Una conclusione: con i partiti ultrà è impossibile far politica La me la avvelenata di Bibi
venerdì 18 aprile 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV ANCORA la fine non è chiara, ma nonostante Bibi Netanyahu
mostri, nel suo stile, un volto da duro, da eroe western, la botta
ricevuta è grande e stupefacente la nemesi. Il sospetto che in
queste ore incombe sul suo capo (cioè di aver fatto mercato della
carica di Avvocato dello Stato) e che può portare alle dimissioni
sue e del governo, e a elezioni anticipate, sconvolge alle fondamenta
alcuni credo basilari della mitologia israeliana: per esempio, che la
giustizia, costruita rigorosamente su un modello anglosassone, sia
una sfera intoccabile e quasi direttamente in contatto con la
sacralità stessa, con l'eticità di cui Israele si pavesa. Per
esempio, tante volte, quando i palestinesi hanno incontrato soltanto
rifiuti da parte del mondo politico, hanno invece ricevuto
soddisfazione dalla Corte Suprema. Che Netanyahu, se l'ha fatto,
abbia messo in gioco la carica più alta della piramide giuridica, ha
un che di blasfemo, di antisionista, che lede, come tutta la sua
ascesa e la sua gente, il credo aristocratico ashkenazita, i suoi
intoccabili tabù . La sconfitta di Netanyahu su questo terreno
corrisponderebbe al diniego di una laurea, a una bocciatura totale a
lui e alla sua classe dirigente, un vero sprofondare nel biasimo
della storia patria. L'altro dato che ha qualcosa di epocale è
rappresentato dalla catena che ha trascinato in basso il primo
ministro israeliano. Sembra infatti che sia stato l'avvocato di Arieh
Deri (a sua volta sotto processo), il leader dello Shas, il partito
religioso sefardita, a spiattellare tutta la vicenda prima ai media e
poi alla polizia semplicemente perché Deri aveva proposto a
Netanyahu un Avvocato dello Stato che non era lui. Netanyahu aveva
accettato e aveva voluto in cambio i voti di Shas per liberare
Hebron. Deri, dunque, voleva fare un astuto patto con Netanyahu
offrendogli (sempre secondo l'accusa) i voti di un partito per cui
Hebron era sacra in cambio di giustizia comprata. Invece gli ha
soltanto porto la mela avvelenata: nerovestito, col suo alto cappello
duro da religioso, è persino un po' penoso immaginarlo mentre crede
di far politica con il bel leader israeliano adorato dalla Cnn. I due
invece hanno solo combinato un arcaico pasticcio. I voti poco
convinti, anzi, comprati dei religiosi per sgomberare Hebron hanno di
fatto trascinato Bibi nel baratro. Con i partiti religiosi è ancora
difficile, quasi impossibile, fare una politica che non sia la loro.
Netanyahu aveva a disposizione la sua vitalità , il suo trasformismo;
ma la destra israeliana è controversa e pasticciona, e non riesce in
realtà a mettere la testa fuori dalla dominazione degli ashkenaziti,
che per quanto ideologici, sanno perseguire diritti la loro strada.
Adesso, il governo di coalizione sparisce dall'orizzonte; anche Perez
non vuol più saperne nulla di un alleato che dovrebbe piuttosto
scansarsi e lasciargli libero il posto. Ne tanyahu dunque da qui a
lunedì , quando la Procura Generale deciderà se incriminarlo, certo
disegna diversi scenari. Dice di non volersene andare; ma anche se
lui non volesse dimettersi la Corte Suprema in caso di verdetto
negativo potrebbe costringerlo. Quindi è chiaro che Bibi in questo
caso, in queste ore, pensa alle elezioni anticipate che possano
restituirgli il consenso. Bisogna infatti capire che la sua gente
sente nella brutta avventura del capo anche una ingiusta pressione
internazionale contro un primo ministro democraticamente eletto; e
pensa che dopo tutto il era stato fatto per sgomberare Hebron,
ovvero per quella pace in nome della quale la sinistra in queste ore
lo insulta e lo sbeffeggia. E soprattutto la base del Likud dà la
colpa all'odio collettivo e totale dei media, compresa la tv di Stato
che ha denunciato lo scandalo. Dunque il popolo di Netanyahu può di
nuovo esaltarlo e sceglierlo; e il suo diretto antagonista in questa
fase sarebbe Perez, l'uomo che contro di lui ha già perso una volta.
E Bibi, per piacere ai suoi, già in queste ore si fa vittima e
proclama una linea sempre più dura. Chissà cosa direbbe in caso di
elezioni anticipate. Israele dunque è di fronte a una corrida
cruenta, dimentico ormai del processo di pace; è di nuovo
concentrato sul suo fondamentale conflitto interno fra una destra e
una sinistra ormai sempre più accanite nella loro lotta non soltanto
per il potere, ma anche per affermare due diversissimi modi di
pensare e di governare. Non è detto che nel tempo breve questa
situazione porti a un miglioramento dei rapporti con il suo
partner-antagonista palestinese. Fiamma Nirenstein