Fiamma Nirenstein Blog

Un’ altra strage di ebrei russi

venerdì 5 ottobre 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Nathan Sharanskji, ancora incerto fra l'ira e il dolore, gli occhi rossi e gonfi, è stravolto dall'ennesimo fulmine che cade sul popolo degli immigrati russi in Israele. L'ex eroe che passò tanti anni nelle carceri russe finchè la pressione internazionale lo liberò e potè immigrare in Israele, dove oggi è ministro, ci racconta una storia: « Nessuno sa ancora i nomi dei nostri morti, più di cinquanta israeliani a quanto sembra, e quasi tutti nuovi immigrati. Ancora è nebbia. Ma io sono parte della famiglia di questo piccolo mondo che capisce e parla un ebraico stentato, che mangia e sente musica e legge poesie in russo. Così , oggi, ho ricevuto molte telefonate di amici disperati: fra questi una famiglia che vive a Gilo, il quartiere di Gerusalemme su cui si spara da mesi. La casa di questi amici è proprio in Rehov Anafà , il bersaglio di tutte le pallottole. Mi hanno raccontato come con grande fatica, dato l'anno di terribile paura e di stress, erano riusciti a pagare il biglietto alla nonna perché si riposasse un poco a Novosibirsk, a casa. Perché dormisse nel suo vecchio letto, rivedesse gli altri nipotini rimasti là . Così , era su quel Tupolev. Il destino degli immigrati russi è una specie di storia d'Israele compressa e sintetizzata» . Oggi Israele parlerà solo dei suoi immigrati russi, come non fa tanto spesso, perché a volte preferisce dimenticarsi i problemi interni, troppo assorta nella guerra; così però ha dovuto fare piangendo quel giorno di giugno in cui 25 ragazzi, quasi tutti russi, quasi tutti sotto i diciotto anni, furono trucidati dalla bomba di un terrorista suicida mentre stavano in coda di fronte a una discoteca da pochi soldi sul lungomare di Tel Aviv; come ha fatto sussultando quando uno dei due soldati linciati a Ramallah nei primi giorni dell'Intifada, lui stesso un immigrato russo, lasciò una disperata vedova anch'essa nuova arrivata. E di continuo, i Serghei e gli Evgheni, diciotto o diciannove anni, compaiono con volti sorridenti e capelli biondi nelle piccole foto dei soldati uccisi in questi mesi. In queste ore, in un'ebraico spezzato o direttamente nella lingua d’ origine, i parenti e gli amici dei più di sessanta russi-israeliani partiti col Tupolev hanno continuato a telefonare al ministero dell'immigrazione e del traffico, dove erano stati approntati servizi di informazioni in lingua russa; contro ogni tradizione la tv ha trasmesso le notizie anche in russo. Novosibirsk si è improvvisamente scoperta una specie di periferia di Gerusalemme, una città con una grande comunità di ebrei: le loro lacrime, le loro parole di disperazione sono diventate un coro telefonico pianto insieme ai russi di qua, per i quali si è scoperto che quel luogo esotico è invece molto familiare. Gli inviati dell'Agenzia Ebraica considerano quella città una specie di succursale di Israele, da cui ormai è immigrata gran parte della comunità che oggi è composta di 5000 persone, e che è anche luogo di raccolta per tanti nuovi emigranti provenienti da varie parte dell'universo ex sovietico. Nei suoi quattro punti cardinali, nelle città e nelle campagne, quell’ universo è stato battuto con dedizione e costanza dai tempi in cui il comunismo vietava agli ebrei di essere tali, e chi faceva professione di sionismo, come Sharanski o Ida Nudel, veniva rinchiuso in carcere. Si sono creati centri di assistenza, scuole di ebraico e gruppi di consulenza legale e culturale. A Novosibirsk in particolare gli inviati dell'agenzia Ebraica hanno tenuto corsi per prepararsi all'emigrazione, hanno rinfrescato l'incerto ebraismo di chi vuole lasciare la Russia in direzione di Tel Aviv. I quasi due milioni di immigrati che suonano il pianoforte e il violino, mangiano maiale, in parte conoscono l'ebraismo solo per mezzo di qualche nonna dimenticata e anzi vanno a Messa, sono la comunità più difficile che esista da sistemare per la sua sovraqualificazione (dove metti quasi 90mila ingegneri, 18mila dentisti, 20 mila artisti, 40mila insegnanti e 15mila scienziati?); per la disponibilità , per contro, a traffici economici audaci, spesso illegali, e perché i nuovi arrivati, a differenza dell'ondata idealista e collettivista degli Sharanskji, sono ben decisi a vivere in modo confortevole e a esigere i loro diritti dallo Stato che si è preso la responsabilità di farne suoi cittadini. Spesso si sono lamentati della poca importanza che gli si riconosce, spesso si sono sentiti discriminati e allontanati. Spesso hanno usato il loro potente voto per cambiare i governi, per determinare la linea politica del Paese. Ma sempre sono stati riconosciuti pienamente compagni di strada soltanto quando si è dovuto piangere insieme con loro. Negli ultimi tempi, accade spesso.

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