UN FENOMENO CHE NON RISPARMIA L’ EUROPA E PORTA A CONFONDERE LE VITTI ME CON GLI AGGRESSORI Contro Israele l’ antisemitismo globale
martedì 6 aprile 2004 La Stampa 0 commenti
                
Pubblichiamo una sintesi del discorso che Fiamma Nirenstein ha tenuto a 
Montreal alla Conferenza su « La dimensione globale dell’ antisemitismo» . 
Fiamma Nirenstein 
PER tre anni e mezzo giornalisti, scrittori, politici, gente legata a 
differenti organizzazioni non hanno fatto che discutere l’ enorme sconcerto, 
lo stupore, il dolore, di fronte al diffodersi di un nuovo antisemitismo 
globale... Non lo voglio descrivere qui, l’ ho già fatto altrove; mi sono 
molto diffusa sul divorzio a partire dal 1967 fra la cultura di sinistra, 
cui appartengo storicamente come la maggior parte degli italiani della mia 
generazione, e Israele. Il rifiuto arabo, la campagna terrorista dopo 
l’ ennesimo no di Arafat nei confronti di Mubarak a Camp David, le difficoltà 
di combattere una guerra senza precedenti contro il terrorismo e 
l’ incitamente a uccidere gli ebrei che ha accompagnato la scelta di 
Arafat... tutto questo ha fatto da cornice a un crescente odio nei confronti 
di Israele e di tutto quello che le è connesso, ovvero gli ebrei del mondo 
intero. 
Non si trattava di critica a Israele, ma di pregiudizio, di odio, di 
antisemitismo: e il ministro israeliano per la diaspora Nathan Sharanskj, 
l’ ex refusenik che ha imparato sulla sua pelle l’ antisemitismo totalitario, 
ha definito e portato molti esempi delle « tre D» che mettono l’ ebreo 
collettivo, Israele, al centro dell’ odio antiebraico odierno; 
demonizzazione, doppio standard e denial, la negazione del diritto di 
esistere di uno Stato ebraico. L’ Europa, sulla scia del Mondo Arabo, ha 
seguitato a negare per tre anni (dall’ inizio dell’ Intifada) che si trattasse 
di antisemitismo, sostenendo che questa era legittima critica della politica 
di Israele, o del perfido Sharon. Non destava sospetti che tale critica si 
esprimesse nelle caricature di Sharon nudo che mastica bambini palestinesi 
il cui sangue gocciola sul suo petto. 
Oggi, tre elementi fondamentali vanno messi in rilievo. Primo: quando era 
del tutto evidente l’ ondata antisemita, il diniego europeo è stato deciso 
tanto da rallentare enormemente la reazione, dando il tempo al fenomeno di 
diventare enorme. Secondo: l’ enorme mole di elaborazione spesa su questo, la 
massa di articoli, di libri, di convegni, di risoluzioni... ha cambiato lo 
stato della conoscenza. Oggi si ammette che l’ antisemitismo è un problema; 
che la sua prima fonte di importazione che ha trovato fertile terreno nelle 
antiche radici europee è tuttavia, oggi, l’ islamismo estremo, che genera 
anche il terrorismo. Terzo: Israele è il cuore dell’ attacco antisemita, il 
conflitto è stato letto attraverso una lente deformante a causa della mole 
immensa di propaganda araba, e della sua alleanza con i movimenti antiglobal 
e antiamericani. Ma, per la prima volta nella storia dell’ umanità , gli ebrei 
si trovano a combattere con il loro Stato a fianco, uno Stato che ha un 
ministero per la lotta all’ antisemitismo. E’ la prima volta nella storia che 
l’ ebreo non è solo: e Israele è un corpo democratico, moderno, influente, la 
cui voce è moralmente e strategicamente ascoltata dai presidenti degli Usa 
(da Clinton a Bush), non come un risultato di una lobby (gli arabi ne hanno 
una più danarosa e più vasta) ma per il retaggio morale ebraico e il suo 
incredibile successo nell’ economia, l’ arte, le scienze pure nello scontro 
quotidiano con terribili nemici. Mai prima d’ oggi l’ antisemitismo è stato un 
argomento di controversia diplomatica ai livelli governativi e dei forum 
internazionali. Per la prima volta è un problema che investe rapporti 
economici, o militari, o di intelligence. Ora i rappresentanti eletti del 
popolo ebraico possono puntare ufficialmente un dito accusatore contro le 
risoluzioni e i documenti nell’ assemblea generale dell’ Onu; o contro la 
Comunità Europea. L’ aiuto esterno, che gli ebrei della diaspora se ne 
rendano conto oppure no, dona loro una forza senza precedenti. 
