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UN PILOTA ISRAELIANO: « MI SENTO MALE SE MUOIONO DEGLI INNOCENTI, MA M I SENTO MALISSIMO SE SALTA UN BUS PERCHE’ HO MANCATO L’ OBIETTIVO « Colpire i c ivili? A volte non c’ è scelta»

mercoledì 28 giugno 2006 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME Le pale del suo elicottero sono già in movimento, e per essere un pilota da guerra israeliano, ha detto anche troppo. Sulla base di Palmachim, il sole è spuntato da poco. Non dice il suo nome: « Mi chiami Enne, Nun in ebraico» . Le sue gesta e quelle dei suoi pari non suscitano la simpatia della stampa internazionale, e sono in queste settimane sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. E’ lui che si alza in volo quando i servizi avvertono che una squadra armata sta trasportando missili kassam verso la rampa di lancio, o quando dopo mesi di appostamenti uno dei capi delle organizzazioni terroristiche si trova a tiro, ed è ora o mai più . E lui che deve affrontare la riprovazione del mondo intero quando nel corso di un’ eliminazione mirata vengono colpiti anche civili, fra cui bambini, come è successo molte volte negli ultimi giorni. Nun è alto, quieto, di professione fisico, ha 42 anni e serve nelle riserve 100 giorni l’ anno, indossa la tuta della squadra, il suo eloquio è spontaneo. I piloti israeliani sono considerati nel suo Paese il sale della terra, è il sogno di tutti i ragazzi essere un « taias» . Lei si sente una persona realizzata? « Sono un tipo che non cercava la gloria neppure da giovane. Oggi poi che ho tre bambine e gestisco in proprio una compagnia di hi-tech, correre via quando suona il telefono per essere alla base in meno di un’ ora, pronto col casco in testa e dentro il mio elicottero è un servizio che compio, ma tante volte vorrei restare a casa. A mia moglie dico ‘ ciao’ col telefonino dall’ auto. Insomma, la gloria non c’ entra, anche perchè tutto è segreto: ma un Paese come il mio è sempre in pericolo, sempre assediato dai terroristi, ha bisogno dei suoi piloti» . Ha partecipato alle operazioni degli ultimi giorni? « Non posso dirlo» . Ce ne sono state di molto sanguinose in termini di vittime civili. Avrà visto le terribili foto dei bambini rimasti uccisi. Le dispiace? « Certo, e non poco. Qualche giorno fa abbiamo avuto ordine di colpire due terroristi importanti. Li ho individuati, ma un secondo prima di sparare una donna si è avvicinata, e allora ho deciso di restare più a lungo in aria, rischiando. Se non avessi potuto sparare, avrei annullato l’ operazione» . Lo può sempre fare? « Sì , fino all’ ultimo istante. La fiducia dei superiori nella mia decisione è totale, e ho sempre avuto il loro sostegno» . Quando va in missione conosce l’ obiettivo? « A volte nei particolari, a volte in generale. La natura dell’ obiettivo è importante: urgente, come quando qualcuno sta andando a piazzare un missile che può uccidere donne e bambini. Meno urgente, quando l’ operazione può essere rimandata, anche se sussiste il rischio di arrivare troppo tardi» . Anche dopo le tante operazioni di questi giorni, guardi in che stato di tensione vi trovate, con i rapimenti, i soldati uccisi, i missili che cadono. « Se non avessimo compiuto le incursioni aeree, il numero di perdite civili sarebbe molto più alto. Il nostro impegno tiene i terroristi sempre in movimento, impedisce loro di piazzare due volte le armi nello stesso posto, di aggiustare il tiro, tiene i loro capi in fuga. Le nostre operazioni sono indispensabili, e sono di difesa perchè attacchiamo solo quando c’ è qualcosa già in movimento. Mi sento male se accade di colpire i civili, ma mi sento malissimo se salta per aria un autobus a Tel Aviv perchè ho mancato l’ obiettivo. Quando uccidemmo Salah Shkade e purtroppo morirono anche 14 civili, era un periodo in cui saltava per aria un autobus al giorno. Da quel momento, il numero degli attentati è calato» . Tuttavia lei riceve tonnellate di biasimo, che effetto le fa? « E’ importante essere a posto non solo con la coscienza ma anche con la legge internazionale.La convenzione di Ginevra all’ articolo 28 della prima sezione nella terza parte dice che è proibito usare le persone come scudo di difesa e che chi li usa è la parte da biasimare. Questo è ciò che fanno i terroristi, sparano da Beith Hanun, da Beith Lahia.I capi si riparano dietro i bambini. E non ho scelta, alle volte devo colpire prima che lo facciano loro» . La squadra si incontra al termine delle missioni? « Dopo ogni azione c’ è una riunione: pensieri, sentimenti, problemi tecnici. E’ difficile spiegare quanto sia importante per noi ogni vita umana. Con l’ inizio della seconda Intifada siamo passati dalla guerra di eserciti a quella contro i terroristi, e sparare su un tank non è un problema, ma sparare sulle persone richiede riflessione, senso di responsabilità , resistenza, precisione mai avuta prima. Abbiamo dovuto modificare tutta la teoria» . E’ vero che le tante critiche creano cattivo umore? « Non dobbiamo mica sorridere per forza. Siamo sereni» . Lei quanto rischia? « Venga a vedere il mio elicottero, i segni degli spari glielo diranno» .

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