UN GESTO DI ROTTURA CON L’ ESTREMA DESTRA, PRIMA DELLA RIUNIONE DECISI VA Sharon caccia due ministri anti-ritiro E’ un segnale a Peres perché appoggi il piano
sabato 5 giugno 2004 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
E’ un gesto storico di separazione dalla destra estrema quello che il primo
ministro israeliano ha compiuto ieri mandando lettere di licenziamento a due
ministri del Partito nazionale religioso contrari al progetto di sgombero da
Gaza e parte del West Bank. Avigdor « Ivette» Lieberman, un ex sovietico di
tempra durissima, ha ricevuto la lettera in palestra di prima mattina dopo
essersi rifiutato di rispondere all’ invito del primo ministro che lo
convocava per le 9. Ha definito il gesto di Sharon: « isterico,
antidemocratico, un ennesimo errore» ; il ministro del Turismo Benny Elon,
visceralmente avverso allo sgombero ha passato la giornata a Gaza e non
parla.
Ma parlano i fatti, o meglio seguono le parole pronunciate dal premier
israeliano tre giorni fa, quando Sharon ha detto alla Commissione Esteri e
Difesa della Camera: « Alla fine del 2005 non ci sarà più un solo ebreo in
tutta Gaza» . Una presa di posizione tanto dura che l’ editorialista di punta
del quotidiano Jerusalem Post, Caroline Glick, se ne è chiesta le ragioni.
Il motivo è duplice: così Sharon invita decisamente Shimon Peres ad
accogliere il suo programma e ad appoggiarlo quando giungerà alla Knesset
dopo che sarà passato, proprio domani, salvo sorprese sempre possibili, alla
riunione di Gabinetto. Sharon ha cacciato apposta i due ministri che più
odiano lo sgombero perché il suo piano passi. I suoi problemi sono iniziati
quando ha ricevuto un voto contrario al piano dal suo stesso partito: è qui
che Bibi Netanyahu, ex primo ministro, oggi ministro del Tesoro, il più
diretto antagonista di Sharon, sempre pronto a sostituirlo, ha ritirato il
sostegno promesso al premier di ritorno dagli Usa, il mese scorso negli Usa.
Qui il presidente George Bush aveva benedetto il piano con tale enfasi che
anche Netanyahu non aveva potuto ignorarlo; ma il referendum del partito lo
aveva riposizionato all’ attacco, in competizione con Sharon, sostenuto da
due altri importanti ministri del Likud, la signora Limor Limnat e Silvan
Shalom ministro degli Esteri. Il gruppetto, piccolo ma potente, ha trascorso
gli ultimi due giorni chiuso all’ Hotel Carlton di Tel Aviv insieme a un
emissaria di Sharon, la ministra Tzipi Livni. E’ questo forse il personaggio
più rispettato e affascinante di cui il Likud disponga, una giovane
professoressa bionda, seria e colta, fedele a Sharon, che ha trascorso le
ultime 48 ore alla ricerca di un accordo che consentisse a Bibi di offrire
all’ estrema destra di approvare la linea di Sharon. Perché Bibi ci teneva
tanto? Per evitare la rottura del governo, esorcizzare l’ ingresso dell
sinistra di Shimon Peres nel grande gioco politico e perfino in un nuovo
governo di coalizione, e conservare al Likud il ruolo di leader rispetto
alle forze politiche di destra che si oppongono al ritiro.
L’ espediente trovato, però , è stato davvero misero: iniziare lo sgombero
dando un contentino in denaro ai coloni. « Impossibile» ha risposto Sharon
all’ esausta Tzipi Livni, « mi rideranno dietro, come sgomberare e finanziare
gli insediamenti allo stesso tempo?» . Il pubblico intanto cominciava a
criticare lo stesso Netanyahu: come ha potuto, chiede la giornalista
politica Ayala Hasson, un ministro del Tesoro così severo, autore di tagli
tanto dolorosi anche per i poveri, proporre di dare soldi a chi non li potrà
usare perché verrà spostato?
Sharon in ogni caso sembra deciso ad andare fino in fondo se le circostanze
glielo permetteranno: è molto difficile, poiché la crisi di governo è dietro
l’ angolo, e Sharon stesso potrebbe esserne travolto. Le forze in campo
contro di lui sono poderose e straziate da interrogativi pesanti: si tratta
di sradicare migliaia di persone da case che abitano da generazioni, dopo
una guerra sanguinosa in cui, dice il ministro Elon « alla fine daremo le
case in premio ai terroristi» . Ma Sharon, se andrà alle elezioni (e se ne
parla come di una ipotesi ormai imminente, nel giro di 3/4 mesi) è quasi
certo di vincere: gode del favore del 25% della popolazione, che lo
preferisce a Shimon Peres (22%) a Bibi (21%), a Ehud Barak (10%).
Più importante di tutto è la prospettiva strategica di Sharon: nei prossimi
mesi, mentre si gioca il passaggio di poteri in Iraq, è aperta di nuovo la
grande corsa all’ idea basilare di George Bush, la democratizzazione del
Medio Oriente. Se Sharon riuscirà ad effettuare lo sgombero e metterà in
moto un processo di trasformazione dell’ autonomia palestinese con l’ avvento
di una leadership più moderata di quella di Arafat, questo segnerà una
grande vittoria per la linea delle riforme democratiche e sarà un dono
importante per George Bush alla vigilia delle elezioni. Inoltre egli vuole
soprattutto, come dice il suo vice Ehud Olmert « guardare negli occhi le
madri dei soldati e non mandarli a morire per un pezzo di terra che prima o
poi dovremo lasciare» .