Tutto questo ci porta all’ ultimo punto, quello strategico: la 
globalizzazione dell’ antisemitismo va di pari passo con i suoi altri grandi 
problemi, sta dentro le sue contraddizioni, ed è qui che bisogna 
considerarla e combatterla. Il segnale di tromba lo si ha non a caso a 
Durban, nel 2001, quando una conferenza dell’ Onu contro il razzismo si 
trasformò in una conferenza razzista contro Israele. Con un ritorno alla 
risoluzione Onu del 1975 « sionism is racism» , si attruirono a Israele tutte 
le colpe del mondo moderno: pulizia etnica, razzismo, crimini di guerra, 
crimini contro l’ umanità , apartheid. Ciò ricorda quello che Emile Fakenheim 
scriveva: prima si dice « non puoi vivere fra noi come ebreo» ; poi « non puoi 
vivere fra noi» ; e infine « non puoi vivere» . Nelle strade d’ Europa si sono 
viste scritte parallele e opposte a quelle degli anni ‘ 30: allora si scrisse 
« Gli ebrei in Palestina» ; oggi: « Fuori gli ebrei dalla Palestina» : una 
specie di « destinazione, il nulla» . 
In nome dei diritti umani, il messaggio globale di moda è divenuto quello 
della negazione che Israele appartenga alla famiglia delle nazioni, ma che 
sia uno stato criminale così come gli ebrei sono una nazione criminale. 
Questa fantasia nata nel palazzo dei sogni dell’ estremismo arabo, si è 
innestata sulla crisi della globalizzazione europea: la fantasia sulla fame 
di potere degli ebrei ha sposato le teorie del complotto bellicistico 
giudaico americano post 11 settembre, si è accoppiato con il senso di colpa 
postcoloniale e con l’ ira antiglobale antimperialista. 
Un’ Europa ossessionata dal problema dell’ egemonia americana e dalla paura 
della guerra, incapace di perdonare agli ebrei di essere stata la sua 
vittima nella Shoah, ha accettato l’ antisemitismo come pegno. Eppure, troppi 
cristiani sono stati assassinati in tante parti del mondo, gli americani 
sono stati attaccati, l’ Europa si è trovata popolata da cellule 
terroristiche, Madrid ha pianto duecento morti. Questo, mentre facevamo di 
tutto per dimostrare che il mondo è più piccolo e più unito, più integrato, 
capace di superare le differenze. I milioni di musulmani che vivono a 
Londra, Parigi, Roma, hanno sucitato molte speranze. Ma ecco che si è 
mostrato il grande rift: l’ idea di una umanità unita è retaggio occidentale, 
non necessariamente di altre culture. Molti musulmani vedono l’ unificazione 
come un rischio di egemonia imperiale. Molti hanno tratto dall’ esperienza 
nei paesi occidentali disprezzo e disgusto. Sessualità , ruolo della donna, 
diritti civili, decenza, onore... Le differenze sono diventate motivo di 
frattura. 
All’ inizio l’ Europa ha fatto poca attenzione 
all’ antiamericanismo-antisemitismo promanante da parecchie moschee. 
L’ Europa, sempre pronta per l’ antisemitismo e l’ antiamericanismo, pure non è 
mai stata pronta ad ammetterli. Un vero antisemita esce, per la storia 
Europea, dalla dimensione della decenza, nessuno che sia antisemita è un 
vero candidato per la leadership, o nemmeno un invito a cena in una casa 
come si deve. Perdi la credibilità post 1945 dei diritti umani e civili se 
ti associ all’ idea che gli ebrei e Israele siano assetati di sangue, la 
scoperta di essere diventati antisemiti è un lusso che solo i regimi 
totalitari arabi si possono permettere. 
Una democrazia europea non può : la generale cultura dell’ integrazione si è 
presentata invece, nel tempo, con questa macchia sempre più indecente, il 
suo senso comune si è macchiato di antisemitismo e terrorismo. Se le 
istituzioni e gli intellettuali che l’ hanno permesso saranno finalmente 
costretti a ammetterlo, la battaglia non è del tutto perduta: approfondire 
le contraddizioni dell’ attuale società globalizzata, criticarne la 
confusione fra vittime e aggressori, e valorizzare i segnali di 
consapevolezza (ormai tanti in Europa, congressi internazionali, incontri 
fra Paesi), affondare la spada nella follia delle istituzioni globali create 
quasi apposta per criminalizzare Israele, monitorare le istituzioni 
internazionali cadute preda di ideologie antiamericane, segnalare il 
rapporto fra antisemitismo e sviluppo del terrorismo in Europa... Tante cose 
si possono ancora fare. Studiare l’ Olocausto? Questo è un tema a sé stante. 
A un fulmineo approccio, la sensazione è che non sia servito quanto si 
sperava. 
            