UNA DISPUTA TEOLOGICA DALLE CONSEGUENZE POLITICHE Un attacco reli gioso alle radici del sionismo Ovadia Yossef ha voluto delegittimare lo Stato di Ben Gurion
lunedì 7 agosto 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E' una vera mela avvelenata quella che rotola in queste ore fra i
piedi del
popolo d'Israele e che rimbalza anche nella diaspora ebraica di tutto
il
mondo. Perché non è una pura disquisizione teologica quella del
vecchio
rabbino sefardita Ovadia Yossef, capo spirituale di Shas, il partito
che ha
fatto fuori Shimon Peres dal ruolo di Presidente della Repubblica e
che ha
deciso che il governo di Ehud Barak debba cadere togliendogli il
sostegno
dei suoi 17 voti. Il Grande Rav ha impugnato, gettando nell'agone
mediologico e politico la sua interpretazione della Shoah come di una
punizione ricevuta da anime che in precedenti incarnazioni si erano
rese
colpevoli di peccati, un'arma molto lesiva rispetto alle pietre di
fondazione stesse dello Stato d'Israele, molto aggressiva verso la
componente ashkenazita della società , molto sprezzante in generale
verso il
buon senso e quindi la cultura secolare.
Partiamo della reincarnazione, il ghilgul delle anime, come lo ha
chiamato
Yossef nel suo discorso: l'idea che essa esista fa parte di una
tradizione
tarda dell'ebraismo, che nasce nel medioevo connessa al messianismo e
per
niente riconosciuta dalle correnti religiose centrali. E' già quindi
una
pesante forzatura che il rabbino sefardita l'abbia richiamata come
fosse
scritta nella Bibbia, come un atto di fede che in realtà non esiste.
Infatti
il rabbino capo ashkenazita Israel Lau si è tenuto alla larga da
questa
tradizione, dichiarandosi completamente agnostico rispetto alle
ragioni
della Shoah e dichiarandosi soltanto molto colpito personalmente
dalla
memoria dei suoi cari perduti nei Campi. Una sventola razionalista
all'onnipotenza della religione assestata da un parigrado del rabbino
sefardita, che invece ha voluto avventurarsi a spiegare le ragioni
del
padreterno.
E veniamo all'Olocausto: Yossef non ha detto parole di aggressività
puramente teologica, ma anche politica. Infatti esso non è soltanto
la più
grande, incomprensibile sventura degli ebrei, ma anche la svolta da
cui
inizia la seconda parte della loro storia, quella in cui è stata
costruita
Israele. Dire che le vittime dei nazisti sono sia pure
inconsapevolmente
colpevoli di chissà quale peccato che avrebbe addirittura causato
l'orribile
strage del XX secolo fa due danni concettuali mostruosi:
innanzitutto, rende
i nazisti arma irresponsabile di una sorta di atto di giustizia
divino,
togliendo loro la responsabilità soggettiva. E in secondo luogo
avvalla il
folle concetto della responsabilità degli ebrei nella loro propria
persecuzione, che è quello che usava la Chiesa quando per esempio
sosteneva
che gli ebrei fossero destinati a espiare l'assassinio di Cristo, o
che
spingeva Stalin a ritenere che fosse il comportamento borghese e
cosmopolita
a creare indispensabili condizioni di confinamento e di eliminazione,
e che
ispirò addirittura le parti del Mein Kampf che spiegano come
indispensabilmente si debba estirpare il cancro della cospirazione
ebraica
dalla storia dell'umanità . Insomma, l'idea dell'ineluttabilità della
mala
sorte ebraica, l'idea di una colpa originaria, non importa se storica
o
metafisica, è una componente tipica dell'antisemismo, e il tentativo
di
estirparla per sempre è giusto la virata del sionismo che fonda
Israele nel
1948 come nazione fra le nazioni, e monda il giudaismo da ogni
peccato
originale.
Se si guarda ai monumenti che dalla sua nascita Israele ha costruito
ai
morti nella Shoah, si nota subito una svolta concettuale: è l'idea,
contenuta per esempio nel monumento-manifesto del Museo
dell'Olocausto di
Gerusalemme, all'eroe giovinetto del Ghetto di Varsavia Mordechai
Anielevitch che muore col fucile in pugno contro i nazisti. Questa
idea
collega la Shoah con la Gvurà , ovvero la distruzione con l'eroismo e
quindi
il riscatto.
Ora, la versione di Ovadia Yossef esclude qualsiasi riscatto, e
quindi
confina di nuovo gli ebrei in una condizione di colpa, da cui lo
Stato
Ebraico non salverà comunque nessuno, perché solo Dio, solo la
religione, lo
può . E non la politica di Ben Gurion. Infine, non è un caso che
Yossef abbia
connesso la sua diatriba teologica con la condanna di Barak, in un
momento
in cui Shas impugna di nuovo tutte le armi della rivendicazione
etnica e
tradizionalista dei sefarditi: infatti l'Olocausto, per quanto sia
una
tragedia di tutti gli ebrei, è stato soprattutto patito dagli ebrei
europei
e ashkenaziti. Delegittimarlo, sia pure in parte, vuol dire
delegittimare i
suoi soggetti storici, appunto Barak e tutta la leadership
ashkenazita.
Alcuni giovani ieri hanno acceso sei candele per protestare contro le
parole
di Ovadia Yossef, e hanno chiesto che chi è responsabile eviti di
seguitare
a creare un terribile baratro fra religiosi e laici, fra ashkenaziti
e
sefarditi. Per ora, non c'è risposta.