UN SECOLO IN FAMIGLIA Baffi, occhi azzurri e bandiere rosse: una di nastia in lotta, da Garibaldi a Occhetto i COLAJANNI le rivoluzioni dei gatto pardi
martedì 7 dicembre 1999 La Stampa 1 commento
                
Fiamma Nirenstein 
PALERMO 
E' l'accento siciliano sullo stile europeo, la erre che esce 
ruzzolando e le 
vocali aperte sugli occhi azzurri che fanno il macho e il gentiluomo, 
che 
configurano il Gattopardo e le rivolte contadine insieme. Così sono i 
Colajanni, siciliani che come dice Luigi, oggi responsabile della 
politica 
internazionale dei Democratici di Sinistra, proprio perché hanno 
un'origine 
periferica e invece stanno sempre in prima fila nella storia 
dell'Italia 
unita, e amoreggiano con la sinistra conservando uno stile galante, 
sono 
autentici portabandiera della poca borghesia vera del nostro Paese. 
Saliamo 
le scale di Botteghe Oscure per trovare Luigi alla scrivania che fu 
di 
Giancarlo Pajetta: un bel ragazzo cinquantenne, nato quando la 
Sicilia dei 
poveri diceva « Voscienza benedica» . Lui, allora, ne ha fatto 
un'ossessione 
senza magari saperlo finché Occhetto lo acchiappò per la giacca, 
ormai 
fiorentino di studi e di laurea in architettura e lo spedì da 
funzionario 
Pci a vivere in una casa con i mandarini nel cortile dietro Casa 
Propes. 
Saliamo altre scale, all'EUR in una palazzina onesta, e qua troviamo 
in un 
appartamento zeppo di libri Napoleone Colajanni, un settantenne 
leonino, 
« incazzoso» come lui descrive se stesso, ironicamente carico di se 
stesso. 
Ma non è possibile partire da loro, i cugini che poco si frequentano 
e si 
amano, perché la cornice indispensabile è fornita da due icone. 
Napoleone I 
e Pompeo II. Più vicino nel tempo: Pompeo Colajanni, con i suoi 
grandi 
baffi, in divisa da ufficiale, entra in Torino il 26 aprile 1945 alla 
testa 
delle sue truppe: le Formazioni Garibaldi, da lui fondate, la 
Matteotti, i 
gruppi di Giustizia e Libertà , i gruppi autonomi. Un siciliano con 
grandi 
baffi è il comandante militare e politico della liberazione di Torino 
conclusa il 28 aprile. Quando il 6 maggio si svolse il corteo di 
festeggiamento, alla testa marciavano Colajanni, detto Barbato, nato 
a 
Caltanissetta nel 1906, e Vincenzo Modica detto Petralia, nato a 
Mazara del 
Vallo. Con Pompeo ci sono anche Giovanni Giolitti che diventa il suo 
commissario politico; e Ludovico Geymonat, il filosofo della scienza, 
vicecomandante. L'8 settembre quando Badoglio aveva annunciato la 
fine della 
guerra « Barbato» era già pronto a portarsi in montagna i suoi uomini 
della 
scuola di Cavalleria di Pinerolo, con cavalli e cannoncini. Allegro, 
carismatico, un guerriero genetico, che aveva fatto suo il fronte 
comunista 
sulla scia della scelta repubblicana della famiglia, a casa di 
Augusto Monti 
fondò l' Alleanza Militare Italia Unita, l'organizzazione ribelle che 
doveva 
dalle montagne del Monviso scendere a riconquistare l'Italia. Dopo 
l'8 
settembre il suo gruppo si stanziò sul Monte Bianco: si chiamava 
all'inizio 
« Carlo Pisacane» , poi divenne la Brigata e poi la Divisione 
Garibaldi. 
Quando Barbato era già sulla via per liberare Torino e dentro il 
capoluogo 
piemontese già gli operai dentro la città lottavano da soli contro i 
carri 
armati Tigre, Barbato ricevette un messaggio che gli ordinava di non 
entrare 
in città : « questo messaggio non mi convince, mi prendo io la 
responsabilità 
di disubbidire» disse Pompeo a Petralia. Così fu liberata Torino. 
