UN PASSO AVANTI VERSO LA MODERNIZZAZIONE, UN PASSO INDIETRO DALLA P OLITICA DEL TERRORE La guerra che scuoterà i troni del Medio Oriente La cadut a del Raí ss avrà un effetto a catena su Siria, Iran e Arabia Saudita
domenica 26 gennaio 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ESISTONO due diverse interpretazioni del fatto che Blix non ha
trovato una
« pistola fumante» : la prima, quella più diffusa in Europa, è che,
secondo i
risultati degli Ispettori (protagonisti di un racconto di Gogol!), le
armi
di distruzione di massa o non ci sono o bisogna cercarle ancora; la
seconda
è quella per cui l’ insultante lista di dodicimila pagine, incompleta
e
fuorviante, e il comportamento iracheno che ha ridicolizzato il
tentativo di
trovare la famosa « pistola» in un grande Paese totalitario, sono una
prova
di come Saddam ha rifiutato i suoi obblighi internazionali. E di
fatto, non
è mai stato sugli ispettori il carico della prova, ma su Saddam; e i
pacifisti, in una quantomeno stravagante presunzione di innocenza per
qualcuno che è già stato ripetutamente trovato seduto sul suo barile
di
antrace o di gas VHX, o intento alla costruzione dell'atomica,
sembrano
averlo dimenticato.
Nel nostro mondo, dove si sono rifugiati decine di migliaia di curdi
e arabi
fuggiti dall'Iraq dopo aver sofferto miserie inimmaginabili, ha preso
piede
un punto di vista che chiameremo superiore, superiore alle sofferenze
degli
arabi sotto il tallone dei loro regimi: i pacifisti sembrano
abbracciare
l'idea tipicamente occidentale di essere depositari di una moralità
che
trascende la vita reale e disprezza altri gruppi umani, ritenendoli
destinati alla sofferenza. E colpisce anche l'ignoranza dell'evidente
legame
fra la minacciosità internazionale di Saddam, il suo uso del terrore
(25
mila dollari a terrorista suicida palestinese, passaggi con Al Qaeda,
la
Siria, il Libano e finalmente, tramite gli hezbollah, anche con il
vecchio
nemico iraniano) e l'oppressione della sua gente.
La scala, la magnitudine degli abusi di Saddam, dovrebbero, in chi
non pensa
che il destino del mondo arabo sia segnato razzisticamente per la
schiavitù
e la miseria, riempire di orrore definitivo per l'uso genocida delle
armi di
distruzione di massa contro lo stesso popolo iracheno, per il fatto
che dal
1968 circa un quinto della popolazione è emigrata cercando rifugio
per
strade disperate, morendo a migliaia in mare sulla via della fuga. Il
fatto
che per ora non si sia trovata la « pistola fumante» è solo logico,
quando la
paura per il controllo capillare regna; delle armi di Saddam prima
del ‘ 98
esiste già , forse non tutti lo ricordano, una lista completa e
paurosa,
compilata dagli ispettori dell'Onu e verificate da vari servizi
segreti. E’
Saddam che deve dimostrare di averle distrutte, di aver ottemperato
alla
risoluzione delle Nazioni Unite.
C’ è chi si preoccupa di una rivoluzione mediorientale in difesa di
Saddam
che darà fuoco al mondo: in realtà , ci sarà una rivoluzione, completa
o in
nuce, ma democratica; comunque essa, scuotendo i troni, migliorerà la
situazione dei popoli dell'area e i loro rapporti con noi. In Medio
Oriente
accadono molte cose interessanti nell'imminenza del probabile attacco
e
tutte indicano una direzione: quella di uno scossone alle più
aggressive
satrapie del mondo, quella del ritorno all'idea di modernizzazione e
di
cauto allontanamento dalla politica di utilizzo del terrore come
esercito di
riserva e di capri espiatori ideologici (gli ebrei, gli americani,
l'occidente) delle ideologie estremiste contro i pericoli interni. Se
Saddam
Hussein cadrà , ciò risulterà in un monito fondamentale contro la
politica
della minaccia, dell’ incitazione e del terrorismo.
