UN’ INVASIONE CHE LACERA IL GOVERNO
venerdì 21 giugno 2002 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
TUTTA Israele in queste ore è un palcoscenico ove si rappresenta una 
vasta 
tragedia di sentimenti basilari: lutto, guerra, scontro disperato di 
visioni 
mentre si danza sull'orlo dell'abisso. C'è stupore che i terroristi 
suicidi 
siano potuto arrivare a tanto, e, di fatto, c’ è una grande incertezza 
sul 
che fare. Ieri, mentre in un discorso pubblico Sharon raccontava 
quello che 
aveva visto alla fermata dell’ autobus 32, la voce gli si è inceppata, 
le 
parole si sono confuse in modo poco marziale: « In tanti anni di 
guerra non 
ho mai visto un simile sanguinoso eccidio» . Sono stati seppelliti 
altri 
giovani di 20, 17, 19 anni, e una nonna con la nipotina di cinque 
anni. 
L'aria è di guerra come non mai. I telefoni hanno suonato in ogni 
casa: 
l'esercito richiama i riservisti con procedura d'urgenza. Jenin, 
Qalqilya, 
Nablus: mentre l'esercito ripete scene molto simili a quella di 
« Muraglia di 
difesa» , con arresti e sequestri di armi, ci si chiede quanto questa 
volta 
l'operazione sia efficace. Intanto Sharon annuncia che stavolta 
resterà nei 
Territori finchè non cesserà il terrore, e questo desta grande 
discussione. 
Peres è sempre più triste: « Ci stanno uccidendo i nostri cittadini, 
l'economia è rovinata, la guerra e il muro non serviranno» , è stato 
sentito 
esclamare. Il deputato di sinistra Chaim Ramon esclama: « Voi, 
colleghi del 
mio partito che state nel governo, sapete soltanto occupare altra 
terra. 
Uscite dal governo una buona volta» . Ma Fuad Ben Eliezer, ministro 
della 
Difesa, spiega che adesso agire contro le stragi è la cosa più 
urgente, e 
che non c'è nessuna occupazione programmatica. Però si sa che lui e 
Sharon 
sono in rotta. 
Il capo di Stato Maggiore Shaul Mofaz non è affatto favorevole a 
un’ occupazione di lunga durata: teme un alto costo in vite umane. E 
il 
famoso commentatore Zeev Shiff dice che comunque un'occupazione è 
impossibile: Israele si troverebbe responsabile di una comunità 
protesa al 
terrorismo suicida e provocherebbe l'odio e il dissenso 
internazionale, 
compreso quello americano. Chi pensa che si debba restare in 
Cisgiordania è , 
per esempio, il ministro degli Interni Uzi Landau, che ricorda come 
durante 
l'operazione « Muraglia di difesa» la marcia folle dei terroristi si 
era 
fermata. Comunque il pubblico israeliano è contrario: lo dimostra 
l'indice 
di pace, una ricerca mensile dell'università di Tel Aviv. Il 65% 
degli 
israeliani sarebbe pronto a uno sgombero unilaterale dagli 
insediamenti. I 
dati sono del 6 giugno. 
In tutto questo, che ruolo può avere la barriera di divisione in 
costruzione 
per separare, almeno nei punti più delicati, i terroristi suicidi dai 
loro 
obiettivi? Il consenso è abbastanza ampio, ma gli oppositori sono 
molto 
preoccupati. Ieri dall'insediamento di Beit El, mentre parlava a nome 
di 
tutti i suoi cittadini, il sindaco ha detto: « Non sappiamo neppure se 
saremo 
di qua o di là dalla muraglia: e l'invito di Arafat a non colpire i 
civili 
dentro la linea verde sembra fare di noi dei bersagli destinati alla 
strage» . 
Infine, c'è un inedito, accorato senso d’ orrore verso la cultura 
della morte 
che promana dalla società palestinese. Amnon Dankner, direttore del 
quotidiano Maariv, scriveva ieri: « Che razza di gente siete, 
palestinesi, 
che sostenete, esprimete gioia per questi atti disumani e brutali? 
Che razza 
di società è quella che produce questo fenomeno? Siete una società 
impazzita 
di inimicizia... e con i vostri attacchi suicidi state distruggendo 
voi e 
noi insieme. Avete una scelta fra speranza e disperazione: e avete 
scelto la 
disperazione, tentando di trascinarci con voi» . 
            