Pompeo 
aveva 39 anni. L'anno prima si era sposato con Angela Caffaratto, 
piemontese 
della Val Pellice, valdese « la cui influenza rigorosa si è sentita 
molto in 
famiglia» , racconta Luigi. 
L'altra icona è il grande Napoleone nonno di Napoleone II e di 
Pompeo: il 
sociologo, il genio, il repubblicano. Scappa a 13 anni per 
raggiungere 
Garibaldi; ma viene riacciuffato, salvo poi a riprovarci e 
raggiungere a 15 
anni il suo idolo in Aspromonte. Un tipo deciso, si laurea in 
Medicina e si 
fa paladino dei poveri (nonché si guadagna un'altra laurea in 
Sociologia) 
perché , da ufficiale medico su una nave in rotta sull'Atlantico, 
studia 
l'alcolismo dei marinai e capisce che sono così mal ridotti perché 
poveri, e 
non perché geneticamente traviati. Da qui Napoleone trae una vena 
incredibilmente prolifica di impegno sociale, scrive centinaia di 
libri, 
fonda la Società di Sociologia, scrive praticamente da solo la 
Rivista 
Popolare. Socialista, positivista, pensa che la lotta di classe sia 
il 
prodotto del darwinismo sociale, fonda con Alessandro Tasca un gruppo 
socialista superinternazionalista, dialoga soprattutto con francesi, 
inglesi, tedeschi, saltando l'Italia. 
« La nonna Carolina, la più bella del paese, trent'anni di differenza 
dal 
marito - racconta Napoleone - morì nel ‘ 58, mentre il marito era 
morto nel 
‘ 21. Viveva molto da noi a Enna; la notte ricopiava a macchina gli 
articoli 
lasciati scritti a mano dal nonno. Era la vestale di un'eredità 
scientifica 
e politica mescolata che ci ha segnato tutti. I discendenti di 
Napoleone, 
sette maschi, contano cinque ingegneri, un dottore in agraria e un 
esperto 
di Internet. I discendenti di Pompeo sono tutti avvocati, fuorché un 
ingegnere» . 
Napoleone attuale era un promettente ingegnere e un ottimo partito, 
prima di 
imparare che con lo stipendio del Pci negli Anni Sessanta si poteva 
cenare 
al Caffè La Bella di Caltanissetta con 100 lire ordinando una coppa 
del 
nonno e una brioche senza perdere l'à -plomb; la nonna materna Carmela 
figlia 
di Rosina Majorana della Nicchiara aveva comportamenti degni della 
sua 
lontana parentela con i Borboni, e in parte riuscì a trasmetterli a 
casa. 
Era sorda come una campana, e quando sulla spiaggia due boati 
annunciarono i 
siluri dei sottomarini inglesi chiese senza scomporsi chi aveva 
sbattuto la 
porta così malamente. Napoleone, più giovane di vent'anni del cugino 
Pompeo, 
ha la spocchia genetica e la passione libertaria di famiglia. Il suo 
grande 
ricordo di Palermo, dove si trasferì a 17 anni con gli occhi 
spalancati su 
quella che gli apparve una metropoli, è il primo maggio del '44, via 
Libertà 
con le bandiere rosse, una rottura meravigliosa col passato, un inno 
alla 
speranza. Il secondo imprinting è quello del suo amico che sul tram 
mentre 
Napoleone va alla sezione socialista dell'Arenella gli dice: « Ogni 
giorno mi 
aggiro alla ricerca di un po' di lavoro, e quando non lo trovo mi 
viene una 
cosa in testa… » . 
Dopo le complicate spaccature del Psi postbellico Colajanni passa al 
Pci, 
Paolo Bufalini nel 1950 gli chiede di fare il « rivoluzionario di 
professione» . E qui Napoleone, che è un signore, gli esprime le sue 
riserve 
su Stalin, la sua opposizione al sistema delle purghe e alla 
prepotenza 
rivoluzionaria. Ma Bufalini non dà importanza alle obiezioni. 