Questo sta già accadendo in piccolo. La Siria è il barometro più
veritiero,
perché il giovane Bashar Assad, a differenza di suo padre, un
dittatore
crudele ma cauto, ha abbracciato la causa di Saddam come nessun
altro,
cancellando la tradizione fratricida delle due frazioni del Baath a
Baghdad
e a Damasco e lasciando fare nel Mediterraneo commerci di petrolio
iracheno,
contrabbandato in barba alle sanzioni. Ma in Siria - dove si
trasferiscono
equipaggiamenti militari avanti e indietro con l'Iraq e dove, secondo
l’ analista israeliano Ehud Ya'ari, si aggira Abu Musa'ab Zaeqawi, un
pezzo
grosso di Al Qaeda che passa dall'Iraq alla Siria al campo profughi
di Ein
el Hilweh in Libano - proprio in questo periodo gli Hezbollah, che
ricevono
regolarmente armi dalla Siria, ne stanno ricevendo quantità grandi:
la Siria
teme che la guerra contro Saddam si riverberi sul suo potere in
Libano; ma
al contempo, dice Ya'ari, gli Hezbollah sono avvertiti della
possibilità di
dover rimuovere il loro quartier generale da Damasco. E anche la
Jihad
islamica e il fronte popolare.
Intanto, si dice, i siriani fanno contatto con i capi
dell'opposizione
irachena all'estero e, per la prima volta in 40 anni, membri del
partito
curdo si sono presentati in una dimostrazione di fronte al parlamento
siriano; un membro dell'opposizione in prigione ha fatto uno sciopero
della
fame coperto dalla stampa; altri osano dare interviste. Alle
ambasciate
siriane si presentano profughi che chiedono il visto per tornare in
patria.
Sulle giovani tempie di Bashar soffia un inopinato vento di
democrazia. In
Iran questo vento è un ciclone: nel Paese il cui regime finanzia gli
Hezbollah e tante altre organizzazioni estremiste, l'opposizione
studentesca
e intellettuale è sempre più forte, sembra che la rivoluzione sia
solo
questione di poco tempo.
Gli arabi sauditi, sempre i più astuti, di nuovo hanno un’ idea: si
chiama di
già « Iraq in cambio della Palestina» . Ovvero, non fate la guerra
all'Iraq e
cercheremo di sedare il conflitto arabo palestinese. L'Egitto è parte
di
questa iniziativa e anzi cerca punti perseguendo il famoso accordo
(irraggiungibile) tra fazioni terroriste per un cessate il fuoco.
Intanto,
Abu Reigh, il primo ministro giordano. in un messaggio in nome di re
Abdullah ha dichiarato che i paesi arabi devono « costruire le
fondamenta di
società civili democratiche, sostenute da istituzioni affidabili e
dalla
certezza del diritto.. per divenire più competitive e garantire un
miglior
futuro a tutti noi» .
Tra i raiss c'è chi ha più paura della propria opposizione interna,
chi del
fatto che con la guerra verranno spazzate via le possibilità di
utilizzare
quegli eserciti segreti che sono le formazioni terroriste; e chi teme
l’ esempio di una satrapia crudele e guerrafondaia costretta ad
andarsene e a
lasciare spazio a un sistema diverso. Non si temono i disordini a
favore di
Saddam: rivoluzioni di duri sono state più volte domate in Medio
Oriente, e
i raiss lo hanno fatto a Hama e nel Settembre Nero. La paura è quella
del
risvegliarsi di una coscienza, che per altro ha già semi in Medio
Oriente,
anelante alla libertà e alla democrazia. A volte il messaggio è
doppio: il
giovane Abdullah di Giordania avverte che ha preparato batterie
antiaeree
nel caso Israele voglia usare i suoi cieli; in realtà dice: « Saddam,
non ci
coinvolgere. Noi siamo fuori, non siamo qua per te...» .
Ciò di cui si dà conto nelle reazioni non è affatto quella
rivoluzione
estremista che sembrano temere i commentatori europei; al contrario,
anche
se si può immaginare che, come scrive Fouad Adjami, gli arabi
vivranno
l'evento come un ennesimo schiaffo, in tempi medi il Medio Oriente, e
quindi
la spinta islamista antioccidentale, cambierà : il terrorismo verrà a
mancare
delle fonti di sostentamento fondamentali e della libertà di
propagare
l'odio su mezzi ufficiali. Le dittature hanno sempre avuto interesse
a
mantenere vivo ogni stato di conflitto: più democratiche forme di
governo,
quali che siano, saranno più inclini a cercare soluzioni pacifiche ai
problemi dell'area, incluso quello israelo palestinese che tanto
turba la
coscienza europea.