« Un accordo da prendere o lasciare» Parla Arens, uomo chiave della c ompagine Likud
giovedì 8 febbraio 2001 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
MOSHÈ Arens, è appuntito, magro, molto allegro per la vittoria; ha
tutta
l’ aria del professore di ingegneria aeronautica. Nato nel 1925 a
Kovna in
Lituania, incredibilmente più giovane quanto a aspetto e
comportamento, è
tuttavia un americano di adozione. Il suo servizio militare l’ ha
fatto negli
Usa, e tuttavia la sua fulminante e prestigiosa carriera politica che
ne fa
uno dei candidati al posto di ministro degli Esteri o della Difesa
del
prossimo governo, è tutta israeliana. Con Begin nell’ 83 fu ministro
della
Difesa, dopo che Sharon si dimise a causa della tragedia di Sabra e
Chatila.
E forse, da qui è rimasta qualche ruggine fra Misha e Arik. Poi è
stato
Ministro delle Finanze nel governo Peres nell’ 84. Nell’ 86, il
Ministero per
gli Affari Arabi. Nell’ 88 è con Shamir ministro degli esteri, e nel
‘ 90
ministro della difesa: fu lui l’ uomo che decise che durante la guerra
del
Golfo, che Israele non avrebbe risposto ai missili di Saddam. Parte
per gli
Stati Uniti insieme a altri due emissari di Sharon per spiegare alla
nuova
amministrazione cosa sta succedendo in Israele.
A che serve la sua missione in America?
« Intanto, non so ancora se partirò . Ma nel caso, sono certo che è
indispensabile spiegare bene chi è Sharon, liberarlo dalla
demonizzazione:
che non è un guerrafondaio e un violento, ma semplicemente una
persona che
vuole la pace in modo pragmatico, senza sogni» .
E cioè , che è pronto a una politica dura, che dalla sua leadership
può
scaturire una guerra? Perché Sharon è stato eletto in maniera così
travolgente da un Paese fino a ieri volto alla pace?
« Per il grande sentimento di disillusione che ha colto la maggioranza
a
causa della politica di Barak e della risposta di Arafat. Barak ha
offerto
moltissimo, e più ha offerto, più Arafat ha chiesto, accompagnando le
sue
richieste con minacce e soprattutto con una terribile ondata di
violenza. I
sostenitori di Barak sarebbero stati disposti ad accompagnarne fino
in fondo
le offerte con un grande penoso sforzo, se almeno fossero andate a
buon
fine. Ma non è stato così : si è visto che i palestinesi hanno
ricavato dalle
trattative l’ idea che Israele fosse ormai un Paese debole, da
spremere,
incapace ormai di fare uso della forza in propria difesa» .
Che intende dire con forza? Uccidere i nemici?
« Non c’ è nessuna forza nell’ uccidere. Forza è , per esempio,
rifiutarsi, come
Sharon ha dichiarato di voler fare, di trattare sotto il fuoco.
Smettano di
sparare: trattiamo» .
E se invece non smettono? Che intenzioni avete? Punire duramente gli
attentatori? Invadere le città nei Territori?
« Non mi sembra davvero il caso di discutere i dettagli operativi. In
generale, direi che Arafat ha adesso davanti una scelta chiara: se
vuole
tornare a trattare, che ponga fine alla violenza. Dia un segnale
chiaro,
come rimettere in prigione i terroristi di Hamas liberati in questi
mesi. Da
qui, tutto può ripartire» .
Tutto? Le trattative riprenderanno dal punto cui erano giunte, come
chiedono
in palestinesi?
« Abbiamo dei precisi limiti che riguardano Gerusalemme, che non
divideremo;
la valle del Giordano, un bastione difensivo verso il mondo arabo; e
i
profughi, una questione da non aprire» .
Che ne sarà degli insediamenti? Avete intenzione di seguitare a
costruire?
Quanta parte del West Bank siete disposti a cedere?
« Sono cose da vedersi nel tempo.Non ci sono scorciatoie, come sognava
Barak» .
Con le vostre posizioni, la trattativa sarà molto difficile. Il mondo
paventa la possibilità di una guerra, invece.
« Il Medio Oriente non è mai stato molto stabile, ma al momento non
vedo
questa possibilità » .
Lei vede una pace possibile all’ orizzonte?
« Certo, ma la pace è un processo storico complesso, che richiede
molto
tempo, che non si piega alla fretta e al desiderio di successo» .