Napoleone fa 
l'occupazione delle terre anche con Pompeo: ma è più scienziato di 
lui, più 
intellettuale. Il pericolo è costante, in consiglio comunale a 
Palermo si 
contrappone a Lima faccia a faccia: ma la mafia comincerà tuttavia a 
attaccare in città al tempo di suo nipote Luigi, quando quest'ultimo 
subentrerà come segretario regionale a Pio La Torre. Napoleone è 
divenuto 
più tardi l'economista liberalizzatore del partito: allora, non si 
sentì in 
diritto di esercitare la critica borghese sulla pelle dei compagni di 
base, 
così la vede lui: « Che dovevo dire, io, ai compagni che mi 
presentavano così 
alle sezioni della provincia di Palermo: "Ed ecco il compagno 
Colajanni che 
risponderà alle infami calunnie sui compagni sovietici” ? Chi mi dava 
il 
diritto di privare i diseredati della loro unica arma psicologica di 
difesa? 
Io sapevo, certo, ma cosa avresti detto a quel compagno con il 
cerchio alla 
testa quando inneggiava all'esercito sovietico in Ungheria? Che 
avresti 
detto al compagno che nella cascina, mentre giravi le campagne, ti 
faceva 
dormire in casa nonostante avesse sette figlie femmine per segnare un 
patto 
indelebile di riscossa contro una sorte di fame e schiavitù ?» . 
Colajanni, poi a Roma, deputato e quindi senatore, è stato il vice di 
Amendola alla commissione meridionale, ha trovato insulsa la 
« diversità » di 
Berlinguer, è diventato uno dei migliori teorici comunisti del 
liberalismo 
in economia, e il più coraggioso. Ha sempre litigato con tutti; 
quando è 
stato eletto a Torino nel ‘ 76, si è scontrato con Bertinotti e gli 
altri 
« sinistri» che non gli sono mai piaciuti. Anche di Occhetto pensa che 
la 
Bolognina l'abbia fatta per opportunismo. « Galleggiano sulla 
riottosità del 
partito massimalista» , dice dei dirigenti attuali, in particolare di 
Veltroni. Vive insegnando, scrivendo libri, viaggiando. E’ uscito dal 
partito nell'88. 
Nella vita di Luigi, oltre a una bellissima moglie ex indossatrice, 
Joe, che 
ha aperto nelle mura antiche del porto di Palermo una casa bellissima 
e un 
rifugio per ragazzini del quartiere che vogliano giocare (« ma si 
picchiavano 
all'impazzata, lasciandomi inerme con la mia buona volontà » ), c'è una 
figlia 
di 16 anni, Fresia, con un occhio blu e uno marrone, bella anche lei 
e 
portatrice nel volto della dicotomia internazionalsicula del padre. 
Luigi ha 
la bocca piegata da tutti i delitti di mafia che ha sofferto a 
Palermo 
quando subentrò a Pio la Torre come segretario regionale dopo che 
l'ebbero 
assassinato. Era amico di Falcone, di Borsellino, con cui si 
incontrava 
nelle case degli amici, perché a Palermo non si va insieme al 
ristorante, né 
in un bar: « Non si va in nessun posto. Sono stato per otto anni 
blindato, 
blindate mia moglie e mia figlia. Un pentito ha raccontato che 
durante una 
riunione su un prato a Villa Longa con Falcone, Borsellino e Ajala, 
ci spiò 
tutto il tempo da dietro una siepe. La morte era sempre con me, non 
me ne 
accorgevo più » . Luigi, dopo la sua lunga battaglia a Palermo, si 
trova a 
svolgere il ruolo del modernizzatore della politica estera di 
sinistra, post 
Milosevic: « Abbiamo capito che non è di sinistra abbandonare la 
popolazione 
alla furia delle armi, non è più vera la formula "mai la guerra", 
abbiamo 
letto meglio i nostri impegni con gli alleati» . Dove crescerà Fresia? 
« Sono 
contento che fin'ora sia cresciuta a Palermo, che sia siciliana 
nell'anima... Ma adesso vorrei vivesse nel mondo, per poi magari 
tornare» . 
Così Luigi, con l'accento di casa sua. E Napoleone, con accento 
ancora più 
forte sul pianerottolo dell'EUR in segno di saluto: « Me non nato a 
percuotere / le dure illustri porte / nudo accorra ma libero / il 
regno 
della morte» . 
             domenica 16 febbraio 2020  09:57:42
                Faccio osservare che Pompeo "Barbato" non è nipote diretto di Napoleone I, come sembrerebbe dal testo, bensì di Pompeo, fratello di Napoleone.
