UNA GIORNATA DI VIOLENZA ALL’ INDOMANI DELLA VISITA DI SHARON AL MONTE DEL TEMPIO Lacrimogeni e fucilate contro la folla impazzita
sabato 30 settembre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
INIZIAVA l'anno 5761 ieri sera per gli ebrei, e da più di due giorni
piove
sangue. Nelle plaghe desolate di Netzarim, a Gaza, mercoledì sera un
soldato
di diciannove anni, David Biri, che, dicono i suoi, era così contento
di non
essere andato in Libano, è saltato su un ordigno di Hamas nascosto
lungo la
strada. E mentre ieri lo seppellivano sul Monte Herzl a Gerusalemme,
vicino
a Rabin, sulla spianata delle Moschee scoppiava il finimondo.
Ma la giornata di sangue era cominciata su un'altra strada sterrata.
Nell'alba mediorientale, fra nebbia e sabbia, due jeep si incontrano
alle
cinque di mattina a Nord di Gerusalemme, verso Khalkilia: due
pattuglie, una
israeliana e una palestinese, incaricate di una ronda congiunta
secondo gli
accordi di Oslo, si salutano, si stringono la mano, bevono il caffè .
E' un
cerimoniale ormai consolidato, fra le poche cose rimaste identiche da
quando
Rabin e Arafat le istituirono. Ma all'improvviso uno dei poliziotti
palestinesi in divisa grida « Allah hu ahbar» , Allah è grande, e spara
all'impazzata sul gruppo israeliano. Uccide un soldato, ne ferisce un
altro.
Fugge senza che nessuno, inspiegabilmente, reagisca.
Astratto e demente, il tempo del medio Oriente è diverso da ogni
altro.
Giovedì mattina Ariel Sharon sale sulla spianata delle Moschee
suscitando la
reazione rabbiosa di migliaia di palestinesi e trascinando negli
scontri
migliaia di poliziotti che per proteggere la sua passeggiata
ideologica sono
costretti a schierare il meglio delle loro forze. Questo mentre le
donne
d'Israele preparano le polpette di pesce dolce che non possono
mancare al
pasto di Rosh Ha Shanà , Capodanno. I supermarket e i negozi sono
pieni di
gente, tutti comprano regali per i bambini; la radio cerca di
smorzarne
l'angoscia delle notizie che diventano sempre più drammatiche
intervallandole con vecchi canzoni.
Ma tutt'a un tratto più forte è la voce delle sirene della polizia,
l'urlo
delle ambulanze. Più forte la voce del predicatore negli altoparlanti
alla
moschea di Al Aqsa, le urla dei dimostranti, gli ordini della
polizia, i
botti dei proiettili con i lacrimogeni, gli schianti delle armi da
fuoco.
Clinton, Barak, Arafat e il loro processo di pace sembrano
ridicolmente
piccoli di fronte alle mura di Gerusalemme, i politici che spaccano
il
capello in quattro sul disopra e il disotto della Spianata del
Tempio, delle
Mosche, che fra alterne speranze e delusioni credono di averla vinta
sulle
pietre fanno pena. Tutto appare orribilmente illusorio di fronte a
questa
roccia che si chiamava Rusalem, o Usalem, e che il re David comprò
più di
tremila anni fa perché voleva fortemente il grande sasso su cui si
favoleggiava che Abramo salì per sacrificare Isacco. In realtà , vi si
facevano probabilmente sacrifici umani, e se ne fanno ancora. Gli
ultimi,
sono dell’ altro ieri.
Dopo la visita di Sharon, giovedì , era rimasta pesante la
sorveglianza
israeliana sul Monte del Tempio, ovvero sulla Spianata delle Moschee.
Sharon, rivendicando il diritto di tutti a visitare il luogo santo
anche
agli ebrei, aveva di fatto compiuto un pesante gesto polemico verso
Barak,
che tratta con Arafat la sovranità della Spianata.
Là sorgono le magnifiche Moschee della Cupola della Roccia e di Al
Aqsa, il
luogo da cui i fedeli credono Maometto si sia involato al cielo. Ma
sono
state costruite, e non per caso, sulla piattaforma che cela le rovine
del
Primo e del Secondo Tempio distrutto dai Romani nel 70 d.C., tre
enormi
cinte di Mura su una piattaforma artificiale, un inseguirsi di
colonne, ori,
marmi, avori in mezzo ai quali una stanza vuota celava il segreto del
Santo
dei Santi. Sharon giovedì è salito a dire ai palestinesi, in realtà ,
che non
ci contino sulle promesse di Barak di spartire la sovranità sul luogo
sacro.
La rabbia ieri mattina vibrava negli altoparlanti che diffondevano la
voce
del Muftì .
Fra l'oro della Cupola della Roccia e il nero di Al Aqsa, mentre 20
mila
musulmani si genuflettono nel giardino paradisiaco da cui si vede il
Monte
degli Ulivi e la polizia israeliana piantona i loro templi dopo gli
scontri
di giovedì , il predicatore dice parole estremiste e violente: ai
ragazzi in
maglietta americana e agli uomini in galabia bianca, fra cui qualche
centinaio di militanti di Hamas che Arafat teme come e più degli
israeliani,
il predicatore grida dai microfoni di correre a difendere la Spianata
delle
Moschee « perché è in pericolo» . Il riferimento a Sharon e anche alle
trattative di pace fra Arafat, odiato dagli integralisti islamici, è
evidente.
L'avanguardia infuriata dei giovani islamici più carichi d'odio
comincia il
lancio di pietre dalla spianata giù in basso verso i fedeli ebrei,
che nel
giorno di Capodanno sono numerosi. I nerovestiti e i turisti
multicolori si
trovano d'un tratto spintonati dalla polizia perché corrano al
riparo.
Urlano i giovani sulla spianata nello sprofondo degli ebrei, urlano
di
rabbia e odio gli ebrei riparandosi dai grandi selci che cadono a
gragnuola.
Sul ripido sentiero che porta al Muro, i palestinesi tentano una
sortita
violenta. Sopra il Muro Occidentale del Tempio, da cui il Papa ha
cercato
invano di spedire a Dio un messaggio che propiziasse la pace,
poliziotti
sparano sulla Spianata. Comincia un confuso urlante intreccio di
barelle
caricate in fretta. Il sangue bagna ancora una volta le bellissime
pietre di
Gerusalemme, distrutta e ricostruita nei secoli diciassette volte. La
città
dei tre monoteismi ancora una volta crede nelle pietre più che nella
vita
umana. Perché qui c’ è l’ even stiyat, la prima pietra da cui
l’ universo ebbe
inizio.