UN DELITTO STRATEGICO IN MEDIO ORIENTE roppo amico di Riadroppo ostil e a Damasco’ ucciso, con cautela ma determinazione, stava tentando di nstr adare il Paese nel difficile percorso verso l’ indipendenza
martedì 15 febbraio 2005 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E’ un delitto colossale e strategico quello che ha ucciso l’ ex primo
ministro libanese Rafik Hariri sulla passeggiata a mare di Beirut. E’ un
cancro che improvviso può espandersi nel cuore di un processo di cambiamento
e lotta al terrore, dopo la ripresa di contatti amichevoli fra palestinesi e
israeliani e le elezioni in Iraq. Perché Hariri non era solo un leader arabo
di estrema importanza, come ripete in queste ore tutto il consesso dei
notabili e dei raiss, primo fra gli altri Amr Mussa capo della Lega Araba.
Hariri era un nodo di contatti, di scelte e anche di contraddizioni che
aveva tuttavia percorso con cautela, ma con decisione una lunga strada,
quella della democratizzazione e dell’ indipendenza dalla Siria, e quindi
anche dell’ affrancamento dallo strapotere ormai istituzionalizzato degli
hezbollah e dall’ influenza dell’ Iran, che certo ad Hariri, in quanto
sunnita, risultava più pesante.
Hariri, elencato da Forbes fra i cento uomini più ricchi del mondo,
sessantenne, pieno di vitalità , molto amico di grandi industriali, di
notabili di tutto il mondo e di teste coronate specie nell’ ambito saudita, e
in Arabia Saudita aveva anche abitato a lungo; tornato, era stato un
protagonista della turbolenta vita libanese diventandone primo ministro
dodici anni fa, gestendone con uscite e rientri le impossibili crisi, e di
fatto diventando rapidamente un nemico indicato a dito dal largo partito
favorevole dall’ occupazione siriana o comunque connivente. Questo non gli
aveva impedito di diventare il protagonista di quella ricostruzione di
Beirut che negli ultimi anni aveva richiamato turisti da tutto il mondo in
una capitale rifiorita, anche se qualcuno seguitava ad accusarlo di aver
sempre tenuto molto d’ occhio, oltre che alle sorti del suo Paese e della
città in cui era nato e si era laureato in Economia e Commercio, anche
quella fioritura di cemento e di alberghi che aveva sempre aggiunto denaro
alle sue fortune. E tuttavia, nella ricostruzione di Hariri, c’ era specie
ultimamente sempre l’ intenzione, anche se talvolta cifrata, di raggiungere
la libertà , di liberarsi dalla dominazione siriana, e persino, come aveva
detto più volte, di pacificare quel confine con Israele che gli hezbollah
rendono bollente anche dopo il ritiro dell’ esercito e il riconoscimento dei
confini da parte dell’ Onu.
Insomma, Hariri era l’ uomo del futuro, nonostante fosse stato costretto a
dimettersi nell’ ottobre per far posto a Emile Lahoud, il presidente filo
siriano che solo venerdì scorso ha attaccato a testa bassa uno dei
sottosegretari agli Esteri americani, Donald Satterfield, invitandolo a non
impicciarsi dell’ occupazione siriana in Libano, e di lasciare a lui « di
proteggere gli interessi del Libano e di mantenere la stabilità » . Una
risposta questa soprattutto a quella risoluzione del Consiglio di sicurezza
dell’ Onu del settembre 2004 fortemente caldeggiata dagli Usa. Una
risoluzione che ha irritato Bashar Assad fino al punto di rifiutare la
settimana scorsa una visita dell’ inviato dell’ Onu in Medio Oriente, Terje
Larsen. Questa risoluzione, la 1559, tutti dicono in Libano e in Siria che
fosse stata caldeggiata con i suoi potenti mezzi proprio da Rafik Hariri.
Da tempo l’ uomo, pur senza prese di posizione troppo dirette, aveva preso a
sostenere con grande abbondanza di mezzi l’ opposizione libanese. Per questo
forse la tv di Hariri, « Fortune» , era stata colpita, i suoi uomini uccisi.
Oggi, specie quando la memoria corre alla storia delle interferenze siriane
nella vita libanese, agli attentati kamikaze (i primi) e agli assassini,
sempre negli Anni Ottanta di Bashir Gemayel e di Gamal Jumblatt, appare
chiaro all’ orizzonte l’ asse che non fa dormire di notte i tessitori della
pace mediorentale: Hezbollah, Siria, Iran. Un mondo scosso, messo
direttamente sotto accusa dagli americani, che cerca di ristabilire una sua
forza strategica messa in discussione dalla nuova tendenza alla democrazia
nel Medio Oriente, che adesso ha un nuovo urgentissimo banco di prova non
solo in Iraq, non solo fra i palestinesi, ma in Libano.