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Ultima notte a Durban per dichiarare fallita o salvare la Conferenza Un nuovo documento finale - il terzo - elaborato dal Sud Africa è considerat o « accettabile» dall’ Unione europea, ma non dagli arabi perché tropp o generico

venerdì 7 settembre 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein inviata a DURBAN Sempre più esausta, la Conferenza contro il razzismo si trascina di riunione in riunione, di documento in documento, nel cercare un accordo che sia almeno il pallido riflesso della speranza dell’ Onu su quello che è diventato, da una tribuna degli oppressi, una sorta di referendum internazionale pro o contro Israele, pro o contro le scuse sullo schiavismo. Su quest’ ultimo punto gli accordi sembrano avanzare: il Medio Oriente resta il grande punto interrogativo. E oggi si chiude: quindi o ora o mai più . La notte di ieri è stata di nuovo drammatica. A Durban non si dorme mai. Già fra mercoledì e giovedì la signora Zuma, ministro degli Esteri sudafricano, disperatamente dedicata a salvare la sua Conferenza, aveva insistito su un primo documento, che all’ inizio sembrava ultimativo, e che invece non è piaciuto particolarmente a nessuno dei cinque membri (Unione europea, Kenya, Norvegia, Namibia, Palestina o Lega Araba in alternanza) della Commissione per il progetto di emergenza sul Medio Oriente. Ogni ultimatum è caduto di fronte alle consistenti minacce degli europei di andarsene, di fronte al rifiuto dei palestinesi di accettare ogni compromesso, e la signora Zuma ha presentato quindi un altro disegno di conclusione all’ alba che l’ ambasciatore italiano Claudio Moreno definisce « di straordinario equilibrio» . E durante la notte di ieri, mentre gli arabi ripetevano le loro obiezioni, l’ Ue ha seguitato a insistere per trovare quell’ accordo che eviterebbe il fallimento totale della Conferenza sul razzismo. La signora Zuma certamente ha fatto un grande sforzo. Il linguaggio infiammatorio è di sicuro scomparso. Al secondo punto ha inserito un paragrafo in cui semplicemente si afferma che « l’ Olocausto non deve essere mai dimenticato» senza quindi accettare le comparazioni palestinesi con le sofferenze del loro popolo. Ogni riferimento all’ apartheid, al razzismo riferito a Israele come anche il famoso « sionismo = razzismo» non hanno lasciato alcuna traccia nel documento; in compenso però questa, nelle conclusioni generali di Durban, sarebbe l’ unica parte in cui si fa esplicito riferimento a un conflitto territoriale come tanti ce ne sono nel mondo. Ci sono poi due punti politici che Israele non può inghiottire di sicuro: uno « chiama gli Stati a sostenere il processo di pace e a portarlo a una veloce conclusione» , una frase falsamente innocente che invece può essere interpretata come a sostegno dello scopo politico più immediato e importante per Yasser Arafat, quello cioé di un gruppo di osservatori o di una forza d’ interposizione internazionale. In secondo luogo, al punto sette, addirittura il documento riconosce « il diritto dei rifugiati a tornare volontariamente alle loro case, proprietà , dignità e sicurezza, e chiede a tutti gli Stati di facilitare questo ritorno» . Anche se gli europei si sforzano di sostenere che si tratta di un punto generico, riferito a tutti i rifugiati del mondo, il contesto suggerisce che certamente qui si parla dei rifugiati palestinesi. E come è noto, in tutto l’ arco politico che va da destra a sinistra, con forti sostegni anche internazionali, gli israeliani vedono nella richiesta del « diritto al ritorno» né più né meno che la premessa alla distruzione dall’ interno dello Stato di Israele. Infine, la comparazione diretta al paragrafo quattro dell’ antisemitismo e dell’ islamfobia certo non può piacere né a Israele né agli ebrei di tutto il mondo, con tutte le persecuzioni che essi hanno attraversato. Tuttavia, rispetto al punto di partenza, ovvero al disegno che si era costruito nelle quattro riunioni preparatorie e poi a Ginevra, e che è stato incautamente portato alla discussione di Durban, per i palestinesi nel progetto Zuma vi è certamente una perdita di terreno. E quindi poco probabile che l’ accettino. Koen Vervarta, portavoce del ministro degli Esteri belga e presidente di turno dell’ Unione europea, Louis Michel, dice che il linguaggio del nuovo documento è « sensato, del tutto accettabile; bisogna pensare da dove siamo partiti. E da oggi ci appare come un punto di arrivo non negoziabile» . L’ Europa dunque vuole restare fino all’ ultimo, si batte per un accordo, anche se ancora tiene un piede fuori dalla porta. Lo ha tenuto durante tutta la nottata, mentre i palestinesi ancora rifiutavano di ammettere che Israele è uno Stato in conflitto, non uno Stato di apartheid.

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