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UN ATTENTATO DIVERSO DA TUTTI I PRECEDENTI « Hanno ammazzato i gioi elli di Israele» Colpita la generazione cresciuta nell’ idea della pace

sabato 2 giugno 2001 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV IL « Delfinario» , la spiaggia calda e ventosa di Tel Aviv, il rumore delle onde che si rompono, e tanti ragazzi che cercano di dimenticare nelle discoteche e nei caffè la tensione di questi giorni terribili. Fingono la pace, recitano la quiete, si vestono con le minigonne vertiginose, con i jeans corti al ginocchio, l’ orecchino, l’ ombelico all’ aria. Il bum bum della musica ritmica esce dalla bocca della « Paccia» , una discoteca nuova, e davanti chiacchierano e ridono in fila i ragazzi, più di cinquanta, aspettando di essere scelti dalle guardie del locale. Proprio là nel mezzo si è infilato il terrorista suicida: imbottito di tritolo, deve aver guardato fisso i suoi svagati nemici immersi nell’ inutile giuoco della pace. Li deve aver guardati negli occhi, come raccontano sempre i sopravvissuti, e poi si è portato via tutte quelle vite di ragazzi. E si è creato l’ inferno sull’ ultima spiaggia, Tel Aviv, che si crede lontana dall’ assedio di Gerusalemme e dei Territori, o delle città vicine all’ Autonomia palestinese come Natanya, o delle strade in cui i guidatori cadono vittime di agguati. I bei ragazzi della città che non dorme mai, che pulsa e si diverte, che ama l’ high tech e l’ arte, i giovani che hanno nel sangue le dimostrazioni di « Pace Adesso» e la vita bohè me e che hanno acceso migliaia di candele per Rabin, sono finiti sbranati e feriti per terra in quella che probabilmente si rivelerà come la più grande strage di questa Intifada fino a oggi. Un ragazzo vestito tutto di bianco, quasi sorridente nella stupefazione, racconta che non ricorda nient’ altro che la bellissima ragazza che invece non perdeva una goccia di sangue dopo lo scoppio: soltanto, era morta. Un altro racconta di giovani senza mani e con la faccia in poltiglia. Sul marciapiede, dopo lo scoppio, dopo qualche secondo di silenzio totale, si è vista, mentre le urla e i lamenti si levavano tutt’ intorno, una strage di gioventù quale si legge soltanto nei poemi epici: intorno una pioggia di sangue, una fontana di gocce e rivoli sparsi ovunque, e ragazzi dall’ adolescenza ai vent’ anni buttati per terra a pezzi, cadaveri e tronchi, ferite e sbrani in corpi ancora bambini, sui volti truccati e fra i capelli ricci delle ragazze. Questo è un attentato diverso da tutti gli altri: i ragazzi che stavano in piedi al vento di mare di Tel Aviv sono il gioiello della nazione, ragazzi adorati dalle famiglie, che avevano nove anni quando cominciò il processo di pace, e quindi cresciuti nell’ idea di non dovere forse neppure fare il militare. Adesso, certo, alcuni di loro erano militari di leva in licenza dall’ esercito nel week end, soldati con il telefonino cui la mamma chiede « cosa hai mangiato» e non dorme la notte chiedendosi qual è in quel momento la sorte del ragazzo. I genitori si sono precipitati alla spiaggia e agli ospedali cercando i propri figli; trenta ambulanze urlavano nel buio mentre la polizia, che nel passato aveva bloccato altri terroristi per strada verso Tel Aviv, si dava d’ attorno ormai inutilmente. La radio e la televisione fin dai primi momenti davano i numeri di telefono per avere notizie dei feriti che crescevano di minuto in minuto. Qualche politico cercava di fare coraggio alla popolazione. L’ attentato di stanotte è un gesto che cambia le carte in tavole: Sharon, dopo aver dichiarato, senza ricevere nessuna risposta da Arafat, il cessate il fuoco, era in procinto di partire per l’ Europa per un giro di consultazioni. Adesso la tragedia è troppo grande perché gli israeliani possano permettersi di non contrattaccare in qualche modo.

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