servili, piene di pregiudizi e non degne di attenzione.
6) La manipolazione dell'ordine in cui vengono date le notizie, e la
manipolazione delle stesse notizie. I titoli forniscono il numero dei
palestinesi uccisi o feriti e la maggior parte degli articoli, almeno
in
Europa, prima di raccontare gli scontri a fuoco e le loro cause, si
dilungano sull'età e la storia famigliare dei terroristi. Motivazioni
e
scopi delle azioni condotte dall'esercito israeliano, come quella di
catturare i terroristi, distruggere le fabbriche d'armi, i
nascondigli e le
basi d'attacco contro Israele, sono raramente menzionati. Al
contrario, le
operazioni israeliane sono spesso presentate come del tutto
superflue,
strane, crudeli e inutili.
7) La manipolazione del linguaggio, sfruttando il vantaggio della
grande
confusione che regna circa la definizione dei concetti di
« terrorismo» e
« terrorista» . Anche questa è una vecchia questione, legata alla
nozione di
combattente per la libertà , così cara alla mia generazione. Tempo fa,
stavo
facendo alcune interviste presso un check point. Mi è stato presto
chiaro
che l'uso della parola « terrorista» suonava nelle orecchie di tutti i
miei
interlocutori palestinesi come un peccato politico e semantico di
capitale
gravità . La stampa lo sa benissimo: l'occupazione è la causa di
tutto, il
terrorismo è chiamato resistenza e, in se stesso, non esiste affatto.
I
terroristi che uccidono donne e bambini sono chiamati militanti o
combattenti. Un atto di terrorismo è spesso definito uno « scontro a
fuoco» ,
anche quando si tratta soltanto di bambini e vecchie signore freddate
a
colpi di mitra dentro la loro macchina su un'autostrada.
È pure interessante notare che un giovane shahid è motivo di profondo
orgoglio per la lotta palestinese, ma se domandate come si fa a
mandare a
morire un bambino di dodici anni o per quale motivo questi ragazzini
vengono
indottrinati a compiere simili atti, la risposta è : « Ma andiamo, un
bambino
non può essere un terrorista. Come può un ragazzino di dodici anni
essere un
terrorista?» . Questo è probabilmente il punto fondamentale: dato che
è in
atto un dibattito infuocato sulla definizione di terrorismo, si
accetta
comunemente che il terrorismo sia un modo di combattere. Questo è un
regalo
semantico e anche materiale del nuovo antisemitismo, secondo il quale
è
naturale che un ebreo sia morto. Detto più precisamente, la scelta
intenzionale di obiettivi civili allo scopo di innescare la paura e
distruggere il morale del nemico non viene considerato un peccato
morale nei
confronti di Israele. Non scatena l'indignazione del mondo, e anche
quando
lo fa, nasconde tra le sue pieghe una certa simpatia per gli
aggressori
terroristi.
8) Infine, i media hanno diffuso il davvero stravagante concetto che
i
coloni, donne e bambini compresi, non siano dei veri e propri esseri
umani.
Sono presentati come delle pedine in un gioco pericoloso, al quale
hanno
volontariamente scelto di partecipare. La loro morte è un fatto
praticamente
naturale e del tutto logico. In un certo senso, se la sono voluta. Al
contrario, quando viene ucciso un comandante di Hamas, sebbene pure
lui,
ovviamente, « se la sia voluta» , si apre un dibattito morale e
filosofico per
condannare la perfidia con cui si eseguono sommarie condanne a morte.
Sarebbe un dibattito certamente legittimo, se non fosse per uno
scandaloso
uso dei due pesi e delle due misure da parte della stampa mondiale.
9) Infine, non bisogna dimenticare che non si parla quasi mai della
censura
e della corruzione che regna all'interno dell'Autorità palestinese,
così
come dell'eliminazione fisica dei suoi nemici politici.
Se vogliamo ottenere qualcosa, se decidiamo che è giunto il momento
di
combattere, dobbiamo sbarazzarci delle imposture e degli inganni del
politicamente corretto. Dobbiamo saper dire che la libera stampa
fallisce la
sua missione quando mente, e che sta effettivamente mentendo.
Dobbiamo dire
che tutti i diritti umani sono violati quando a un popolo è negato il
diritto all'autodifesa, e che questo diritto a Israele è
effettivamente
negato.
* La versione integrale di questo articolo, di cui pubblichiamo
ampi stralci, compare sul numero di Liberal in edicola.