UNA CATENA DI RISOLUZIONI DI CONDANNA E DI ATTI D’ ACCUSA CONTRO G ERUSALEMME Mezzo secolo di incompatibilità di carattere L’ ennesima « crisi de finitiva» tra lo Stato ebraico e il Palazzo di Vetro
mercoledì 1 maggio 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
CRISI dura di Israele con l'Onu: ma quando non è stato così ? L'Onu
ha
riempito intere biblioteche di Risoluzioni anti-israeliane, votate,
oltre
che dalla stragrande maggioranza dei paesi asiatici e africani, anche
da
quasi tutti gli europei; l'Onu era definita da David Ben Gurion, con
un’ espressione onomatopeica spregiativa, « Un-Schmum» ; l'Onu ha
dichiarato il
sionismo una teoria razzista; l'Onu ha fatto di Israele il grande
accusato
del congresso antirazzista di Durban, lasciandolo insultare come uno
Stato
di apartheid, fascista, imperialista. Così Sharon ha detto di sì alla
Commissione, costretto, quando ancora sembrava che a Jenin ci fosse
stata
una strage; poi ha detto di no; poi sì ; e adesso, dopo aver fatto il
grande
passo di liberare Arafat, gli è parso di aver concesso anche troppo
per
compiacere gli americani e il consesso internazionale. E l'ha detto
dal
cuore: non ci fidiamo; meglio sopportare oggi una critica
internazionale,
che essere poi ufficialmente redarguiti comunque, dovere poi reagire
per
anni, difendersi da accuse scritte nero su bianco, e da decisioni di
ulteriori interventi che certamente già l'Onu sta programmando.
Perché dopo Jenin può venire Hebron, e poi Betlemme, e poi
Ramallah... e
infine diventerebbe realista la famosa opzione tanto perseguita da
Arafat,
fare intervenire una forza internazionale. Il sogno dei palestinesi.
« Che
l'Onu faccia quello che vuole, comunque ne sarebbe venuta una
condanna
preconcetta, non sono venuti a trovarci con una Commissione
d'inchiesta
quando gli attentati erano una marea inarrestabile, non hanno
promosso una
verifica delle responsabilità di Arafat, perché mai dovremmo
lasciarli
venire adesso» . Questo è il sentimento dell'uomo della strada in
Israele
dopo l'annuncio del governo che ha stabilito che al momento la
Commissione
di verifica non è gradita.
Abed Rabbo, responsabile dell'Informazione dell'Autorità palestinese,
ieri a
tutte le televisioni del mondo ha ripetuto che questa è semplicemente
una
prova del fatto che Israele ha qualcosa da nascondere. E che comunque
la
Commissione deve venire, magari per forza. « Venire per forza? Non
credo che
lo faranno - dice il ministro del Tesoro Silvan Shalom - a meno che
non
pensino che siamo come Saddam Hussein, un dittatore che costruisce
armi
chimiche e biologiche. L'Onu si è mossa perché siamo stati accusati
di
strage: la strage non c'è ; al massimo sono morte, in quella terribile
battaglia, oltre ai 23 soldati nostri, meno di cinquanta persone, di
cui per
ora solo sette, dico sette, sono stati identificati come civili.
Tutti gli
altri sono uomini armati palestinesi caduti in un feroce
combattimento, in
una città che era tutta attrezzata per la guerra. Una fortezza
minata. E
allora, se la strage non c'è stata, e neppure i palestinesi lo dicono
più ,
che cosa si vuole verificare? In un paese democratico ci si verifica
da
soli, ci si punisce se necessario, e se il governo non lo fa
abbastanza, c'è
l'opposizione a scoprire le malefatte. Così funziona uno Stato
sovrano
democratico. Non siamo mica la Bosnia» .
Così la voce del governo, ma non quella di Shimon Peres, che anche se
ha
sempre pensato che la Commissione così com'era costituita e
indirizzata era
impropria e che bisognava modificarla, pure ora si preoccupa
moltissimo.
Peres ha detto che ci potrebbero adesso essere persino sanzioni del
Consiglio di Sicurezza se Israele non accetterà . Anzi, Peres in
lunghe
telefonate con Kofi Annan cercava di trovare una soluzione: sembrava
che
Annan potesse accettare che la Commissione concludesse con dei
« findings» ,
constatazioni senza seguito, e non con « observations» , indicazioni
derivate
dalle osservazioni; e che ai tre membri civili prescelti dall'Onu si
potessero aggiungere tre militari che, secondo le richieste di
Israele,
verificassero in quali condizioni sul campo si era svolta la
battaglia, qual
era la trappola di tritolo preparata per le truppe, che cosa era
diventata
Jenin, la città da cui sono usciti 28 terroristi, e come aveva scelto
di
« morire in battaglia» . Perché questa è stata una delle ragioni
principali
del diniego di Israele: la scelta dell'Onu di soffermarsi sulle
conseguenze
umanitarie nella vita dei palestinesi senza guardarne le cause nel
terrorismo e nell'attacco palestinese complessivo, di cui Jenin era
la più
agguerrita roccaforte.
Inoltre, Israele non vuole, sempre per motivi di sovranità , che i
suoi
cittadini, magari i soldati che si sono visti morire accanto i
compagni,
siano interrogati senza il suo permesso; né che siano nel caso
incriminati,
magari, dalla Corte dell'Aja. E questo perché la Commissione non è
certamente filoisraeliana: uno dei membri, Cornelio Sommaruga, dicono
qui,
ha speso i lunghi anni della sua carriera di presidente della Croce
Rossa
dedicando molto impegno a impedire alla Stella di David Rossa di
entrare
nell'associazione. In definitiva l'Onu raccoglie qui una sfiducia
annosa su
cui potrebbe mettere un cerotto soltanto l'unico interlocutore
internazionale di cui Israele si fida: gli Usa, che hanno anche
l'arma di
potere eventualmente porre il veto a qualche spiacevole Risoluzione
del
Consiglio di Sicurezza. Se Bush parla, Sharon - che parte per
Washinghton
lunedì - ascolta.